Notizie
Suicidi in carcere, l’emorragia continua. Antigone: più telefonate per i detenuti
Secondo il 18esimo rapporto dell’associazione, nel 2021 sono state 57 le persone a essersi tolte la vita nei penitenziari italiani. E i numeri di quest’anno, ben peggiori della media Ue, sono sempre più preoccupanti. 24/8/22
Nel 2021 il numero dei suicidi in carcere in Italia è rimasto molto alto, sebbene con un lieve miglioramento rispetto all’anno precedente. Secondo i dati raccolti nella 18esima edizione del Rapporto "Il carcere visto da dentro" pubblicato dall’associazione Antigone, 57 persone private della libertà si sono tolte la vita negli istituti penitenziari italiani. Il documento ha fornito i numeri più significativi sulle condizioni di detenzione: rispetto al 2019 i reati nel 2021 sono in calo del 12,6%, ma dopo la pandemia sono ricominciati a crescere; diminuiscono gli omicidi rispetto al 2019; il 40% delle persone uccise sono state donne (erano il 35% nel 2019). Tuttavia un intero capitolo è stato dedicato alla questione delle morti volontarie in carcere.
Il tasso di suicidi in carcere. Un primo elemento fondamentale è quello del tasso di suicidi in carcere, ossia il rapporto tra il numero di suicidi e le persone mediamente presenti negli istituti di pena nel corso dell’anno: nel 2021, a fronte di una presenza media di 53.758 detenuti, si è attestato a 10,6 casi ogni 10mila persone detenute.
Fonte grafico: elaborazione associazione Antigone su dati del
Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria
Il confronto internazionale. “Il tasso di suicidi in carcere è il principale indicatore per analizzare l’ampiezza del fenomeno”, sottolinea il Rapporto. È infatti interessante vedere il confronto tra il tasso di suicidi in carcere nel nostro Paese e nel resto dell’Europa. Secondo il Rapporto Space 2021 (“Statistiques pénales annuelles du Conseil de l’Europe”), citato dall’associazione Antigone nella ricerca, l’Italia si trova al decimo posto per tasso di suicidi in carcere tra i Paesi membri del Consiglio d’Europa. Nel Rapporto dell’associazione viene precisato che la classifica fa riferimento ai dati del 2020, quando il tasso di suicidi in carcere in Italia era 11 casi ogni 10mila detenuti, mentre la Francia era maglia nera (27,9casi ogni 10mila detenuti).
Un trend in crescita. Con riferimento all’evoluzione del tasso di suicidi in carcere in Italia, il Rapporto afferma che “Guardando l’andamento del dato nell’ultimo decennio, osserviamo come nei due anni passati il tasso di suicidi in carcere sia particolarmente alto. Purtroppo tale crescita sembra confermarsi anche nel 2022, essendo già numerosi i casi di suicidi avvenuti nei primi mesi dell’anno”. Infatti, a fine agosto 2022 il numero di detenuti suicidi in Italia ha quasi raggiunto il valore del 2021, con 53 casi registrati. Il dato è fornito dalla rivista Ristretti orizzonti, una delle fonti sul quale si è appoggiato il Rapporto.
Fonte: Ristretti orizzonti
Nel corso del 2021, complessivamente 148 persone sono morte mentre erano private della libertà e sotto custodia dello Stato (dati Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria). “57 sono le persone che si sono tolte la vita mentre le restanti 91 sono generalmente indicate come morti avvenute per cause naturali”, rileva Antigone. I casi dei suicidi sono pertanto pari al 38,5% dei decessi totali. Come evidenzia Rita Bernardini (presidente dell’associazione “Nessuno tocchi Caino”) in una intervista rilasciata a Il Giornale, questo dato si attesta ben al di sopra della media europea, ovvero il 26%, e la forbice con i Paesi europei rischia di allargarsi ulteriormente nei prossimi anni.
Fonte grafico: elaborazione associazione Antigone su dati del Dap e dell’Oms
Fuori e dentro il carcere. Secondo il documento sulla prevenzione del suicidio in carcere dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che viene citato nel Rapporto, “i detenuti - se considerati come gruppo - hanno tassi di suicidio più elevati rispetto alla comunità”. Questo fattore non si manifesta solo all’interno del carcere, ma “gli individui che subiscono il regime di detenzione presentano frequenti pensieri e comportamenti suicidare durante tutto il corso della loro vita”. Nel Rapporto viene fatto un confronto, realizzato grazie a dati Oms e Dap, tra i tassi di suicidi fuori e dentro il carcere (non vengono quindi contati come una popolazione a parte gli ex-detenuti). Ne emerge una grande discrepanza tra i due valori: nel 2019, nel Paese il tasso di suicidi era pari allo 0,67 ogni 10mila presone, a fronte di un tasso di suicidi in carcere di 8,7, “oltre 13 volte in più rispetto alla popolazione libera”.
Ridimensionare il rischio. Antigone sottolinea che “le ragioni per cui in carcere i suicidi sono molto frequenti sono probabilmente dovute alla più densa presenza di gruppo vulnerabili, di persone in condizioni di marginalità, di isolamento sociale e di dipendenza”. Nel Rapporto viene infatti evidenziato come alcuni disturbi o fragilità personali possano essere messi sotto tensione in un contesto difficile come quello penitenziario, rischiando di “acuire situazione di pregressa sofferenza”.
Per alleviare queste situazioni di difficoltà, l’associazione richiede una modifica del regolamento penitenziario al fine di “prevedere una maggiore apertura nei rapporto con l’esterno, tramite la possibilità di svolgere più colloqui e soprattutto più telefonate e in qualsiasi momento”. Una proposta, quella di dotare le celle di un telefono, che è stata ripetuta a inizio agosto 2022 anche da Don David Maria Riboldi, cappellano del carcere di Busto Arsizio. Ma nel Rapporto viene anche ribadita la necessità di porre grande attenzione al “momento dell’ingresso e dell’uscita dal carcere, entrambe fasi particolarmente delicate e durante le quali avvengono numerosi casi di suicidi”, per permettere ai reclusi un adattamento progressivo al regime di privazione della libertà e, in uscita dal carcere, al ritorno alla vita normale. Il Rapporto affronta anche un altro contesto particolarmente delicato, ovvero “i momenti della vita penitenziaria in cui le persone detenute si trovano separate dal resto della popolazione carceraria perché in isolamento o sottoposti a un regime più rigido e con meno contatti con altre persone”.
di Milos Skakal