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Rapporto InterMu-Se: in Europa crescono antisemitismo e islamofobia
Un’indagine su sei Paesi fotografa l’aumento dell’odio religioso e delle discriminazioni, in particolare nei luoghi di lavoro. In Italia difficile aprire luoghi di culto. Educazione e dialogo strumenti chiave contro il pregiudizio. 7/8/25
L’odio religioso continua a minacciare la coesione sociale in Europa. A lanciare l’allarme è il Rapporto transnazionale del progetto InterMu-Se, iniziativa europea che coinvolge sei Paesi (Grecia, Italia, Irlanda, Spagna, Cipro e Francia) e mira a combattere la discriminazione e l'intolleranza religiosa. Il documento, frutto di un’ampia ricerca (sondaggi, interviste, raccolta di buone pratiche) condotta nel 2024-2025, offre un'analisi completa della situazione dell'antisemitismo e dell’islamofobia nei sei Paesi e identifica le principali sfide, gli interventi efficaci e le raccomandazioni per la costruzione di coalizioni interreligiose.
Dati allarmanti
L'intolleranza religiosa in Europa, evidenzia il Rapporto, ha radici storiche profonde che continuano a plasmare le forme di pregiudizio. La ricerca rivela come eventi storici, tensioni geopolitiche e identità nazionale abbiano contribuito a creare modelli complessi di antisemitismo e odio anti-musulmano che variano significativamente da Paese a Paese. Nonostante le origini storiche diverse, queste forme di pregiudizio religioso condividono un tratto comune: il meccanismo di "separazione". Le minoranze religiose vengono spesso percepite come incompatibili con l'identità nazionale. In tutti i Paesi coinvolti si registra un aumento significativo di episodi di antisemitismo e odio contro i musulmani, soprattutto in concomitanza con eventi geopolitici come il conflitto in Medio Oriente scoppiato ad ottobre 2023.
La discriminazione nei luoghi di lavoro in Europa è una delle forme più diffuse: ebrei e musulmani segnalano ostacoli nell’accesso all’impiego, salari inferiori e ambienti ostili, soprattutto quando indossano simboli religiosi visibili. Le donne musulmane con hijab sono particolarmente penalizzate.
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Il ruolo dei media
Il Rapporto segnala che le piattaforme digitali, spesso senza adeguato controllo, sono diventate canali privilegiati per la diffusione di contenuti d’odio. Allo stesso tempo, una parte della stampa tradizionale continua a diffondere stereotipi dannosi, collegando l’identità religiosa a insicurezza, estremismo o minor valore civico.
La situazione in Italia
La situazione italiana non è diversa da quella degli altri Paesi, con una serie di criticità che ostacolano la piena inclusione religiosa. Una delle più evidenti è la mancanza di conoscenza e consapevolezza sulla diversità religiosa. Nei contesti scolastici, ad esempio, si riscontra una forte carenza di educazione interculturale e religiosa: gli studenti non ricevono strumenti per comprendere le culture e le fedi altrui, e gli insegnanti non sempre sono adeguatamente formati per affrontare temi così delicati e complessi. Questo vuoto educativo alimenta stereotipi, paure e distanza tra le comunità. Anche la gestione dei luoghi di culto rappresenta un ostacolo concreto. In molte città italiane, in particolare per le comunità islamiche, ottenere autorizzazioni per aprire spazi di preghiera è estremamente difficile. Le resistenze locali, spesso alimentate da pregiudizi o disinformazione, impediscono la realizzazione di spazi sicuri e riconosciuti dove potersi ritrovare e praticare la propria religione.
Esperienze virtuose
Nonostante le difficoltà, il panorama italiano offre numerosi esempi di impegno concreto per costruire ponti tra le comunità religiose. Il Rapporto racconta alcune di queste esperienze virtuose, nate dal basso, che dimostrano come l’inclusione sia possibile quando si investe in ascolto, cultura e relazioni autentiche. Una delle iniziative più significative è il progetto “Un mare di lettere sulle sponde del Mediterraneo”, che ha coinvolto giovani di diverse origini religiose e culturali in un percorso di lettura e scrittura condivisa. Attraverso la letteratura i partecipanti hanno scoperto somiglianze, superato pregiudizi e creato legami. Molto interessanti anche le esperienze di reti interreligiose al femminile, in cui donne musulmane, ebree e cristiane si sono riunite per confrontarsi su temi comuni come il ruolo delle donne nelle rispettive tradizioni religiose, il senso della spiritualità, la partecipazione civica. Infine, nelle scuole italiane si stanno sviluppando percorsi educativi sperimentali che mirano a costruire una cittadinanza più inclusiva.
Le raccomandazioni
Il Rapporto propone una visione concreta e attuabile per migliorare la convivenza e rafforzare la coesione sociale. Le proposte si muovono lungo quattro assi principali.
In primo luogo, è essenziale ripensare la formazione di chi opera nella scuola e nelle istituzioni pubbliche. Insegnanti, educatori, mediatori culturali e funzionari pubblici dovrebbero poter accedere a percorsi formativi strutturati, che li aiutino a comprendere la diversità religiosa, affrontare stereotipi e sviluppare competenze interculturali. Un secondo passaggio riguarda la creazione di spazi stabili per il dialogo interreligioso nelle città. Non bastano eventi sporadici o tavoli occasionali: servono luoghi riconosciuti e accessibili, dove le comunità possano confrontarsi, ascoltarsi, progettare insieme iniziative e superare diffidenze reciproche. Il dialogo ha bisogno di radici e continuità. Altrettanto importante è il coinvolgimento attivo delle donne e dei giovani nei processi decisionali. Non devono essere solo destinatari delle politiche, ma anche protagoniste. Il loro sguardo è spesso portatore di innovazione, coraggio e capacità di mediazione, fondamentali per superare le logiche dell’esclusione.
Infine, il Rapporto invita a promuovere una comunicazione pubblica più etica e responsabile, in grado di raccontare la diversità religiosa senza cadere nella semplificazione o nello stereotipo. I media, così come i canali istituzionali, hanno una grande responsabilità nel plasmare l’immaginario collettivo: usare un linguaggio rispettoso e informato può fare la differenza nella percezione sociale delle minoranze.
di Tommaso Tautonico
