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Neet, un’emergenza sociale soprattutto italiana: come contrastare il fenomeno
Il nuovo numero della rivista Civic fa il punto sui giovani che non studiano né lavorano. L’istruzione deve fornire competenze teoriche ma anche pratiche. Abbandono scolastico non è questione di “apatia generazionale”. 20/2/23
“È sbagliato immaginare i Neet come individui passivi e apatici, privi di sogni e ambizioni, che invece caratterizzavano le generazioni dei nostri nonni e dei nostri genitori. Bisogna parlare invece di giovani a cui è stata tolta la possibilità non solo di costruire, ma anche di immaginare il proprio futuro”. Questo uno dei messaggi che emerge dal nono numero di Civic, rivista pubblicata dalla Fondazione Italia Sociale con cadenza semestrale per affrontare temi complessi legati a società, economia sociale, educazione e cultura.
Il numero di gennaio, dal titolo “Il labirinto dei Neet”, è stato dedicato al fenomeno dei giovani che non studiano né lavorano (i Neet appunto, dall’acronimo inglese Not in employment, education or training), sempre più diffuso nel nostro Paese. Civic ha interrogato a questo proposito diversi soggetti, con l’obiettivo di fornire considerazioni di ampio respiro – demografiche, sociologiche, psicologiche o statistiche – ma anche di riportare esperienze dirette dei ragazzi e delle ragazze o iniziative di successo del Terzo settore.
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Neet: un fenomeno soprattutto italiano. Secondo gli ultimi dati pubblicati nel corso dell’anno da Eurostat e Istat, i Neet in Italia rappresentano il 25,1% della popolazione compresa tra i 15 e i 34 anni (circa tre milioni di giovani). “Ci scivolano addosso numeri da paura”, ha commentato Gianluca Salvatori, segretario generale di Fondazione Italia Sociale. I giovani che hanno abbandonato precocemente gli studi, ottenendo al massimo la licenza media e decidendo poi di non frequentare la scuola superiore o altri percorsi di formazione, costituiscono il 12,7% del totale, una cifra di tre punti più alta rispetto alla media europea. Si tratta quindi di 517mila ragazzi e ragazze, con una prevalenza del genere maschile (14,8%) rispetto a quello femminile (10,5%) e con un divario territoriale marcato: Sud e isole (16,6%), Nord (10,7%) e Centro (9,8%). Di questi Early leavers from education (Elet) soltanto uno su tre, una volta abbandonato il sistema scolastico, trova lavoro: “Ecco come nascono i Neet” ha proseguito Salvatori.
Il fenomeno è diffuso in Italia più che in qualsiasi altra regione d’Europa: la percentuale di Neet nel nostro Paese (23,1%) non solo è sensibilmente più alta rispetto alle media Ue (13,1%), ma è anche lontana dalla penultima posizione (occupata dalla Grecia, con 17,3%) e dalla terzultima (Spagna, 14,1%). Se poi includiamo nel conteggio anche i giovani che hanno completato un iter formativo ma non trovano lavoro la quota di disoccupazione giovanile schizza al 40%.
Questa condizione viene spesso (erroneamente) ricondotta, più che a ragioni sociali ed economiche, a un’apatia generazionale, che si manifesta sottoforma di apatia civica o disinteresse per le problematiche sociali (creando, per dirla con il libro di Michele Serra, una generazione di Sdraiati). Secondo lo studio “Young italians, neets and political engagement” si tratta di una falsa percezione: i giovani italiani non sono politicamente meno attivi rispetto alle generazioni precedenti, ma lo sono soltanto in modi diversi. Le forme di attivismo e partecipazione sono mutate, e si focalizzano oggi su interventi di tipo sociale o ambientale, o forme di protesta online e di consumo critico.
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Il ruolo della scuola . Ma quali sono, effettivamente, i fattori che incidono sul fenomeno dell’abbandono scolastico? A questa domanda ha risposto Maurizio Del Conte, docente di Diritto del lavoro all’Università Bocconi di Milano: “Questo fenomeno si concentra negli ultimi due anni di obbligo scolastico. La causa principale è certamente l’aver avuto un’indicazione errata rispetto al percorso di studi di scuola superiore. Nel nostro sistema scolastico manca infatti un percorso di orientamento realizzato da professionisti che effettuino un colloquio con i singoli ragazzi, valutando i loro punti di forza e debolezza, i talenti e le aspirazioni. Questo confronto in Italia avviene tra le mura domestiche, con il consiglio di amici di famiglia o genitori che riportano le personali esperienze senza però un reale criterio di merito”. Altra causa del dropout (abbandono scolastico) è, per Del Conte, “la fortissima liceizzazione della nostra scuola secondaria. Una buona quota di questi ragazzi ha bisogno di affiancare un sapere teorico a un’esperienza pratica, ed ecco allora l’insoddisfazione che entra inevitabilmente nel circolo vizioso dell’abbandono degli studi”.
Secondo Maurizio Laganà, candidate strategy manager di ManpowerGroup Italia, “La scuola, l’università e soprattutto i corsi di formazione devono mettere i giovani nelle condizioni di acquisire competenze più tecniche, le cosiddette hard skill, ma allo stesso tempo allenare le competenze trasversali comunque importanti e richieste dal mercato, le cosiddette soft skill”. A questo proposito nasce il progetto “NeetOn”, un programma formativo per promuovere la ricerca attiva del lavoro di ragazze e ragazzi, volto a creare figure da inserire in diversi ambiti, da quello industriale a quello relativo al mondo dei servizi.
Esperienze diverse per un obiettivo comune. Ma l’edizione della rivista Civic è composta anche di altre riflessioni, provenienti da realtà trasversali e variegate. Massimo Bray, già ministro per i Beni, le attività culturali e il turismo nel 2013 e attualmente direttore generale di Treccani, ha dichiarato su Civic che bisogna “diventare cittadini prima che lavoratori”, specificando che “gli strumenti che servono ai giovani per affrontare la società oggi non sono da ricercare solo a scuola o in competenze extra-scolastiche, ma in valori culturali che favoriscono l’arricchimento delle nuove generazioni, cittadini dell’oggi e del domani”.
Numerose anche le esperienze virtuose, come quella di Cristina Pozzi, Ceo e co-founder di Edulia, nuovo polo edtech italiano per l’educazione formale e non formale, sviluppato in collaborazione con Treccani. Pozzi invita i ragazzi a uscire dalla comfort zone per tentare di realizzare progetti e idee: “È provando tante cose, studiando tante cose diverse che si può conoscere meglio se stessi e mostrarci per quello che siamo e possiamo essere”.
Molti gli altri interventi presenti nel numero: da Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, presidente della Fondazione Minotauro di Milano, che parla di “generazione inascoltata”, alle rilevazioni statistiche di Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia e statistica sociale presso l’Università Cattolica di Milano; dai resoconti di iniziative a chilometri zero per formare “network territoriali”, alle esperienze dirette di ragazzi e ragazze che vivono la condizione di Neet.
Il nuovo numero di Civic si presenta dunque come uno strumento utile a comprendere la condizione in cui versano le nuove generazioni, ma non solo: c’è anche la volontà di delineare soluzioni presenti (e future) per arginare la diffusione di questo fenomeno e, perché no, provare a invertirlo.
di Flavio Natale