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Siamo sull’orlo del baratro: bisogna fare presto per evitare la catastrofe climatica
L’Ipcc sintetizza le conoscenze sulla crisi climatica: le soluzioni passano dalle rinnovabili, stop a centrali fossili ora attive. In futuro sarà impossibile adattarci, l’Italia subirà danni maggiori di altri Paesi. 29/3/23
“Siamo sull’orlo del baratro ma possiamo ancora evitare il peggio”. È il forte monito che arriva dall’ultimo studio del 20 marzo dell’Ipcc, il Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici dell’Onu, che sintetizza i risultati chiave emersi dalle tre parti - la prima sulle basi fisiche, la seconda sull’adattamento e la terza sulla mitigazione – di cui si compone la pubblicazione del sesto rapporto di valutazione (Ar6). Siamo di fronte a ciò che rappresenta il più grande lavoro mai fatto sulla crisi climatica. Indirizzato ai decisori politici di tutto il mondo, il documento mostra il percorso da compiere per metterci al riparo da quel sottile confine che in questo momento ci separa dalla catastrofe climatica.
"L'integrazione di un'azione climatica efficace ed equa non solo ridurrà le perdite e i danni per la natura e le persone, ma fornirà anche benefici più ampi", ha dichiarato il presidente dell'Ipcc Hoesung Lee. "Questo Rapporto di sintesi sottolinea l'urgenza di intraprendere azioni più ambiziose e dimostra che, se agiamo ora, possiamo ancora garantire un futuro sostenibile e vivibile per tutti". Di seguito i principali messaggi della pubblicazione.
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Clima: stato attuale e progressi (insufficienti)
È incontrovertibile: tutti gli studi sul tema, le migliaia di rilevazioni, i decenni di letteratura scientifica, ci mostrano che l’attività umana è responsabile dell’aumento delle temperature, chiara conseguenze delle emissioni climalteranti che continuano a macinare record su record. L’Ipcc infatti ribadisce e conferma che dal periodo preindustriale (1850-1900) al decennio 2011-2020 la temperature media del Pianeta è aumentata di circa 1,1°C per via dell’uso dei combustibili fossili (prima causa), di uno sbagliato uso del suolo, della deforestazione, di stili di vita e di modelli insostenibili di consumo e produzione. Nel corso degli anni si sono verificati rapidi ed estesi cambiamenti nelle condizioni dell’atmosfera, della biosfera, degli oceani e della criosfera.
La concentrazione dei gas serra in atmosfera ha raggiunto il livello più alto da due milioni di anni a questa parte, basti pensare che solo nel 2019 sono state immesse circa 59 miliardi di tonnellate di gas climalteranti. Di pari passo stanno accelerando e si intensificano la fusione dei ghiacciai e gli eventi estremi (siccità, inondazioni, ondate di calore, perdita dei raccolti…).
Oggi quasi la metà della popolazione mondiale (tra 3,3 e 3,6 miliardi di persone) vive in zone definite “hostpost climatici” – altamente vulnerabili al clima che cambia – che comprendono l’Africa subsahariana ma anche vaste aree dell’Europa, in particolare l’area mediterranea di cui l’Italia è parte. Tradotto: il nostro Pese è costretto a sperimentare livelli di riscaldamento maggiori e, dunque, andrà incontro a danni ambientali, economici e sociali maggiori.
Inoltre, sempre la stessa metà del Pianeta deve già fare i conti con la carenza idrica, ricordiamo che l’acqua è una risorsa fortemente minacciata dalla crisi climatica, e con flussi migratori intensificati da estreme condizioni ambientali. Ma a soffrire ci sono anche grossi pezzi di biodiversità: perdiamo preziosi servizi ecosistemici essenziali per la vita umana e intere specie animali e vegetali sono vittime di “mortalità di massa”.
Le proiezioni ci mostrano che se dovessimo rispettare gli attuali impegni presentati dai Paesi durante le Conferenze sul cambiamento climatico andremo verso un riscaldamento di 2,4°C da qui a fine secolo ma, dato che i Paesi al momento non riescono a rispettare neppure questi, tutto ci dice che l’aumento medio sarà di 2,8°C, se non di più.
C’è da dire che le leggi per ridurre le emissioni sono molto più numerose che in passato ma, spesso, sono insufficienti per raggiungere l’obiettivo di 1,5°C. Anche in termini di adattamento, che ricordiamo ha deli limiti – non ci si può adattare a tutto -, l’Ipcc (ri)lancia l’allarme: nonostante i progressi, esistono ancora troppi divari tra ciò che si è fatto e quello che serve (sull’argomento l’ASviS ha lanciato recentemente uno studio contentente le proposte operative per l’Italia). Anzi, il Rapporto ricorda che alcuni limiti dell’adattamento sono stati già superati o sono sul punto di esserlo. Per esempio, molte isole del Pacifico sono destinate a sparire per via dell’innalzamento dei mari, stesso discorso per alcuni fragili ecosistemi: con un aumento di 1,5°C sono a rischio tra il 70% e il 90% delle barriere coralline, con un aumento di 2°C il 99%. Ogni frazione di grado ha dunque un’importanza enorme, dato che le opzioni di adattamento che oggi sono fattibili ed efficaci in futuro potrebbero non servire a nulla.
L’Ipcc sottolinea più volte l’importanza di mantenere la temperatura al di sotto o, nel caso non ce la facessimo, almeno intorno all’obiettivo di 1,5°C. Anche se incredibilmente difficile, si tratta di un obiettivo ancora alla portata, a patto che si riducano drasticamente le emissioni gas serra in un breve arco temporale che porta al 2030. Tempo che deve consentire una riduzione di almeno la metà (il 48%) dei gas climalteranti rispetto al 2019.
Le soluzioni più urgenti per diventare resilienti
Le opzioni per ridurre le emissioni di gas serra e adattarsi ai cambiamenti climatici causati dall'uomo sono “molteplici, fattibili ed efficaci, e sono disponibili ora”. Tutti i percorsi da intraprendere a livello globale per limitare il riscaldamento a 1,5°C, ma anche a 2°C, implicano una riduzione delle emissioni di gas serra rapida e profonda, in tutti i settori e in questo decennio.
"I maggiori guadagni in termini di benessere potrebbero derivare dalla priorità di ridurre i rischi climatici per le comunità a basso reddito ed emarginate, comprese le persone che vivono negli insediamenti informali", ha dichiarato Christopher Trisos, tra gli autori del Rapporto, "l'accelerazione dell'azione per il clima sarà possibile solo se i finanziamenti aumenteranno in modo considerevole”. Ma i finanziamenti per il clima al momento risultano insufficienti e ancora troppi soldi pubblici e privati vanno nella direzione opposta, quella dei combustibili fossili. Scrive l’Ipcc: “i governi, attraverso finanziamenti pubblici e segnali chiari agli investitori, sono fondamentali per ridurre queste barriere. Anche gli investitori, le banche centrali e le autorità di regolamentazione finanziaria possono fare la loro parte”.
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Molto dipenderà dalla trasformazione del sistema energetico
Bisogna ridurre in modo sostanziale l’uso dei combustibili fossili dato che solo le strutture fossili attive in questo momento sono in grado di vanificare l’obiettivo 1,5°C. Per l’Ipcc è necessario sia accelerare sull’impiego delle rinnovabili sia chiudere le centrali fossili prima del previsto (cioè del loro “naturale” ciclo di vita). La rivoluzione che deve investire il comparto energetico passerà da una elettrificazione su larga scala, in modo da coinvolgere edifici, trasporti, e industria. Ma anche il cambiamento nel settore alimentare – in particolare quello degli allevamenti - e negli stili di vita può e deve svolgere un ruolo cruciale, a patto che vi sia una trasformazione “a basse emissioni di carbonio”. Definite essenziali anche le tecniche di rimozione della CO2 dall’atmosfera come l’afforestazione, anche se questa va pianificata in modo efficace per evitare i rischi sociali e ambientali derivanti dall’uso delle terre. Meno invece servirà la Carbon and capture storage (Ccs), una tecnologia poco affidabile per la comunità scientifica. Tra le altre possibili soluzioni anche il ripensamento delle città in chiave sostenibile e la protezione di almeno il 30%-50% delle terre e degli oceani (su questo è chiara la Convenzione sulla diversità biologica).
Si tratta di cambiamenti che hanno maggiori probabilità di successo quando c'è ampia fiducia della popolazione, come ha ricordato Lee: “I cambiamenti trasformativi hanno maggiori probabilità di successo quando c'è fiducia, quando tutti collaborano per dare priorità alla riduzione dei rischi e quando i benefici e gli oneri sono condivisi in modo equo. Viviamo in un mondo eterogeneo in cui ognuno ha responsabilità diverse e diverse opportunità di apportare cambiamenti. Alcuni possono fare molto, mentre altri avranno bisogno di sostegno per gestire il cambiamento".
Sono tantissimi i vantaggi derivanti da un’azione climatica di breve termine. Efficaci e rapide attività di mitigazione e adattamento potrebbero infatti portare in questo decennio a ridurre i danni sul benessere umano: con edifici e sistemi di trasporto meno inquinanti potremmo per esempio beneficiare di condizioni di vita migliori.
Le molteplici opportunità derivanti dall’azione climatica sono ben descritte nella seguente immagine: il lato sinistro mostra le risposte climatiche e le opzioni di adattamento valutate per la loro fattibilità su scala globale; la parte destra fornisce una panoramica delle opzioni di mitigazione e dei loro costi e potenziali stimati al 2030. Da notare che anche il nucleare per l’Ipcc avrà un ruolo per il contrasto al riscaldamento globale anche se molto limitato: sono le energie rinnovabili a dover guidare l’urgente processo di decarbonizzazione.
Le azioni legate al clima sono strettamente connesse anche al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Secondo lo studio l’attività di contrasto al cambiamento climatico ci avvicina anche al raggiungimento dell’Agenda 2030 delle Nazioni unite.
Il mondo dipende dalle scelte fatte oggi
“Bisogna subito spingere sull’acceleratore. Ogni Stato deve trasformarsi in parte della soluzione. Se aspettiamo che siano gli altri ad agire per prima, sarà l’umanità ad arrivare ultima”, ha affermato il segretario generale delle Nazioni unite, António Guterres.
Il cambiamento climatico ha già causato impatti, perdite, danni, ha alterato gli ecosistemi terrestri, quelli di acqua dolce, gli oceanici di tutto il mondo.
Fanno parte dell’Ipcc 195 Paesi, il Rapporto è stato revisionato 6841 volte e approvato da 47 governi (21 da Paesi sviluppati, due economie in transizione, 22 Paesi in via di sviluppo, due piccoli Stati insulari in via di sviluppo). La scienza è chiara, “la finestra dell’azione si sta drammaticamente chiudendo”, il limite di 1,5°C rischia di essere superato nei prossimi anni. I governi passano al vaglio gli studi, ne sono consapevoli. La crisi climatica è una responsabilità e una scelta politica: ora o mai più.
di Ivan Manzo