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I conflitti sono ostacoli all’istruzione, ma l’educazione può sconfiggere la guerra
WeWorld Index 2019: la possibilità di studiare è un diritto umano imprescindibile e una condizione necessaria per garantire inclusione a livello sociale e sviluppo economico. [VIDEO] 16/4/2019
Le donne e i bambini, e tra questi specialmente le bambine, sono esposti a un maggiore rischio di povertà, esclusione sociale e violazione dei diritti umani. Non ci sono dubbi per WeWorld-gvc onlus, che anche quest’anno ha presentato l’edizione del suo rapporto annuale, composto da 34 indicatori economici e sociali, in grado di misurare il grado di inclusione di donne, adolescenti, bambine e bambini in 171 nazioni. Lo studio inoltre presta particolare attenzione al tema della scuola, specialmente nei Paesi devastati da guerre e cataclismi naturali.
In merito alla classifica, le nazioni nordeuropee (Norvegia, Islanda, Svezia) risultano ai primissimi posti, mentre gli Stati del profondo sud del mondo (Sud Sudan, Chad, Repubblica Centroafricana) scendono in fondo alla lista.
Il Rapporto pone l’attenzione sull’assenza nel WeWorld Index di Palestina e Somalia, Paesi in cui da decenni i diritti di bambini e bambine sono stati totalmente disattesi. Non ci sono buone notizie per l’Italia, che scende alla 27esima posizione, rientrando nella categoria “sufficiente”, mentre negli anni precedenti era definita una nazione dalla “buona inclusione”. Il nostro Paese continua a beneficiare di una rendita di posizione per quanto riguarda salute e capitale umano ed economico, ma non per l’inclusione economica delle donne e l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Inoltre, in cinque anni sono peggiorati i risultati sulla sicurezza ambientale e non migliorano gli indicatori relativi alla violenza di genere e sui bambini. Eppure non bisogna scoraggiarsi. Come illustra Enrico Giovannini, portavoce dell’ASviS, in un approfondimento all’interno del Rapporto, l’Italia sta facendo degli sforzi interessanti per creare una società maggiormente inclusiva in grado di proteggere i più vulnerabili, perseguendo la sostenibilità sociale e ambientale, attraverso uno strumento fondamentale per questo percorso: l’Agenda 2030. Come scrive Giovannini, la strada è quella di coinvolgere nella sua attuazione le istituzioni locali, che sono maggiormente a contatto con il cittadino rispetto ai governi nazionali (…) ora le Regioni sono chiamate a elaborare delle “Strategie regionali di sviluppo sostenibile”, anche sulla spinta del recente bando a tal fine disegnato dal ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Tornando alla classifica, gli Stati in fondo alla lista sono quelli più colpiti dagli effetti del cambiamento climatico, fenomeni che provocano pesanti conseguenze sulla produzione alimentare, sulla salute fisica e mentale delle persone. Cambiamento climatico e guerre inoltre sono fenomeni strettamente legati e comportano gravi implicazioni sulla vita di tutti e tutte, specialmente bambini, bambine, adolescenti e donne.
L’edizione 2019 del Rapporto punta il focus sul tema dell’educazione nei Paesi devastati dalle guerre. In Africa, ad esempio, un bambino su 13 muore prima di aver compiuto cinque anni, mentre nei Paesi ad alto reddito, questo numero è pari a 1 su 185. Inoltre, i bimbi e le bimbe nati da madri non istruite hanno una probabilità più che doppia di morire prima di compiere i cinque anni rispetto a quelli nati da madri con un’istruzione di livello secondario o superiore.
L’articolo 26 della Costituzione dei diritti umani sancisce il diritto all’istruzione per tutte e tutti. Non solo, senza un buon grado di educazione viene meno la fioritura della persona e della società, elementi senza i quali perseguire uno sviluppo sostenibile diventa impossibile.
Purtroppo i risultati delle ricerche non sono positivi: il 50% dei bambini in età prescolare non ha accesso a sistemi educativi, mentre a livello mondiale 303 milioni di bambini tra i cinque e i 17 anni, di cui più della metà sono bambine, non vanno a scuola. A cosa sono dovuti questi numeri? Il Rapporto afferma a chiare lettere che i conflitti sono una delle principali barriere al diritto all’educazione. Tra il 2013 e il 2017 le aggressioni (uccisioni, lesioni, mutilazioni, torture, rapimenti, matrimoni precoci, minacce) hanno colpito 21mila tra studenti ed educatori in 70 Paesi. Anche il reclutamento dei bambini arruolati nei gruppi armati continua ad essere un fenomeno diffuso: i bambini soldato nel mondo sono più di 250mila, reclutati persino a scuola. Inoltre in 29 nazioni forze armate istituzionali o non istituzionali occupano le scuole utilizzandole come basi militari di addestramento, caserme o rifugi temporanei.
Le conseguenze delle guerre non si fermano ai territori devastati dalle violenze. Si stima che circa la metà dei rifugiati sono bambini/e e che 3,7 milioni di questi minori non frequentano la scuola.
Se sono i conflitti il principale ostacolo per l’istruzione, è anche vero che l’educazione è l’arma più potente contro la guerra. Il Rapporto afferma infatti che garantire il diritto allo studio è diventata una delle priorità nell’ambito di conflitti e conseguenze di catastrofi ambientali. Le strutture scolastiche possono garantire ai bambini misure di maggiore protezione, poiché sono luoghi dove i minori possono essere monitorati sia dal punto di vista della sicurezza che della protezione personale. Buone pratiche educative inoltre presentano il beneficio di formare le nuove generazioni alla cultura della pace e della cooperazione, in grado di gestire i conflitti in maniera non violenta.
“Assicurare un’istruzione di qualità, equa ed inclusiva, e promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti”, come proclama l’Obiettivo 4 degli SDGs, è una meta chiave per favorire l’inclusione nella società e garantire pace e giustizia non solo oggi ma anche nel futuro, formando cittadine e cittadini in grado di progettare e fare scelte rispettose per l’ambiente e la società.
di Eleonora Angeloni