Sviluppo sostenibile
Lo sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri.

L'Agenda 2030 dell'Onu per lo sviluppo sostenibile
Il 25 settembre 2015, le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, un piano di azione globale per le persone, il Pianeta e la prosperità.

Goal e Target: obiettivi e traguardi per il 2030
Ecco l'elenco dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals - SDGs) e dei 169 Target che li sostanziano, approvati dalle Nazioni Unite per i prossimi 15 anni.

Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile
Nata il 3 febbraio del 2016 per far crescere la consapevolezza dell’importanza dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e per mobilitare la società italiana, i soggetti economici e sociali e le istituzioni allo scopo di realizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile.

Altre iniziative per orientare verso uno sviluppo sostenibile

Contatti: Responsabile Rapporti con i media - Niccolò Gori Sassoli.
Scopri di più sull'ASviS per l'Agenda 2030

The Italian Alliance for Sustainable Development (ASviS), that brings together almost 300 member organizations among the civil society, aims to raise the awareness of the Italian society, economic stakeholders and institutions about the importance of the 2030 Agenda for Sustainable Development, and to mobilize them in order to pursue the Sustainable Development Goals (SDGs).
 

Notizie

Trump prosegue sulla linea anti-ambientalista, i Caraibi pagano le conseguenze

Il presidente americano sta cancellando i fondi promessi da Obama per combattere il cambiamento climatico nei Paesi in via di sviluppo.  In crisi anche il Green climate fund, con le dimissioni di Bamsey.

Le isole caraibiche sono tra le regioni maggiormente esposte ai cambiamenti climatici. Inoltre, rientrano in quel gruppo di Paesi, (formato per la maggior parte dalle nazioni più povere al mondo), che emettono circa un quinto delle emissioni globali di carbonio, subendo gli effetti più ingenti del surriscaldamento globale. Durante l'ultimo anno di presidenza, l’amministrazione di Barack Obama ha lanciato una partnership molto ambiziosa da 25 milioni di dollari con una piccola organizzazione di ricerca in Belize chiamata Centro dei Cambiamenti Climatici della Comunità Caraibica (Ccccc), partnership mutilata dall’amministrazione Trump. Ed è proprio la condizione di questa struttura di ricerca alla base di un articolo del New Yorker dal titolo Trump’s Cuts In Climate-Change Research Spark a Global Scramble For Funds, di Natalie Meade.

L'articolo si concentra in prima battuta sugli obiettivi del Centro: “Questo programma vuole studiare il cambiamento climatico nei Caraibi e sviluppare strategie per minimizzarne l'impatto”. Nella regione caraibica, infatti, gli effetti del cambiamento climatico sono sotto gli occhi di tutti: innalzamento del livello del mare, sbiancamento della barriera corallina e siccità, tutti fattori che minacciano le infrastrutture e la salute economica dei 44 milioni di abitanti dei Caraibi, il cui benessere dipende principalmente dallo sviluppo del turismo e dell’agricoltura. A questo proposito, Zadie Neufville, portavoce del Centro, dice: "La nostra zona è una delle più esposte ai rischi ambientali. Per vivere qui e poter ospitare i turisti dobbiamo mitigare e adattarci". A questo proposito, l’Usaid (Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale) ha fornito negli anni finanziamenti per dispositivi di mappatura laser aerea e boe ad alta tecnologia per monitorare la salute delle barriere coralline e del mare circostante, oltre che strumenti di previsione dati, all’interno del Programma di adattamento ai cambiamenti climatici.

Dopo le elezioni presidenziali del 2016, però, l'amministrazione Trump, sostenuta da un Congresso a tinte repubblicane, ha ridotto il sostegno degli Stati Uniti alla ricerca per il clima, costringendo il Centro, così come le iniziative analoghe, a cercare finanziamenti all’estero. Secondo un funzionario dell’Usaid, “i finanziamenti americani per il progetto del Centro si concluderanno nel 2019, anziché nel 2020, a causa di un cambiamento nelle priorità di politica estera e sicurezza nazionale dell'Amministrazione".

Queste scelte politiche creano una significativa distanza rispetto a quelle compiute dall’amministrazione Obama, quando gli Stati Uniti primeggiavano come maggior donatore del Fondo verde per il clima (fondo per aiutare i Paesi in via di sviluppo a investire in tecnologie rinnovabili e a basse emissioni). Obama aveva promesso tre miliardi di dollari, un terzo dei quali è stato versato prima che lasciasse l'ufficio. Trump, che ha glissato la discussione sul cambiamento climatico come “una bufala diffusa dalla Cina”, non ha promesso denaro al Fondo verde per il clima, portando lo stesso direttore Howard Bamsey alle dimissioni all’inizio di questa settimana. La Casa Bianca ha infatti tagliato finanziamenti per circa duecento milioni di dollari, che equivalgono a una riduzione del 70% rispetto alle spese dell'era Obama.

In Africa, l'amministrazione Trump si è mossa per eliminare i finanziamenti per progetti legati al clima in tutto il continente, compresi i fondi per Senegal, Etiopia e Mozambico. Nel 2017 Usaid prevedeva di investire in Indonesia, uno dei più grandi Paesi emettitori di anidride carbonica del mondo, 23,3 milioni in progetti ambientali, incluso un programma di riforestazione per il controllo delle emissioni. Solo sette milioni di dollari sono stati assegnati al Paese nella proposta di bilancio del 2019.

La politica anti-ambientalista del tycoon ha scatenato le reazioni dell’ala democratica del congresso: il senatore Patrick Leahy, democratico del Vermont, ha accusato l'amministrazione Trump di applicare tagli “esclusivamente per incrementare i profitti dell'industria dei combustibili fossili”. "I potenti interessi di carbone, petrolio e gas esercitano un'influenza enorme a Washington, in particolare con i repubblicani alla Casa Bianca e al Congresso", ha affermato Leahy. "Se gli Stati Uniti, uno dei maggiori contributori al riscaldamento globale, non danno l’esempio, avremo fallito quello che è forse il test più importante della nostra generazione per quanto riguarda l'abitabilità futura della Terra."

A causa di questi ingenti tagli, il Centro si è trovato costretto a congelare piani per studi pilota sulle isole caraibiche, riducendo anche le sessioni di formazione per l’utilizzo di Cariwig, un importante database che consente ai ricercatori e ai responsabili politici di simulare l'impatto di uragani, mareggiate e altri eventi meteorologici. I ricercatori del Centro sperano dunque che i finanziamenti promessi dall'Italia, dall'Australia e da altri Paesi salvino il progetto: "Una volta che perdiamo finanziamenti e sostegno, è difficile per noi andare avanti", ha detto Diana Ruiz, a capo dei corsi di formazione del Ccccc.

Nella parte conclusiva, l’articolo del New Yorker si focalizza sulle conseguenze che questi fenomeni possono avere per gli americani stessi. “Il cambiamento climatico nei Caraibi avrà un impatto diretto sugli Stati Uniti”, sostiene Ulric Trotz, scienziato e direttore esecutivo del Centro. “Quando si verificano grandi uragani”, spiega lo scienziato, “molte vittime fuggono nel Paese più vicino con condizioni più stabili (nella maggior parte dei casi gli Stati Uniti) e questo crea ingenti ondate migratorie. Si tratta, in sostanza, di un problema emisferico a cui dobbiamo fare attenzione."

 

di Flavio Natale

 

giovedì 26 luglio 2018

Aderenti