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Italia, diminuiscono le spese per l’ambiente: da 8,3 mld nel 2010 a 4,8 nel 2016
Rapporto sul Capitale Naturale in Italia, Rapporto - ambiente Snpa, Annuario Ispra dei dati ambientali 2017: tre differenti documenti per definire lo stato di salute del territorio e del mare.
“Il 2017 ha segnato un importante punto di svolta dell’articolato e lungo percorso di sostenibilità del nostro Paese”, viene specificato nel Secondo rapporto sullo stato del capitale naturale in Italia, elaborato dal Comitato per il Capitale Naturale (Ccn). presieduto dal ministro dell’Ambiente, della tutela del territorio e del mare.
Il capitale naturale è definito come: “l’intero stock di asset naturali (organismi viventi, aria, acqua, suolo e risorse geologiche) che contribuiscono a fornire beni e servizi di valore, diretto o indiretto, per l’uomo e che sono necessari per la sopravvivenza dell’ambiente stesso da cui sono generati”. Una definizione molto ampia, che include per esempio: fauna ittica per il nutrimento, le fibre tessili per produrre abiti, un paesaggio alpino o un parco urbano per passeggiare, i sistemi di piante e micro-nutrienti del suolo che preservano dal dissesto idrogeologico, la biodiversità degli insetti necessaria all’impollinazione.
“Il Ccn cerca quindi di definire una nuova misura della ricchezza della nostra nazione (data l’evidente inadeguatezza del Pil)”, afferma il Rapporto, “avviando la misurazione del valore fisico e monetario della dotazione di foreste, biodiversità, fiumi, mari, e della totalità di ecosistemi di cui siamo ricchissimi”.
Come sottolineato nelle raccomandazioni del Primo rapporto, la “sfida principale di un percorso lungo e appena agli inizi, è quella di elaborare schemi concettuali, raccogliere dati, affinare modelli sulla misurazione del capitale naturale”. In questo rapporto viene quindi maggiormente raffinata la valutazione biofisica degli ecosistemi terrestri a livello eco-regionale e regionale, anche con aggiornamenti sullo stato di conservazione di alcuni di essi. Inoltre, “il focus sul valore biofisico degli stock di capitale naturale nelle eco-regioni marine”, afferma il rapporto, “mette in luce i primi risultati di un progetto sperimentale finalizzato ad un sistema di contabilità ambientale per le aree marine protette italiane”. Vengono approfonditi inoltre alcuni dei principali elementi di pressione sugli asset del capitale naturale, come il consumo di suolo e la frammentazione degli ecosistemi naturali e semi-naturali, che ne mettono a rischio lo stato di conservazione le funzionalità.
Questo secondo rapporto, inoltre, inizia a delineare un percorso metodologico importante in merito all’attribuzione di una misurazione monetaria del flusso di “servizi ecosistemici” prodotti dal nostro capitale naturale, quali l’impollinazione agricola, i servizi ricreativi, la purificazione delle acque, oltre che valutazioni economiche della qualità degli habitat e dell’importante servizio di mitigazione dell’erosione del suolo.
Ampia attenzione è stata dedicata inoltre all’impatto dei cambiamenti climatici sulla capacità degli ecosistemi di continuare a garantire questi “servizi ecosistemici”, anche attraverso dei focus su criticità ambientali di grande attualità per l’Italia, quali gli incendi e la siccità.
Nell’ultima parte del rapporto vengono inoltre fornite alcune indicazioni preliminari relative agli effetti delle politiche pubbliche sul capitale naturale. Il rapporto evidenzia che le risorse destinate nel 2016 alla spesa primaria per la protezione dell’ambiente sono pari allo 0,6% circa della spesa primaria complessiva del bilancio dello Stato. Negli ultimi anni l’ammontare complessivo si è significativamente ridotto, passando da 8,3 miliardi di euro del 2010 a 4,8 miliardi del 2016. Un modo per rendere più efficienti le politiche di tutela e valorizzazione del capitale naturale potrebbe giungere da una migliore organizzazione delle imposte ambientali (3,6 % del Pil nel 2016), incentivando un uso più razionale delle risorse e iniziative di potenziamento dei sistemi naturali, come le cosiddette “infrastrutture verdi”.
Di diverso focus è invece il Rapporto Ambiente – SNPA, che offre un quadro completo sullo stato di salute dell’ambiente in Italia e, al contempo, evidenzia le particolarità di situazioni locali. Di particolare interesse è lo studio condotto sul settore biologico italiano. “L’analisi della conduzione biologica aziendale consente di conoscere l’adozione delle pratiche agronomiche più idonee a garantire un buon livello di qualità ambientale e di biodiversità, la salubrità degli alimenti e il benessere degli animali da allevamento”. Nel 2016 la superficie coltivata secondo il metodo biologico in Italia è stata pari a circa 1,8 milioni di ettari con un incremento del 20,4% rispetto al 2015. In termini assoluti sono stati convertiti al biologico oltre 300mila ettari. “I principali orientamenti produttivi riguardano le colture foraggere, i pascoli e i cereali”, attesta il rapporto. Gli operatori del settore sono oltre 72mila con un aumento del 20,3% rispetto al 2015.In poche parole, conclude il rapporto, “continua la crescita del biologico italiano che, anche nel 2016, registra valori sorprendenti; è un trend che prosegue costante da diversi anni in Italia, come anche in Europa e nel mondo”.
L’Annuario Ispra dei dati ambientali 2017 si concentra invece sui temi della biodiversità e del cambiamento climatico. “L’Italia è uno dei paesi più ricchi di biodiversità”, afferma il rapporto, con “58mila specie animali, 7.634 entità di flora vascolare e 3.873 entità di flora non vascolare”, ma, allo stesso tempo, “con il 31% dei vertebrati e il 54% delle piante vascolari minacciati dai cambiamenti climatici”. Un’importante problematica riguarda l’introduzione di specie alloctone (2.700), potenzialmente invasive, e quindi ad alto fattore di rischio per la biodiversità. La superficie terrestre delle aree protette in Italia è pari al 10,5% del territorio nazionale.
Per quanto riguarda il cambiamento climatico in Italia, la caratteristica più rilevante del 2016, che si è poi riaffermata con ancor maggiore intensità nel primo semestre del 2017, è stata la persistenza di un’anomalia della temperatura media di + 1,35 gradi centigradi, superiore a quella globale (+ 1,31°C). Questo innalzamento della temperatura ha portato a un incremento delle ondate di calore, per un quantitativo pari a 10 giorni (2016) rispetto al valore medio calcolato nel trentennio di riferimento 1961- 1990.
Scarica i rapporti:
Secondo Rapporto sullo Stato del Capitale Naturale in Italia
Annuario Ispra dei dati ambientali 2017
di Flavio Natale