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Overshoot Day: il consumo sfrenato di risorse ci riporta all’esperimento Biosfera 2
Dal 1970 viviamo in debito ecologico: consumiamo più risorse di quante la Terra rigeneri. Il progetto Biosfera 2 ha rivelato i limiti della vita in un mondo chiuso, anticipando le sfide ambientali attuali. 23/07/25
Il consumo sfrenato di risorse naturali è un trend spietato che non accenna a fermarsi. Prima degli anni ’70 non c’era alcun overshoot day, poi la fame antropica è cresciuta così a dismisura da arrivare a mettere a rischio la capacità del Pianeta di sostenere la vita umana.
Dal 29 dicembre del 1970, infatti, qualcosa si è rotto: l’essere umano ha iniziato a consumare più di quanto i servizi ecosistemici fossero in grado di generare nel giro di 365 giorni. E così ha avuto inizio una vera e propria corsa all’accaparramento di materie prime: negli anni ’90 l’overshoot day cadeva nel mese dicembre, negli anni 2000 si presentava agli inizi di novembre, per poi passare all’otto agosto del 2016, al primo agosto del 2018 e al 24 luglio di quest’anno. Come vivremo, quindi, da qui al 31 dicembre? Maturando un debito ecologico, andando cioè a svuotare quegli “stock” naturali accumulati nel corso del tempo e privando di preziose risorse le generazioni future.
Il calcolo di questa “impronta ecologica” (indicatore che valuta il consumo di risorse rispetto al tasso di rigenerazione del capitale naturale) viene fatto ogni anno dal Global Footprint Network, organizzazione che in base ai consumi, agli sprechi, alle emissioni di gas serra in atmosfera (è il parametro che incide maggiormente), alla degradazione del terreno e a tutti gli altri fattori che incidono sullo stress degli ecosistemi, ci informa sul reale stato di salute del Pianeta. Secondo l’Ong, per soddisfare l’intera e attuale domanda di risorse servirebbero 1,8 Terre, un dato che pone un serio interrogativo sulle condizioni della vita umana in un mondo finito. Una domanda su cui, un po’ di tempo fa, si era concentrato il progetto-esperimento “Biosfera 2”: un intero “mondo” racchiuso in 1,27 ettari situato nel cuore del deserto dell’Arizona. Cosa ci ha lasciato?
Biosfera 2, trent’anni dopo
Ai margini delle montagne Santa Catalina sorge Biosfera 2, un’enorme struttura di vetro e acciaio che sembra uscita da un racconto di fantascienza. Nei fumetti troviamo qualcosa del genere in Watchmen di Alan Moore di fine anni ‘80, dove il personaggio Ozyamandias erige una struttura nell’Artico quale base per il suo centro ricerche e attua il suo piano per “salvare”, almeno per come lo intende lui, il mondo dalla guerra nucleare.
Ma torniamo a Biosfera. Biosfera 1 è la Terra. Biosfera 2 è il progetto nato negli anni ’90 per simulare la complessità del nostro pianeta all’interno di un ecosistema chiuso. L’esperimento audace, controverso e a tratti utopico, ha diviso la comunità scientifica ma continua ancora oggi a far parlare di sé. Progettata per ospitare otto persone per due anni isolate dal resto del mondo, l’obiettivo della Biosfera era dimostrare che un gruppo umano poteva sopravvivere in modo autosufficiente, respirando ossigeno prodotto dalle piante nella cupola, mangiando solo ciò che coltivava e vivendo in armonia con cinque ecosistemi artificiali. Non andò bene.
La nascita dell’idea
Negli anni ‘60, San Francisco era nel pieno del fermento controculturale, quel complesso di valori che in una società consumistica si oppone a quelli tradizionalmente ritenuti gli unici validi. È in quel contesto che John P. Allen, figura carismatica e poliedrica, riunì attorno a sé artisti, ingegneri, ecologisti, scienziati e teatranti. Fondarono un collettivo interdisciplinare chiamato Theatre of all possibilities, ispirato da ideali di sostenibilità, autosufficienza e trasformazione radicale della società. Il gruppo si stabilì nel deserto del Nuovo Messico, dando vita al Synergia ranch, una comunità sperimentale dove si viveva coltivando la terra, costruendo architetture alternative e mettendo in scena opere teatrali.
La comunità avviò inoltre una serie di progetti concreti in giro per il mondo: costruzioni ecologiche in India, coltivazioni sperimentali in Australia, una galleria d’arte a Londra e perfino una nave fatta a mano, l’Heraclitus, con la quale solcò gli oceani per esplorare gli ecosistemi globali. Il tutto, per comprendere i meccanismi alla base della vita sulla Terra, un modo per immaginare l’essere umano anche al di fuori del nostro pianeta.
Tra i primi a essere affascinati da questa visione troviamo un personaggio controverso, Ed Bass. Fu soprattutto questo petro-miliardario del Texas, con un investimento di 200 milioni di dollari, a permettere la realizzazione di Biosfera 2 a Oracle (Arizona).
La realizzazione: un mondo chiuso in 1,27 ettari
La costruzione iniziò nel 1987 e si concluse nel 1991. Biosfera 2 era un complesso di oltre 12mila metri quadrati, contenente cinque biomi: la foresta pluviale, il deserto, un oceano (artificiale) con barriera corallina, la savana e una zona per l’agricoltura. Erano inoltre presenti diversi spazi per le abitazioni e i laboratori. Tutto era pensato per funzionare senza scambi con l’esterno: aria, acqua, nutrienti e rifiuti dovevano essere riciclati internamente, in un equilibrio dinamico e delicatissimo.
Il 26 settembre 1991, otto biosferiani (quattro uomini e quattro donne) entrarono nella struttura e vi rimasero sigillati per due anni con l’intento di dimostrare che era possibile vivere in armonia con un ecosistema chiuso, riproducendo in scala i processi vitali della Terra.
Ben presto, però, emersero difficoltà non previste. Mentre le attività quotidiane diventavano sempre più faticose, i raccolti non crescevano alla velocità prevista e ciò incideva sulle calorie a disposizione del team di ricerca. I biosferiani iniziarono dunque a perdere peso, anche in modo drastico: in media 16 chili ciascuno. L’alimentazione era povera di grassi e proteine, basata soprattutto su patate dolci e barbabietole. Ma il vero problema fu l’ossigeno: nei primi 18 mesi, il livello scese dal 21% al 14,5%, comportando affaticamento, difficoltà cognitive e aumento di stress. Per evitare danni alla salute, si decise così di contravvenire alla regola principale dell’esperimento introducendo ossigeno dall’esterno della cupola.
Con il passare dei giorni, i fattori bio-climatici resero difficili i rapporti. La tensione infatti cresceva, a tal punto che due membri del gruppo smantellarono i telefoni per interrompere le comunicazioni con l’esterno, mentre altri due si rifiutarono di partecipare agli esperimenti scientifici. Il gruppo si divise persino in due fazioni. A quel punto fu chiarissimo: la sfida non era solo tecnica o ecologica, ma profondamente umana.
Quando la missione si concluse nel settembre 1993 le polemiche erano già esplose. Diversi scienziati criticarono l’approccio poco scientifico e la gestione autoritaria del progetto. In molti definirono l’esperimento come “pseudoscienza”, o peggio, come una semplice messinscena.
Una seconda missione, partita all’inizio del 1994, durò appena tre settimane. Il progetto fu travolto da un cambiamento ai vertici: Ed Bass assunse un nuovo Ceo per “ottimizzare” la struttura, e l’intero team originario fu estromesso. Il nuovo amministratore arrivò in elicottero: era Steve Bannon, futuro stratega della campagna presidenziale di Donald Trump. La presenza di Bannon segnava il passaggio da un’utopia ecologica a una logica neoliberista.
Il messaggio che ci lascia Biosfera 2
A distanza di tanti anni, Biosfera 2 non è stato poi così fallimentare. I suoi protagonisti, come Mark Nelson e Linda Leigh, ricordano quell’esperienza come una lezione profonda: ogni respiro dipendeva dalle piante, ogni rifiuto doveva essere trasformato, ogni gesto aveva conseguenze visibili. Non c’era modo di esternalizzare gli impatti. Era un’ecologia totale, concreta, quotidiana.
Oggi Biosfera 2 è gestita dall’Università dell’Arizona e ospita progetti di ricerca sul cambiamento climatico, la desertificazione e l’agricoltura sostenibile. La struttura è aperta al pubblico, visitata da migliaia di persone ogni anno.
In un mondo segnato dalle crisi ambientali e dai limiti planetari, la realtà di essere parte di un sistema chiuso si fa prepotentemente spazio tra la popolazione. Le responsabilità legate all’industria fossile, al capitalismo sfrenato e agli stili di vita insostenibili non possono essere più scaricate “fuori”: siamo tutti, ogni giorno, dentro la stessa barca. O meglio, dentro Biosfera 1.
Fonte copertina: Global Ecotechnics Corporation, tratto dall'articolo della Bbc.
Rappresenta: il bioma della foresta pluviale di Biosfera 2 poco dopo essere stato sigillato dal mondo esterno nel 1991.
