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Sviluppo della democrazia: tonfo dell'Italia nella classifica dell’Economist
Nel mondo avanza la democrazia, anche se in maniera non omogenea tra tutti i 165 paesi analizzati da The Economist Intelligence Unit. I paesi più virtuosi: Nuova Zelanda e Australia. Sorpresa di Mauritius. 16/1/2019
Solo il 4,5% della popolazione mondiale vive attualmente in una "democrazia piena", lo racconta il rapporto “Democracy Index 2018: Me too? Political participation, protest and democracy”, pubblicato da The Economist Intelligence Unit, la società di consulenza sorella dell’Economist, che fornisce un'istantanea sullo stato della democrazia in 165 paesi.
Lo studio calcola un indice globale di democrazia basandosi su cinque aspetti della vita politica: processo elettorale e pluralismo; libertà civili; il funzionamento del governo; partecipazione politica e cultura politica. Per la prima volta in tre anni il punteggio complessivo è rimasto stabile nel 2018: solo 42 paesi hanno registrato un calo rispetto al 2017, mentre ben 48 stati hanno registrato un miglioramento. Allo stesso tempo, gli elettori di tutto il mondo sembrano abbandonare le forme di partecipazione tradizionali, in favore di forme democratiche dirette. Per esempio, i cittadini statunitensi che esprimono soddisfazione per il Congresso sono solo il 18%. Eppure l'affluenza alle elezioni di metà mandato del 6 novembre è stata la più alta da oltre cento anni e la percentuale di donne al Congresso è salita del 23%, raggiungendo il massimo storico.
Tra i paesi classificati come "democrazie complete" spiccano i paesi dell'Europa Occidentale e del Nord America, insieme ad Australia, Nuova Zelanda, Uruguay, Costa Rica e Mauritius in Africa. Mentre le “democrazie incompiute” rappresentano la maggior parte dei paesi in America Latina, Europa Orientale e Asia. Tuttavia anche in Europa Occidentale esistono dei ritardi: l'Italia è uno di questi.
Il nostro Paese è stato protagonista nel 2018 di un tonfo nella classifica globale del Democracy Index, passando dal 21° posto al 33° attuale. Il voto dello scorso 4 marzo, caratterizzato da una profonda disillusione nei confronti della politica e delle istituzioni, ha segnato il successo di due forze anti-establishment: Lega e Movimento 5 stelle. Il report dedica molta attenzione al vice premier e ministro dell'Interno Matteo Salvini. Lo studio denuncia che il ministro ha spesso usato una retorica anti-straniera molto criticata dalle associazioni per i diritti umani, che ha sostenuto gli sfratti di membri della comunità Rom nonostante la Corte europea dei diritti dell'uomo ne avesse ordinato lo stop, che si è rifiutato di far sbarcare nel porto di Catania 150 naufraghi salvati dalla nave della guardia costiera italiana Diciotti. Tutto ciò contribuisce, secondo il documento dell’Economist, al rischio di un deterioramento delle libertà civili con "gravi conseguenze per i più vulnerabili".
di William Valentini