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Onu: chi nasce oggi rischia di vivere in un mondo più caldo di tre gradi
Obiettivi 2020 e 2050, le Nazioni Unite revisionano gli impegni nazionali: il percorso è giusto ma il livello di soddisfazione lontano. Solo 75 Stati sono in linea, ed entro il 2030 si rischia un aumento del 10,7% delle emissioni. 18/10/2019
“L'accordo di Parigi deve affrontare il suo primo importante test nel 2020: i segnali sono promettenti, ma bisogna fare molto di più per limitare le emissioni e adattarsi al peggioramento del clima”. Questa è, secondo un'analisi congiunta del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp) e della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), la panoramica degli impegni dei Paesi Onu sul surriscaldamento globale, elaborata nel Rapporto “The heat is on – Taking stock on global climate ambition”, pubblicato il 18 settembre.
Alcune nazioni stanno attualmente rivedendo i piani climatici presentati a Parigi, estesi fino al 2025 o 2030, per alzarli di livello, mentre altri stanno preparando strategie a lungo termine per decarbonizzare le loro economie. “Questo Rapporto ci aiuta a comprendere se i leader mondiali affrontano il vertice sul clima con piani concreti, e non discorsi" afferma Mina Mohammed, vicesegretaria generale Onu. Le nazioni in via di sviluppo sono in prima linea nei preparativi per la revisione dei piani nazionali per combattere la crisi climatica. “Almeno 112 Stati, che rappresentano il 53% delle emissioni globali, hanno segnalato questo intento”. La maggior parte della crescita globale - in termini di popolazione, economie e urbanizzazione – avrà infatti luogo in questi Paesi, rendendo vitale definirne i percorsi sostenibili.
Il percorso verso il 2030 si basa infatti su piani d'azione per il clima noti come "Contributi determinati a livello nazionale" (Ndcs), spina dorsale dell'accordo di Parigi. Quasi tutte le parti - 184 su 197 - hanno già presentato i loro progetti, fissando obiettivi per ridurre le emissioni di gas a effetto serra entro il 2025 o il 2030. Un principio chiave dell'accordo di Parigi è che le nazioni rafforzeranno i loro obiettivi ogni cinque anni per incrementare la lotta contro il riscaldamento globale. Una prima opportunità per farlo sarà, appunto, il 2020. Di queste nazioni, 75 Stati (che rappresentano il 37% delle emissioni), compresi anche alcuni in via di sviluppo, hanno presentato progetti soddisfacenti.
37 nazioni intendono "aggiornare" i loro piani esistenti con nuovi dati e informazioni (16% delle emissioni). Il piano di aggiornamento di 71 Paesi (tra i quali ci sono anche alcuni Stati sviluppati) che rappresentano il 21% delle emissioni globali di gas serra, è, invece, oscuro; 41 di questi stanno ancora decidendo come intendono avvicinarsi alle loro revisioni Ndcs, 10 non hanno fornito alcuna informazione sulle loro intenzioni e i restanti 20 intendono presentare Ndcs riveduti ma stanno ancora cercando i mezzi per farlo. Infine, 14 Paesi (26% delle emissioni) non hanno alcun progetto per revisionare gli obiettivi.
Gli impegni nazionali, comunque, sembrano non bastare. “Gli Ndcs esistenti mettono il mondo sulla strada per un aumento delle emissioni entro il 2030 di circa il 10,7% rispetto ai livelli del 2016”, afferma l'analisi Onu. Tra le altre tendenze preoccupanti, l'Agenzia internazionale dell'energia (Aie) ha sottolineato che le emissioni globali di biossido di carbonio legate all'energia sono aumentate, tra il 2017 e 2018, dell'1,7%, il tasso di crescita più elevato dal 2013. L'accordo di Parigi ha inoltre invitato i Paesi, sempre entro il 2020, a descrivere i piani a lungo termine (Lts) per aumentare la resilienza e ottenere l’obiettivo emissioni zero entro il 2050.
Finora, 12 nazioni hanno condiviso formalmente i loro Lts, inclusi i principali produttori di emissioni industriali come Stati Uniti, Giappone, Germania, Regno Unito, Francia, Canada e Messico, nonché Paesi in via di sviluppo altamente vulnerabili come Figi e Isole Marshall. Altre 97 nazioni hanno indicato che stanno pianificando la neutralità dal carbonio.
Inoltre, “I flussi finanziari globali legati al clima sono aumentati del 17% nel periodo 2015-2016, (rispetto al 2013-2014) raggiungendo 681 miliardi di dollari” dichiara il documento. Questo livello, però, è ancora ben al di sotto delle esigenze finanziare richieste per un futuro green, calcolando che è proprio lo scarso accesso ai finanziamenti che limita l'ambizione dei Paesi in via di sviluppo nel cammino verso la sostenibilità.
“La mancanza di consapevolezza sui cambiamenti climatici è un collo di bottiglia per la mobilitazione collettiva” aggiunge il Rapporto. Tuttavia, un crescente movimento giovanile per il clima, ispirato da attivisti adolescenti come Greta Thunberg e Jamie Margolin, sta premendo per un'azione concreta entro il 2020, esigendo dai leader mondiali maggiori responsabilità. Questo gruppo di pressione, noto come "Generazione Z", è infatti quello che subirà le conseguenze maggiori dei cambiamenti climatici. In base alle tendenze attuali, si calcola che un bambino nato oggi rischia di passare la vecchiaia in un mondo più caldo di 3°C rispetto ai livelli preindustriali.
“Nel complesso, questo Rapporto evidenzia molte ragioni per essere ottimisti, ma rimane molto lavoro da fare” conclude Mina Mohammed. “Dobbiamo compiere più sforzi – molti di più - in settori legati alla mitigazione, all'adattamento e alla finanza per supportare tutto questo lavoro. E dobbiamo farlo in fretta”.
di Flavio Natale