Sviluppo sostenibile
Lo sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri.

L'Agenda 2030 dell'Onu per lo sviluppo sostenibile
Il 25 settembre 2015, le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, un piano di azione globale per le persone, il Pianeta e la prosperità.

Goal e Target: obiettivi e traguardi per il 2030
Ecco l'elenco dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals - SDGs) e dei 169 Target che li sostanziano, approvati dalle Nazioni Unite per i prossimi 15 anni.

Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile
Nata il 3 febbraio del 2016 per far crescere la consapevolezza dell’importanza dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e per mobilitare la società italiana, i soggetti economici e sociali e le istituzioni allo scopo di realizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile.

Altre iniziative per orientare verso uno sviluppo sostenibile

Contatti: Responsabile Rapporti con i media - Luisa Leonzi
Scopri di più sull'ASviS per l'Agenda 2030

The Italian Alliance for Sustainable Development (ASviS), that brings together almost 300 member organizations among the civil society, aims to raise the awareness of the Italian society, economic stakeholders and institutions about the importance of the 2030 Agenda for Sustainable Development, and to mobilize them in order to pursue the Sustainable Development Goals (SDGs).
 

Notizie

Un mondo più vecchio sarà anche più pacifico? La teoria di Haas sulla “Pax geriatrica”

Secondo il politologo americano, società che invecchiano avranno eserciti ridotti, più risorse nel welfare e opinioni pubbliche meno disposte ad accettare la guerra. [Da FUTURAnetwork] 7/8/25

giovedì 7 agosto 2025
Tempo di lettura: min

L’invecchiamento demografico che colpisce la maggioranza dei Paesi del mondo potrebbe agire da freno alle guerre. È la tesi proposta da Mark L. Haas, professore alla Duquesne University di Pittsburgh. Non una previsione ottimistica, ma una teoria fondata su dati e analisi storiche. In un articolo pubblicato il 25 luglio su Foreign Affairs, il politologo americano sviluppa un’interpretazione originale della pace nel Ventunesimo secolo, legando il declino demografico globale alla possibilità di una nuova forma di stabilità internazionale.

Secondo Haas, tre elementi contribuiranno a limitare la possibilità, e la volontà, di intraprendere guerre su larga scala: governi con meno risorse economiche, cittadini più anziani e meno propensi al rischio, bilanci pubblici assorbiti da pensioni e welfare. Una “Pax geriatrica”, come la definisce, destinata a segnare l’equilibrio geopolitico del secolo.

Haas, che al tema aveva già dedicato il saggio The geriatric peace: population aging and the decline of war, nella sua analisi parte inevitabilmente dal trend demografico globale. Nel 1950 solo il 5% della popolazione mondiale aveva più di 65 anni; entro il 2050 questa quota sarà più che triplicata, secondo le Nazioni unite. In Asia orientale, ad esempio, si prevede che entro il 2050 ci saranno 48 milioni di giovani (tra i 18 e i 23 anni) in meno rispetto al 2020, un calo del 42%.

Per il professore la connessione tra età media e conflittualità dei Paesi non è teorica. Analizzando i dati sui conflitti dal 2012 al 2023, Haas nota che la percentuale media di over 65 nei Paesi che hanno avviato guerre era solo del 5%, circa la metà della media globale. Le guerre, insomma, si fanno dove ci sono molti giovani e pochi anziani. Alla base ci sono forti ragioni sociali. Secondo una serie di indagini, le persone tendono a diventare più pacifiste con l’avanzare dell’età. Haas cita, tra gli altri, un report del Pew research center secondo cui gli americani anziani sono sistematicamente più diffidenti verso l’uso della forza militare rispetto ai giovani. In Cina gli over 60 sono meno propensi a vedere gli Stati Uniti come una minaccia o a sostenere un intervento militare per motivi nazionali.

Anche le condizioni economiche si intrecciano con queste dinamiche. Il calo della forza lavoro in età produttiva sta già erodendo la crescita economica di molte potenze: in Giappone, tra il 2020 e il 2050, si prevede una diminuzione del 28% della popolazione attiva, in Cina del 23%, in Germania del 17%. Meno lavoratori, osserva il politologo, significano meno risorse da allocare, inclusi gli investimenti militari. In parallelo, crescono i costi per pensioni, sanità e assistenza: sempre più governi si trovano a rivedere le priorità di bilancio, a scapito delle spese per la difesa.

Oltre al fattore economico, c’è quello umano. Con meno giovani disponibili, le forze armate avranno crescenti difficoltà a raggiungere gli obiettivi di reclutamento, sia in termini quantitativi che qualitativi. Haas cita il caso del Giappone, che dal 2000 al 2021 ha ricoperto in media solo il 93% del personale militare autorizzato, nonostante il progressivo allentamento degli standard di età e requisiti fisici. Problemi simili affliggono l’esercito cinese, che continua a soffrire una cronica carenza di soldati qualificati, e anche la Russia, che negli anni 2010 non è riuscita a reclutare un numero sufficiente di militari di leva e a contratto, ben prima dell’invasione dell’Ucraina.

Una tesi che ha già acceso il dibattito tra gli esperti. Secondo José María Martínez Pérez, economista senior presso il centro di ricerca spagnolo Repsol, quella di Haas “è un'ipotesi solida, soprattutto se l'attenzione si concentra su guerre convenzionali prolungate tra grandi potenze. Ma credo che non debba essere confusa con una tendenza globale verso la pace: lo stesso invecchiamento che raffredda i conflitti militari potrebbe riscaldare altre forme di confronto”.  Pérez porta gli esempi delle guerre economiche o dei conflitti informatici, dove i costi umani sono inferiori, ma la posta in gioco strategica è alta. Anche altri esperti ricordano che se la guerra diventasse più "automatica" (droni, intelligenza artificiale, cyberconflitti) sarebbe meno vincolata all’evoluzione della demografia.

D’altronde lo stesso Haas riconosce che “l'invecchiamento della popolazione non eliminerà completamente la guerra”. Aggiungendo però che tutti gli stati che invecchiano, indipendentemente dalle loro ambizioni, “non avranno altra scelta che affrontare direttamente gli effetti di questa rivoluzione demografica. L'invecchiamento, quindi, è destinato a diventare una potente forza di pace mai esistita prima”.

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