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Cop desertificazione: “un mld di ettari degradati da ripristinare entro il 2030”
Le 38 decisioni adottate alla Cop 15 in Costa D’avorio hanno come scopo la riduzione del degrado e il ripristino dei territori. Global land outlook: il 40% del suolo globale è ormai deteriorato, tre i possibili scenari futuri. 26/5/22
Dopo due settimane di negoziati, andati avanti dal 9 al 20 maggio ad Abidjan in Costa d'Avorio, si è conclusa la 15esima sessione della Cop (Conference of the parties) dedicata alla lotta alla desertificazione (Unccd, Convenzione contro la desertificazione).
In questo summit, che ha coinvolto quasi 7mila partecipanti (tra cui capi di Stato, ministri, delegati, società civile, media) dei 196 Paesi che fanno parte dell’Unccd, sono state adottate 38 decisioni su cui basare l’azione presente e futura, che deve proseguire su tre direttive: garantire una maggiore resilienza dei nostri ecosistemi, ridurre il degrado del suolo, ripristinare i territori.
Le decisioni prese nel summit
“Svolgiamo tutti un ruolo nella lotta comune contro il cambiamento climatico e il degrado del suolo, riconoscendo che un ambiente sano e sicuro è vitale per il futuro della Pianeta”. È con queste parole che il presidente di turno di questa Cop, il primo ministro della Costa d'Avorio Patrick Achi, ha concluso una tornata negoziale che ha messo diverse questioni sul tavolo del dibattito. Tra gli accordi raggiunti, di cui troviamo traccia nei documenti ufficiali pubblicati dalla Cop 15, spicca l’obiettivo ripristino: entro il 2030 bisogna accelerare sull’attività di recupero che coinvolge circa un miliardo di ettari di terreno degradato. Per farlo e per capire “a che punto siamo” occorre però aumentare gli sforzi anche in termini di raccolta dati e attività di monitoraggio.
Inoltre va rafforzata la resilienza dei nostri ecosistemi alla siccità e servono nuove politiche di “allerta” per quanto riguarda fenomeni estremi come le tempeste di sabbia e di polvere. Sempre sulla siccità, si è deciso di istituire un gruppo di lavoro intergovernativo durante il periodo 2022-2024 per “esaminare quali soluzioni mettere in campo, compresi gli strumenti politici globali e i quadri politici regionali, per passare da una gestione reattiva a una proattiva alla siccità”.
C’è poi il determinante ruolo delle donne, che spesso soffrono maggiormente del depauperamento delle risorse rispetto agli uomini. Come in altri summit ambientali, anche qui la Convenzione stabilisce che occorre migliorare il coinvolgimento delle donne nella gestione del territorio. Sul tema troviamo infatti la “Abidjan Declaration on Achieving Gender Equality for Successful Land Restoration”.
Per quanto riguarda il capitolo finanza, va segnalato che all’interno della “Land, life and legacy declaration” è presente il programma “Abidjan legacy”, che intende mobilitare 2,5 miliardi di dollari entro cinque anni per combattere la deforestazione e il cambiamento climatico. Nello specifico questa iniziativa, che pone particolare attenzione alla realizzazione del Target 15.3 dell’Agenda 2030, mira a: ripristinare le foreste degradate e promuovere l'agroforestazione; garantire la sicurezza alimentare attraverso una produzione sempre più sostenibile; identificare nuove catene del valore che siano resilienti al clima e alla desertificazione.
Infine il summit ha chiarito che va affrontato anche il tema migratorio causato dalla desertificazione, su questo occorre creare nuove opportunità sociali ed economiche che aumentino la resilienza rurale e la stabilità dei mezzi di sussistenza, e quello della cooperazione: servono maggiori sinergie tra le diverse Convenzioni di tutela ambientale.
Altre iniziative lanciate durante la Cop 15
Tra le altre iniziative prese durante il summit ne segnaliamo due in particolare. La “Business for land initiative” che mostra gli sforzi compiuti dalle aziende nelle catene di approvvigionamento e nelle attività di responsabilità sociale d'impresa per raggiungere l’obiettivo “degrado del suolo zero”; e la Sahel sourcing challenge per consentire alle comunità che coltivano la “Great green wall” (iniziativa che intende ripristinare 100 milioni di ettari di terreno attualmente degradato in Africa) di utilizzare la tecnologia adatta a creare nuovi posti di lavoro, a commercializzare i prodotti e a monitorare i progressi compiuti.
Perché agire sulla desertificazione?
Il motivo è ben spiegato nella seconda edizione del Global land outlook (Glo) pubblicato il 27 aprile da Unccd, poco prima dell’inizio dei negoziati. Lo studio ricorda che fino al 40% del suolo terrestre è ormai soggetto a degrado, un fenomeno che minaccia circa la metà del Pil mondiale (44mila miliardi di dollari), dato che quest’ultimo è fortemente dipendente dal capitale naturale. Non va infatti dimenticato che risorse come il suolo, l'acqua e la biodiversità sono fondamentali per il benessere umano dato che "forniscono le basi per la ricchezza delle nostre società ed economie". Se dovessimo continuare con il “business as usual”, cioè senza fare nulla, entro il 2050 un ulteriore terreno pari alla grandezza di quasi tutto il Sud America potrebbe essere messo a rischio.
Sulle conseguenze future il rapporto costruisce tre scenari, in modo da mettere in evidenza la differenza che passa tra l’azione e l’inazione sul tema.
- Lo scenario del “business as usal”, per esempio, prevede che entro il 2050 potremmo avere un calo del 12-14% per quanto riguarda la produttività dei terreni agricoli (compresi quelli dedicati ai pascoli), con l'Africa subsahariana a essere la regione più colpita. A causa sempre del degrado del suolo, ulteriori 69 gigatonnellate di gas climalteranti saranno rilasciate da qui al 2050, vanificando gli sforzi climatici compiuti in altri settori.
- Lo scenario “ripristino”, invece, presuppone il recupero di circa 5 miliardi di ettari (il 35% della superficie terrestre globale) attraverso misure come l'agroforestazione, la gestione sostenibile del pascolo e le pratiche di rigenerazione naturale del terreno. In questo modo entro il 2050 si rallenterebbe la perdita di biodiversità e aumenterebbeno: il raccolto del 5-10% nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo; la capacità di ritenzione idrica (permette al suolo di trattenere più acqua) del 4% nei terreni coltivati a pioggia; lo stoccaggio di gas climalteranti nel suolo di 17 gigatonnellate.
- Lo scenario “Ripristino e protezione”, che integra al precedente misure di protezione di aree importanti per la biodiversità. In questo modo entro il 2050 si potrebbero: stoccare altre 83 gigatonnellate di gas serra, recuperare 4 milioni di chilometri di aree naturali e prevenire un terzo della perdita di biodiversità.
Infine, il Rapporto ricorda che per soddisfare l'attuale impegno di ripristinare un miliardo di ettari degradati entro il 2030 - come scritto in precedenza – bisogna mettere in campo uno sforzo finanziario pari a 1,6 mila miliardi di dollari in questo decennio. Una cifra non elevatissima da spalmare in 10 anni se pensiamo che in un solo anno, ricorda sempre lo studio, vengono elargiti 700 miliardi di dollari ai combustibili fossili (sotto forma anche di sussidi agricoli).
Tra le altre misure di supporto all’azione di contrasto alla desertificazione troviamo: ridurre le emissioni attraverso la transizione energetica; affrontare l'insicurezza alimentare e la scarsità d'acqua passando a modelli di produzione e consumo più sostenibili; accelerare il passaggio a un'economia circolare che riduca sprechi e inquinamento.
“Non possiamo fermare la crisi climatica oggi, la perdita di biodiversità domani e il degrado del suolo il giorno dopo. Dobbiamo affrontare tutti questi problemi insieme”, ha ricordato in occasione della pubblicazione dello studio il segretario esecutivo dell'Uncdd Ibrahim Thiaw.
di Ivan Manzo