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La perdita di biodiversità entro il 2050 ci costerà 10mila miliardi di dollari
Il Wwf e i 222 scienziati di Future earth mettono in guardia sul futuro del Pianeta, ma cambiare rotta è possibile e porta grandi benefici alla salute e all’economia. Ecco quali sono i cinque maggiori rischi per l’umanità. 25/2/20
L’azione antropica sul Pianeta sta mettendo a dura prova la capacità degli ecosistemi di rigenerarsi e di fornire una serie di beni e servizi necessari al benessere umano. I servizi ecosistemici ci proteggono dalle inondazioni, filtrano le impurità presenti nell’aria e nell’acqua, stoccano CO2 nel terreno, producono cibo e materiali utilizzati dal sistema economico. Il danno fin’ora provocato è enorme, e continuare su questa strada (insistendo con quello che gli scienziati chiamano scenario “bau” del business as usual, dove in pratica non viene fatto nulla per invertire la rotta) potrebbe costare quasi 10mila miliardi di dollari entro il 2050, in termini di perdita di Pil.
È quanto sostiene lo studio reso noto il 12 febbraio dal Wwf, il Global futures report, che per la prima volta ha effettuato questo genere di stima. La ricerca si è focalizzata sul modo in cui le modifiche apportate al capitale naturale incidono sull’economia globale: a questi ritmi, la riduzione dell’offerta dei servizi ecosistemici porterebbe da qui al 2050 a una perdita dello 0,67% del Pil globale annuo. In pratica, ogni anno andrebbero in fumo 479 miliardi di dollari. Cifra che, come detto in precedenza, a metà secolo equivarrebbe alla perdita di 9,87mila miliardi di dollari (tra il 2011 e il 2050).
Tra gli effetti indesiderati la scarsità d'acqua e il calo della popolazione di impollinatori, capaci di influenzare i livelli di produzione agricola e del commercio, in particolare in Africa orientale e occidentale, in Asia centrale e in alcune parti del sud America. Un costo salatissimo, scaricato di fatto sulle spalle dei cittadini globali, basti pensare che lo studio annovera tra i costi per la collettività l’aumento dei prezzi del legname dell'8%, del cotone del 6%, dei semi oleosi del 4%, della frutta e della verdura del 3%, tutte materie prime “irrinunciabili”.
Ma se il mondo riuscisse ad adottare un modello guidato dallo sviluppo sostenibile, dove viene messa al centro la salvaguardia della biodiversità, il Pil crescerebbe dello 0,02% annuo, per un totale di 490miliardi di dollari al 2050. L’azione, oltre a evitare gli ingenti costi descritti, dunque, contribuirebbe a creare ricchezza per l’intero sistema economico.
Si parla sempre di futuro, più o meno roseo, anche nell’ultimo lavoro rilasciato il 7 febbraio da Future earth, un network globale di scienziati, ricercatori e innovatori, che si battono per un Pianeta più sostenibile. In “Our future on earth 2020” si dimostra che il potere distruttivo di una serie di disastri ambientali, come gli incendi boschivi degli ultimi tempi (compresi quelli australiani e dell’Amazzonia), sia amplificato e intensificato dai cambiamenti climatici.
Nel rapporto 222 scienziati provenienti da 52 Paesi identificano i cinque maggiori rischi globali: si va dal fallimento delle azioni di mitigazione e adattamento al clima che cambia agli eventi estremi, passando per la perdita di biodiversità e il collasso degli ecosistemi, la crisi alimentare e le crisi idriche. Gli scienziati specificano che questi rappresentano i rischi maggiori, in termini di impatti negativi, sia per la salute umana sia per i sistemi naturali, e che ciascuno dei rischi influenza l’altro, aggravandosi a vicenda.
Nel Rapporto vengono trattati diversi temi, tra cui cibo, politica, flussi migratori, stato degli oceani e il ruolo ricoperto dal mondo dell’informazione al tempo della crisi climatica. Inoltre viene evidenziata l’importanza del comparto digitale nel ridurre le emissioni di gas serra e nel consentire di monitorare e proteggere gli ecosistemi. Tuttavia, denuncia il team di ricerca, grossa parte della tecnologia viene oggi utilizzata per sostenere la crescita economica piuttosto che per tutelare il capitale naturale. Eppure è una questione che riguarda da vicino la salute dei cittadini, dato che la transizione verso un’economia orientata allo sviluppo sostenibile potrebbe evitare entro il 2030 i due terzi delle morti premature legate all’inquinamento atmosferico (ogni anno nel mondo perdono la vita per questo motivo circa 7 milioni di individui), tanto per fare un esempio.
Infine gli scienziati si chiedono: “l’umanità continuerà a prosperare sulla Terra?” Dipende, soltanto un’azione tempestiva, capace di modificare il “peso” dell’uomo sul Pianeta, consentirà di evitare i peggiori impatti dettati dalla crisi climatica e degli ecosistemi.
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di Ivan Manzo