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“Siamo ciò che mangiamo”, le fotografie di sei artisti latinoamericani sul Goal 2
Annunciati i vincitori della 12esima edizione del Premio “Photo Iila”, rivolto a giovani fotografi emergenti e dedicato quest’anno all’Obiettivo “Sconfiggere la fame” dell’Agenda 2030. Ecco le loro opere fotografiche. 8/6/20
Si è conclusa la nuova edizione del concorso fotografico promosso dall’Organizzazione internazionale italo-latino americana (Iila), osservatore Onu, ispirata quest’anno al Goal 2 dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile, volto a porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile.
Il titolo dell’edizione 2020, “Siamo ciò che mangiamo”, basato sulla celebre frase del filosofo Ludwig Feuerbach “L’uomo è ciò che mangia”, ha ricordato che l’unità dell’essere umano risiede nell’alimentazione e che la fame abbatte non solo il vigore fisico, ma anche quello intellettuale e morale. Così i vincitori del concorso, proclamati a maggio, hanno potuto raccontare attraverso le loro fotografie come negli ultimi decenni il cibo, lontano dall’essere considerato il trait d’union tra natura e cultura nonché connettore sociale e diritto fondamentale, sia diventato “merce” a prezzi sempre più bassi: il modo in cui viene prodotto ha ricadute sull’ambiente e sulle persone, dunque anche sulla distribuzione degli alimenti, sempre più sbilanciata in tutto il mondo.
Il vincitore e i finalisti, selezionati dalla giuria composta da Graziano Bartolini (fotoreporter), Luisa Briganti (responsabile e direttrice didattica del Centro sperimentale di fotografia Adams - Csf Adams) e Elisabetta Portoghese (Direttrice artistica del festival Castelnuovo fotografia), esporranno le proprie opere al Museo di Roma InTrastevere (le date sono in via di definizione a causa dell’emergenza sanitaria in corso). Assieme a loro esporrà anche Julieta Pestarino, vincitrice dell’11esima edizione del Premio, che presenterà un progetto dedicato ai cinema chiusi della Capitale sviluppato durante la residenza vinta lo scorso anno. Allo stesso modo, anche il primo artista classificato nella nuova edizione ha vinto una residenza di un mese a Roma, durante la quale sviluppare un progetto fotografico che avrà come oggetto la capitale.
Di seguito le fotografie del vincitore e dei finalisti.
Santiago Carmona (Colombia), Vincitore con il progetto "Exceso de abundancia", 2018 – 2020.
Nel progetto “Exceso de abundancia”/“Eccesso di abbondanza” l’artista sviscera due aspetti contrastanti della vendita di alimenti nel nostro Pianeta e in particolare nei mercati del Latinoamerica: la ricchezza e la varietà dei prodotti che si coltivano nel continente e lo spreco di cibo, gettato anche se in buono stato.
Gli scatti fanno emergere un’enorme contraddizione e invitano a riflettere su una questione cruciale: come è possibile che in Paesi come la Bolivia e la Colombia (dove sono state realizzate le fotografie), in cui esiste una tale abbondanza, le risorse siano mal gestite e il problema della fame abbia numeri così alti?
Il progetto fa appello così alla responsabilità della vendita e del consumo di alimenti, poiché l’accesso al cibo, nelle giuste proporzioni e di qualità, è un diritto fondamentale di ogni essere umano.
Pablo Sosa (Uruguay), Menzione d’onore con il progetto “Ensayo sobre soberanía”, 2020
Gli scatti essenziali e diretti di Pablo Sosa portano a riflettere sulle modalità di produzione e consumo del cibo, evidenziando come la coscienza critica e le abitudini collettive si stiano sempre più logorando. L’autore invita a considerare aspetti cruciali e quotidiani quali la scelta dell’alimento, l’allevamento intensivo, la coltivazione fuori stagione. Si massimizzano i profitti riducendo i costi, sfruttando le donne, gli uomini e l’ambiente.
La serialità e la velocità imposte dalla Grande distribuzione organizzata sono fenomeni lontani da quella antica sapienza contadina, dove il cibo era espressione di una cultura e rispettato in quanto intimo legame con la Terra.
Bisogna riflettere, suggerisce l’autore, su quanto siano indotte le abitudini di consumo quotidiano dei cittadini e su come cambiarle, partendo da pratiche alternative, come produttori e consumatori, ripensando alle filiere e al modello di distribuzione del cibo, per migliorare la sovranità, intesa come modus vivendi consapevole nel rapporto con uno dei bisogni primari fondamentali: il cibo.
Eric Javier Markowski (Argentina), finalista con il progetto “Lo que en la carne se conserva”, 2016-2017
Le immagini scattate fanno parte della serie “Lo que en la carne se conserva”/“Quello che si conserva nella carne”, un progetto di ricerca artistico-visiva che si concentra sulla relazione tra arte contemporanea, migrazione e sviluppo dell’industria della carne in America Latina dal 1945 ad oggi. La serie fotografica punta il focus sulla cultura del lavoro nelle celle frigorifere e i processi di patrimonializzazione avvenuti in America Latina finora, in particolare in Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay.
Perché la produzione della carne in questi Paesi è una quesitone così dirimente? Fra Argentina, Paraguay e Bolivia sorge la zona del Gran Chaco, la più grande foresta tropicale dell’America Latina dopo quella amazzonica. In quest’area si registra uno dei più alti tassi di deforestazione del mondo; tra le cause principali c’è quella dell’espansione indiscriminata degli allevamenti.
Ana Caroline de Lima (Brasile), finalista con il progetto senza titolo, 2015-2019
Il reportage è un insieme di racconti sulla relazione tra i nativi latinoamericani e la terra; il loro modo di vivere ha origini ancestrali e si basa sull’armonia e il rispetto per i cicli della Natura, considerati nella loro dimensione quotidiana e allo stesso tempo sacrale.
C’è la storia di Marcelino, un indigeno Rikbaktsa (gruppo etnico del Brasile), che si assicura il mutum carijó (tipo di uccello) che lo sostenterà per un giorno: “Cacciamo perché non c'è un supermercato nella foresta, ma lo facciamo per sopravvivere in modo sostenibile, come abbiamo fatto per secoli”.
Tra gli scatti si trova anche quello dedicato a Luiz, un contadino di boliviano che lavora con la silvicoltura. “Non abbiamo bisogno di abbattere gli alberi, le piante sono ancora qui e la terra è più fertilizzata! Anche le mucche si nutrono meglio!".
Infine, le immagini parlano anche di Elizabeth, una ragazza mennonita, che impara a mungere le mucche di famiglia con il padre e ha il sogno di aprire un caseificio. “Potrei avere un caseificio quando sarò grande? Sarò la prima ragazza ad averne uno!”
Cristian Torres (Colombia), finalista con il progetto “Bodegones, caminos y cocinas”, 2019
Il progetto fotografico “Bodegones, caminos y cocinas” (Nature morte, cammini e cucine) è un insieme di nature morte che rende omaggio ai piatti tipici della tradizione colombiana, composizioni geometriche che mostrano uno dei tratti tipici della cultura del Paese.
Le immagini sono state scattate nel quartiere Moravia di Medellin, nato negli anni 80, un luogo di respiro interculturale dalle più varie sfumature etniche e religiose; in questo contesto la cucina è una delle espressioni culturali più ricche.
Le nature morte ritratte negli scatti esprimono una vitalità tipicamente latinoamericana, le loro geometrie parlano di sapori, odori e tecniche culinarie in grado di integrare differenze etniche, culturali e religiose.
Carlo Tello (Messico), finalista con il progetto “Sentle”, 2020
Le immagini traggono ispirazione da un antico mito messicano sul mais, considerato non come un semplice alimento, ma simulacro di sacralità. Secondo la mitologia, i progenitori decisero di creare esseri civilizzati che li sostentassero e nutrissero. Dopo tre fallimenti, riuscirono a creare l’essere umano, formandone il sangue con il mais. Nella prospettiva dell’artista, la frase “siamo ciò che mangiamo”, significa che “siamo esseri fatti di mais e mangiamo mais”.
Il progetto fotografico è composto da sei fotomontaggi sul rapporto tra il mais, la cultura messicana e le tradizioni maya, tenendo sempre presente il tema dell’agricoltura.
Leggi le motivazioni della giuria
di Eleonora Angeloni