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Le sfide europee, tra sviluppo sostenibile e democrazia in crisi
L’European Strategy Centre pubblica due rapporti incentrati sulle sfide che interesseranno l’Ue nei prossimi anni. Gli SDGs come centro del modello di sviluppo, le scelte di oggi determinano le sfide di domani. 10/4/2019
Il difficile rapporto tra crescita economica e limiti biofisici del Pianeta, gli effetti della transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio, le esternalità negative che rendono inefficiente il mercato e scaricano enormi costi sociali sulle spalle della collettività. E poi le sfide sociali da affrontare entro il 2030 e il mondo del lavoro che cambia.
Sono solo alcuni dei fenomeni in cui si trova coinvolta l'Europa, analizzati nei due rapporti presentati l'8 aprile dall'European Political Strategy Centre, rispettivamente dal titolo "Europe's Sustainability Puzzle" e "Global Trends to 2030: Challenges and choises for Europe".
Il primo studio mostra come gli europei si sentano sempre più sfiduciati dalle disuguaglianze che interessano il vecchio continente, soprattutto se parliamo di opportunità per il futuro, mal distribuite e poco omogenee.
Pian piano che si manifestano i cambiamenti che incidono in modo negativo sulla società e l'economia i cittadini si distaccano dalle istituzioni. A essere messo in discussione è l'approccio "business as usual", da superare grazie a politiche legate allo sviluppo sostenibile e all'attuazione dell'Agenda 2030.
Per il rapporto l'Unione deve impostare le proprie strategie mettendo al centro gli SDGs e il motivo è semplice: si tratta di un modello capace sia di difendere meglio il benessere collettivo che di proteggere le persone da eventi esterni che scaturiscono da fattori ambientali, e dagli effetti indesiderati generati dalla globalizzazione. Una strada, questa, capace di far sentire le persone più tutelate e in grado di riavvicinarle alla politica europea.
Un'opportunità da cogliere al volo se si vuole davvero puntare a una profonda trasformazione socio-economica del Continente, al fine di assicurare prosperità di lungo termine sia alle generazioni presenti che a quelle future.
Il documento descrive dunque le scelte che l'Europa deve compiere per non perdere la possibilità di intraprendere un sentiero di sviluppo sostenibile di lungo termine. Per farlo è assolutamente necessario disinvestire il prima possibile dai combustibili fossili e passare a un sistema rinnovabile. Ma il processo di decarbonizzazione non deve interessare solamente il settore energetico; bisogna investire simultaneamente nei mercati, nella politica, nell'industria, nella ricerca scientifica e persino nell'approccio culturale delle persone.
Da un sistema basato sulla crescita del Pil e la massimizzazione del profitto privato a uno basato sulla diffusione del valore aggiunto tra le fila più deboli della popolazione, da una società costruita sull'uso dell'auto propria alla condivisione dei trasporti pubblici, e poi finanza sostenibile, una fiscalità a sostegno dei meno abbienti e strumenti a tutela di tutte le forme di lavoro. Questi alcuni dei cambiamenti che l'Europa non può permettersi di fallire.
Il rapporto “Global trends to 2030: Challenges and choises for Europe”, invece, si sofferma sul ruolo che l’Europa dovrà giocare nel prossimo decennio. Come può l’Unione non finire schiacciata nella guerra commerciale intrapresa tra Cina e Stati Uniti? Riuscirà l’Europa ad affermarsi leader nell’innovazione tecnologica? Cosa andrà fatto entro il 2030 per renderla competitiva in un mondo in rapida evoluzione? Lo studio cerca di rispondere a queste domande partendo da un semplice assunto: “il futuro è adesso, le sfide di domani sono determinate dalle scelte di oggi”.
Tra i cambiamenti all’orizzonte su cui non bisogna arrivare impreparati, c’è quello che riguarda da vicino il futuro democratico del pianeta. Se fino al 2005 i dati ci dicevano che il mondo stava diventando un posto dove aumentava la libertà di pensiero e di azione, da quella data le cose sono cominciate a cambiare. Negli ultimi 13 anni, infatti, la democrazia nel mondo è in calo e sono in aumento i conflitti civili.
C’è poi la questione che tocca da vicino il potere economico. Basti pensare che se oggi quattro nazioni europee, contando anche la Gran Bretagna, rientrano tra le maggiori economie al mondo, nel 2050 solo la Germania ha buone probabilità di rimanere in questa classifica. L’economia mondiale comincia infatti a parlare sempre più una lingua asiatica: nel 2005 l’economia cinese aveva un valore di sei volte inferiore a quella europea, oggi invece il gigante asiatico con un valore di circa 11,4 migliaia di miliardi di euro ha quasi raggiunto quello dell’Ue a 27 Stati pari a 13,5 migliaia di miliardi. Senza dimenticare che è necessario governare fenomeni come la nuova rivoluzione industriale e il mondo del web, sempre più connesso, passato dal miliardo di utenti nel 2005 ai quattro miliardi attuali.
Certo, guardando ai processi che interesseranno il mondo nel prossimo decennio, e soprattutto agli attori in campo, potrebbe sembrare che il vecchio continente sia chiamato a fare solo da spettatore. Ma l’Europa deve essere molto di più, il mondo ha bisogno di un ispirazione per creare un futuro migliore, di un faro per la democrazia. Se l’Europa ha intenzione di esserlo, si legge nel documento, “la scelta è nostra, soltanto nostra”.
di Ivan Manzo