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SOS: “Non c’è sostenibilità nella crescita senza limiti”
L’evento nazionale “S.O.S. - I limiti planetari e le diseguaglianze sociali” ha mostrato che bisogna fare i conti con le risorse finite del Pianeta. Decisivo il ruolo della società civile per il rispetto dei diritti delle persone. 30/9/21
RIGUARDA L'EVENTO
Dall’insostenibilità della crescita infinita, in un Pianeta con limitate risorse, al ruolo della società civile nell’affermare una visione interconnessa dei temi economici, ambientali e sociali. Dal rispetto dei diritti nei trattati internazionali fino alla redistribuzione della ricchezza e alle crescenti disuguaglianze che, spinte (anche) dalla crisi pandemica, non accennano ad arrestarsi. L’evento nazionale del Festival dello Sviluppo Sostenibile sui Goal 6-14-15-17 (rispettivamente Acqua pulita, Vita sott’acqua, Vita sulla Terra, Cooperazione), del 29 settembre, ha richiamato l’attenzione sull’urgenza di un cambio di paradigma nella gestione degli ecosistemi naturali: sia per evitare i più gravi disastri imposti dalle crisi che investono il clima e la biodiversità, e sia per promuovere un nuovo tipo di solidarietà su scala locale e globale. L’incontro, parte del programma “All4Climate – Italy 2021”, è stato organizzato dai Gruppi di lavoro dell’ASviS sui Goal 6-14-15 e sul Goal 17, con il contributo dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo in qualità di Tutor.
“S.O.S. - I limiti planetari e le diseguaglianze sociali”. Questo il titolo dell’evento, aperto dai moderatori Gianfranco Bologna (presidente onorario della Comunità scientifica del Wwf Italia e coordinatore del Gruppo di lavoro ASviS dedicato ai Goal 6, 14 e 15 dell’Agenda 2030) e da Carla Collicelli (senior expert ASviS, Cnr Cid Ethics, docente Sapienza Combiomed).
“Quello che vorremmo far capire a tutti è che è impossibile coniugare sostenibilità e crescita illimitata”, ha esordito Bologna, “bisogna per forza tener conto dei limiti biofisici del Pianeta. È un tema centrale per lo sviluppo sostenibile, non possiamo permetterci una scorretta interpretazione della sostenibilità. Nessuno ha naturalmente una ricetta per tutto il Pianeta, però in questi decenni la cultura scientifica ci ha consentito di avere degli importantissimi ‘guardrail’. Dobbiamo trovare un modo per riuscire a vivere all’interno di quelli che vengono definiti ‘limiti planetari’, e su questo la ricerca sta facendo passi da gigante, per costruire uno Spazio Operativo Sicuro (S.O.S.) per l’umanità”.
Collicelli ha invece ricordato “il grido di allarme” che ha lanciato il Rapporto ASviS, pubblicato il 28 settembre: “non c’è più tempo. Se non ci sarà una ecologia globale che tenga insieme i fattori economici, sociali e ambientali i risultati che ci aspettiamo non potranno essere raggiunti. Vogliamo provare ad alzare l’attenzione sul tema, anche lo studio dell’ASviS è critico su questo. I limiti sono stati raggiunti, ora dobbiamo fermarci a capire come forme di vita e società possano convivere senza lasciare un futuro invivibile ai giovani. Ed è sul ‘come fare’ che si sofferma l’evento di oggi”.
I limiti del Pianeta: problemi ambientali e implicazioni sociali. “La parola sostenibilità è stata coniata nel 1793. Ma agli inizi dell’800 scompare. La disciplina economica sin dall’inizio ha ritenuto che la natura non era un limite per l’accumulo del capitale, prima fisico e poi finanziario, e chiaramente si sbagliava”. Sono le parole con cui Stefano Zamagni (presidente della Pontificia Accademia delle scienze sociali) ha dato via al primo panel: “siamo così in ritardo nell’azione proprio per questo pensiero unico che dominava la scienza economica. Quando qualcuno prima del rapporto Brundtland del 1987 osava mettere in discussione questo concetto, rischiava persino di non fare carriera accademica. Sono cose che vanno dette. L’economista Nicholas Stern, famoso autore dell’omonimo rapporto del 2006, in un articolo di due anni fa ha calcolato negli ultimi 20 anni quanti saggi scientifici erano stati pubblicati sulla tematica ecologica e ambientale sulle cinque principali riviste scientifiche di economia. Sapete quanti erano? 47 su circa 9mila. Stern conclude il suo articolo dicendo: ‘noi economisti dobbiamo solo vergognarci, abbiamo alimentato una convinzione tra la popolazione di cui oggi paghiamo le conseguenze’. Ha avuto molto coraggio”. Infine Zamagni ha ricordato che i criteri Esg (i criteri environment, social, governance) non vanno confusi con gli SDGs, “c’è una confusione di pensiero grave sul tema, anche nel nostro Paese. Le imprese non possono limitarsi solo al rispetto dei primi”.
Fabio Trincardi (direttore del dipartimento scienze del sistema Terra e dell'ambiente del Cnr) ha prima illustrato “il paradosso del capitalismo” che “funziona solo in un Paese, ma se applicato all’intero Pianeta porta tutti i problemi che conosciamo” e poi ha fornito una panoramica sui limiti planetari, in particolare su quello climatico, che stiamo pericolosamente sforando. “Con la logica estrattiva stiamo per andare verso quello che definisco il ‘far west’ estrattivo. Molte zone nel mondo, soprattutto in ambiente marino, non hanno una giurisdizione. Chi ha la possibilità di sfruttare le risorse naturali lo farà dunque in zone di deregulation. Un rischio che va evitato. Per quanto riguarda i planetary boundaries - e cioè i limiti planetari che la comunità scientifica ci consiglia di non superare per evitare l’innesco di una serie di conseguenze che potrebbero mettere in discussione persino l’esistenza umana sul Pianeta -, su quello relativo al cambiamento climatico ci stiamo avvicinando alla soglia limite delle 450 ppm di CO2 – concentrazione di CO2 in atmosfera misurata in parti per milione -. Partiti infatti in epoca preindustriale con 350 ppm siamo ora a 415 ppm. Per comprendere l’impatto dell’attività umana sul Pianeta, basti pensare che di tutti i mammiferi che vivono sulla Terra, gli umani in termini di peso rappresentano il 30% mentre le specie allevate per il cibo il 67%. Questo fa capire quanto sia invasiva l’azione antropica”.
Accesso alle risorse ambientali e implicazioni in termini di disuguaglianze, ruolo della cooperazione internazionale. La seconda sezione dell’evento si è soffermata sull’importanza della società civile nel promuovere i diritti nell’ambito dei trattati internazionali, e sulla crescita delle disuguaglianze. Chiara Soletti (coordinatrice della sezione Donne diritti e clima di Italian climate network) ha parlato di diritti umani e trattati internazionali: “Chi paga per il danno che stiamo creando al Pianeta? Al momento chi meno ha contribuito al problema del cambiamento climatico. Nei trattati internazionali è molto importante avere delle ‘salvaguardie’ ambientali e sociali, un fatto ignorato in passato. Eppure è fondamentale, perché si corre il rischio che ancora una volta il retaggio culturale dell'eredità coloniale la faccia da padrona. Avere princìpi legati ai diritti umani all’interno dell’Accordo di Parigi è una cosa positiva. Perché in un meccanismo multilaterale dobbiamo essere cauti, non possiamo creare ulteriori danni. Basti pensare a quello che può significare per le popolazioni indigene, in termini di diritti ed espropriazione di risorse, la costruzione di una diga da utilizzare per l’energia idroelettrica. Il principio di equità intergenerazionale è stato inserito nell’Accordo di Parigi anche grazie all’azione della società civile e di tutte le organizzazioni giovanili. La società civile può fare molto, dunque. Sulla prossima Cop 26 di Glasgow preoccupa il fatto che molti dei rappresentanti delle nazioni a basso reddito rischiano di non partecipare per via del Covid. Bisogna trovare una soluzione per garantire la loro ‘voce’ e la loro partecipazione”.
A Soletti ha fatto eco l’intervento di Sabina Siniscalchi (componente del consiglio di Oxfam e Fair trade Italia, già consigliere di Banca etica), ribadendo che “la società civile ha il compito di accendere le questioni sui temi delle disuguaglianze, che stanno crescendo tra e all’interno delle nazioni”. Siniscalchi ha parlato di una ricchezza gestita da pochi: “2.153 multi-miliardari hanno una ricchezza pari a quella di 4,6 miliardi di persone. Uno squilibrio inaccettabile, intensificato anche dalla pandemia, che ha impattato peggiorando la condizione delle donne e dei lavoratori. La Fao (Food and agriculture organization) ha ricordato che per la pandemia circa 100 milioni di persone in più soffrono la fame”. Ma c’è chi si è arricchito anche durante il periodo pandemico, “come le grandi multinazionali farmaceutiche e le piattaforme online. Il vero problema non è però la ricchezza prodotta, ma che questa non venga redistribuita. L’88% di questi profitti andrà infatti agli azionisti. L’Agenda 2030 è un enorme punto di riferimento, se perseguita ci aiuterebbe a migliorare le condizioni economiche, sociali e ambientali. Occorre ridare dignità alle persone”.
Il panel è stato chiuso da Maurizio Massari (rappresentante permanente dell'Italia presso l'Onu a New York): “Focalizzarsi sugli SDGs è vitale, ancor di più dopo la pandemia. L’Agenda 2030 è un faro da seguire per ricostruire meglio il Pianeta e le nostre comunità. Siamo sull’orlo di un abisso e bisogna svegliarsi, come ha ricordato il Segretario generale delle Nazioni Unite Guterres. La settimana scorsa a New York l’Italia è stata protagonista di diverse riunioni di alto livello. Nel suo discorso il presidente Draghi ha detto che il nostro Paese è pronto ad assumersi nuovi impegni sul clima. Inoltre, l’Italia donerà 45milioni di dosi di vaccini ai Paesi poveri, anche per incidere positivamente sulla questione disuguaglianze”.
S.O.S.: Come costruire uno Spazio Operativo Sicuro, cioè un Pianeta solidale e giusto, con politiche e azioni per il ripristino degli ecosistemi. Nell’ultima parte, il dibattito si è soffermato su come provare a vivere in armonia col Pianeta, garantendo il rispetto dei diritti fondamentali.
Simonetta Fraschetti (professoressa ordinaria di ecologia all'Università Federico II di Napoli e presidente dell'European marine biological symposium) ha descritto l’importanza dell’attività di restauro ecologico. “Il restauro in ambiente marino è un tassello importante della sostenibilità. Negli ultimi anni l‘ambiente marino è stato largamente modificato, basti pensare che il 32% degli habitat del Mediterraneo risultano degradati. Degradato vuol dire perdita di biodiversità, e cioè meno beni e servizi fondamentali per l’uomo”, ha sottolineato Fraschetti, “sostenibilità è tante cose, ma è anche conoscenza. Purtroppo abbiamo una pessima qualità delle informazioni sullo stato dei nostri habitat. In Europa avremmo dovuto raggiungere il buono stato ambientale degli ecosistemi al 2020, non l’abbiamo raggiunto e l’abbiamo spostato al 2030. Il 6,1% del Mediterraneo è soggetto a qualche forma di tutela, ma in realtà soltanto lo 0,06% vanta una protezione davvero efficace e integrale, con una effettiva gestione dell’area. C’è tanto da fare”. Fraschetti ha concluso il suo discorso descrivendo alcuni progetti su larga scala che hanno contribuito al ripristino della biodiversità marina, ma chiarendo che si tratta di soluzioni “parecchio costose e che devono essere di accompagnamento alla mitigazione dell’impatto dell’uomo sulla natura. Da sole non bastano, si tratta di un aiuto”.
L’ultimo intervento, che ha chiuso la sessione dei lavori, è stato quello di Giulio Marcon (portavoce della campagna Sbilanciamoci!): “SOS significa mettere in campo politiche, nuovi comportamenti e nuovi stili di vita. Occorre cambiare modi di pensare, e servono politiche fiscali e sociali che vanno nella direzione della transizione ecologica. Negli ultimi anni sono purtroppo mancate politiche pubbliche, industriali e fiscali, per sostenere la lotta ai cambiamenti climatici e per varare un nuovo modello di sviluppo fondato su diritti ambientali e sociali. Il tema disuguaglianze non riguarda solo il reddito ma tocca da vicino, per esempio, l’accesso alle opportunità che offre il sistema educativo. Dobbiamo investire di più nella cooperazione allo sviluppo e meno in armamenti. Questa è una crisi che ci sbatte in faccia che abbiamo un urgente bisogno di cura, non solo delle persone ma anche del nostro territorio”.
E il concetto di cura è stato un po’ quello che ha attraversato l’intero evento sui Goal 6-14-15-17. In un Pianeta dove il 75% delle terre emerse e il 66% degli ecosistemi marini è stato pesantemente modificato dall’attività umana, non possiamo applicare vecchie soluzioni che non tengono conto delle interconnessioni che plasmano la nostra realtà. Mitigare gli impatti umani garantendo sviluppo e prosperità delle persone: la sfida è talmente enorme da diventare un “SOS”.
di Ivan Manzo