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L’impatto degli SDGs è ancora troppo limitato, serve un’azione politica più efficace
Uno studio pubblicato su Nature ribadisce che serve maggiore incisività sull’Agenda 2030. Il documento Onu ha influenzato la narrazione dei governi ma le parole non si sono trasformate in politiche concrete. 21/7/22
Gli SDGs rappresentano il più completo e dettagliato piano messo in atto dalle Nazioni unite sullo sviluppo sostenibile, almeno fino a ora. Dopo più di sei anni di attuazione che impatto politico, nazionale e sovranazionale ha avuto l’Agenda 2030? È riuscita a innescare il cambiamento per far fronte a sfide urgenti come povertà, giustizia sociale e protezione ambientale? Alla domanda ha risposto un team di 61 ricercatori che il 20 giugno ha pubblicato sulla rivista scientifica Nature, sezione Sustainability, lo studio “Scientific evidence on the political impact of the Sustainable development Goals”.
Secondo il team di ricerca, purtroppo, gli effetti sono stati “principalmente discorsivi”, ed è mancata in questi anni una riorganizzazione delle istituzioni in chiave SDGs. “Abbiamo bisogno di politiche più ambiziose sostenute da nuove leggi e programmi di governo. Nel complesso, la nostra valutazione indica che, sebbene vi siano alcuni effetti positivi portati nel mondo dagli SDGs, questi non possono ancora essere definiti come una forza trasformativa”, si legge infatti nello studio.
La valutazione, frutto di una sintesi di oltre tre mila documenti, si è focalizzata sull’analisi che ruota intono a cinque dimensioni dell’Agenda 2030: l'impatto politico degli SDGs sulla governance globale; l’impatto dei sistemi politici nazionali; l'integrazione e la coerenza delle istituzioni e delle politiche; l'inclusività della governance (su piano locale e globale); la protezione dell'integrità ecologica. Vediamo insieme una sintesi.
L’impatto sulla governance globale. È proprio sulla governance che lo studio sottolinea come l'impatto politico degli SDGs sia stato principalmente discorsivo: l’Agenda 2030 è stata in molti casi una punto di riferimento nelle dichiarazioni che, però, non si sono tradotte in azioni concrete.
Alla base degli SDGs troviamo principi quali l'universalità, la coerenza, l'integrazione e il "non lasciare nessuno indietro". Le riforme attuate dal 2015 a oggi – anno della sottoscrizione dell’Agenda 2030 -, hanno avuto un effetto modesto sui principi prima elencati: “non ci sono prove evidenti che gli SDGs abbiano avuto un impatto trasformativo sui mandati, sulle pratiche o sull'allocazione delle risorse delle organizzazioni e delle istituzioni internazionali presenti all'interno del sistema delle Nazioni unite”. La letteratura suggerisce quindi una discrepanza tra “aspirazioni dell’Onu” e impatto dell’Agenda 2030 nel mondo reale, soprattutto a causa di uno scarso o poco efficace impegno politico. Anche le riforme condotte in tema di cooperazione allo sviluppo non sono state incisive come si sperava, sono stati infatti riscontrati segnali incoerenti, per esempio, nelle pratiche di finanziamento tra Paesi ricchi e Paesi poveri.
Politica nazionale e attori non statali. Gli SDGs devono essere implementati a livello nazionale attraverso politiche e programmi adottati da governi e agenzie pubbliche con il supporto di tutti, compresi gli attori non statali. Nello studio si legge che in questi anni diversi organismi hanno formato nuove unità e integrato nei loro sistemi amministrativi l’Agenda 2030, tuttavia “la maggior parte dei Paesi è in ritardo nell'attuazione. Il cambiamento istituzionale osservabile spesso si limita a replicare priorità, traiettorie e programmi di governo esistenti. In sostanza i governi tendono ad attuare selettivamente quegli SDGs che supportano le politiche a cui hanno già dato priorità. In poche occasioni gli investimenti sono stati ridisegnati sugli SDGs”.
La nota positiva in questo ambito è che spesso le amministrazioni cittadine si sono dimostrate più virtuose dei governi nazionali nelle politiche legate allo sviluppo sostenibile.
Per quanto riguarda la società civile, in questi anni ha svolto un ruolo importante sia nel mobilitare le persone e sia nel far emergere la voce (soprattutto nei Paesi africani) di chi soffre ed è vulnerabile alle questioni legate alla povertà, alla disuguaglianza e alla perdita di biodiversità.
Sugli attori non statali lo studio ha evidenziato che, se da una parte hanno sviluppato nel tempo un maggiore interesse ai temi della sostenibilità, sfruttando anche la possibilità dei partenariati pubblico-privato, dall’altra gli effetti reali sono incerti ed è stato rilevato che spesso sono state messe in atto pratiche di “SDG-washing”. “Nel complesso sembrano mancare cambiamenti fondamentali nelle strutture di incentivazione per orientare i finanziamenti pubblici e privati verso percorsi più sostenibili”.
Coerenza nelle politiche. Diversi casi-studio, condotti per esempio su Bangladesh, Belgio, Colombia, Germania, India, Paesi Bassi, Sri Lanka e altri piccoli Stati insulari, indicano che le sinergie e i compromessi innescati dall’Agenda 2030 si manifestano in modo diverso e dipendono dai sistemi politici e dai vari livelli di governo. “Ancora non si riescono a rendere le politiche coerenti con l’Agenda 2030, in modo da rafforzare l’azione per lo sviluppo sostenibile”. La questione per i ricercatori sarà difficile da risolvere prima del 2030. Nei prossimi anni di sicuro va abbattuta quella “barriera burocratica” che non facilita di certo l’azione; va poi aumentato l’interesse politico sullo sviluppo sostenibile; e vanno predisposti piani di lavoro a lungo termine.
Inclusività. L'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile ha lo scopo di restringere la forbice delle disuguaglianze all'interno e tra i Paesi, per garantire che nessuno resti indietro, anche qui c’è però ancora tanto da fare: “a livello globale non ci sono prove che gli SDGs abbiano orientato le strutture di governance verso una maggiore inclusività, specialmente per quanto riguarda i Paesi meno sviluppati”.
Lo studio descrive come i Paesi ricchi continuino a non rispettare le decisioni, anche quelle prese prima dell’Agenda 2030, in merito agli aiuti, anche di tipo finanziario, verso i Paesi meno ricchi, in modo che tutti traggano benefici dall’economia globale. Il segnale positivo, in questo caso, è che le economie emergenti nel Sud del mondo utilizzano sempre più gli SDGs per definire gli impegni di aiuto e di investimento verso i Paesi più poveri.
Poca incisività sulla dimensione ambientale. Sebbene gli SDGs sembrano aver influenzato le discussioni internazionali sul cambiamento climatico e la perdita di biodiversità, il loro impatto, anche su scala locale, per proteggere la natura rimane limitato “a causa della mancanza di ambizione da parte dei governi che continuano a voler privilegiare la crescita economica rispetto agli Obiettivi ambientali del documento Onu. All'interno dei Paesi ci sono anche poche prove che l’Agenda 2030 abbia rafforzato le politiche ambientali. Per esempio il Piano integrato delle risorse del Sud Africa, che definisce il mix energetico del Paese ed è stato adottato nel 2019, prevede che l'energia a carbone rappresenterà ancora il 59% della fornitura di elettricità del Sudafrica entro il 2030, con potenziali impatti negativi su altri obiettivi relativi alla salute, all'acqua, al clima e alla vita sulla terra”.
di Ivan Manzo