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La pandemia mette a rischio i progressi raggiunti in termini di capitale umano
L’indice del capitale umano di 174 Paesi nell’ultimo decennio è molto migliorato, secondo la Banca mondiale, ma gli effetti del Covid rischiano di gravare su sanità pubblica, assistenza sanitaria e scolarizzazione obbligatoria. 6/10/20
“Il Covid-19 ha colpito nel momento in cui il mondo era più sano e istruito che mai”, ha annunciato il Rapporto The Human capital index 2020 update: human capital in the time of Covid-19 pubblicato a settembre dalla Banca mondiale, che copre il 98% della popolazione mondiale fino a marzo 2020. Il dossier è un’istantanea del mondo prima della pandemia - spiegano gli autori - in cui la sanità pubblica e l’assistenza sanitaria, la scolarizzazione obbligatoria e gli aiuti economici alle famiglie vulnerabili hanno migliorato gli indici mondiali del capitale umano.
Per capitale umano - rileva il Rapporto - “si intende il livello di conoscenza, abilità e salute che le persone accumulano nel corso della loro vita, grazie alle quali possono realizzare il proprio potenziale come membri produttivi della società”. L’indice del capitale umano (HCI) è una metrica internazionale che confronta i componenti del capitale umano nei 174 Paesi che hanno messo a disposizione i loro dati in materia di istruzione e salute. Si registra che nell’ultimo decennio il capitale umano mondiale sia progredito in media del 4%, grazie ai miglioramenti in termini di salute e a un maggiore successo nel campo dell’istruzione.
Tuttavia, l’interruzione delle catene di approvvigionamento e i blocchi emanati per scongiurare il contagio durante la pandemia, insieme all’interruzione dei servizi sanitari di base e la chiusura delle scuole, stanno mettendo a dura prova i redditi delle famiglie e hanno un forte impatto sul processo di accumulazione del capitale umano nel breve e nel lungo periodo. In questi ultimi sei mesi, più di un miliardo di bambini ha smesso di frequentare la scuola. I bambini risultano ancora i soggetti più a rischio durante la pandemia, per la mancanza di cure mediche e vaccini necessari, mentre il divario di genere è ancora altissimo, mostrando che in media le donne hanno un tasso di occupazione inferiore del 20% rispetto agli uomini, con un picco del 40% in Asia meridionale, Medio Oriente e Nord Africa.
Nonostante i progressi registrati prima della pandemia, inoltre, il Rapporto evidenzia che un bambino nato oggi in un Paese qualsiasi può aspettarsi di raggiungere soltanto il 56% del proprio capitale umano potenziale, rispetto a parametri di riferimento di istruzione completa e piena salute. Le attuali lacune nell’indice di capitale umano - spiega il dossier - si registrano maggiormente nei Paesi a basso reddito, colpiti da violenza, conflitti e fragilità istituzionali, dove non è agevole mettere in campo scelte politiche adeguate. Nei Paesi più poveri, infatti, un bambino oggi potrà raggiungere soltanto il 30% del proprio capitale umano potenziale entro i suoi 18 anni, mentre in un Paese ricco il dato corrispondente è pari all’80%. Alcuni Paesi, però, ottengono risultati migliori sul capitale umano rispetto ai loro livelli di reddito, come nel caso di Estonia, Kirghizistan, Vietnam, Cisgiordania e Gaza. Al contrario, in un certo numero di Paesi, il capitale umano è inferiore rispetto a quanto suggerirebbe il reddito pro capite: in Italia, Lussemburgo, Bulgaria, Romania e Ucraina, per esempio, il tasso di iscrizione a scuola è in calo rispetto al passato.
In conclusione, spiegano gli autori, il dossier ha evidenziato l’importanza di investire sul capitale umano a livello politico e la necessità di misurarlo, per progettare interventi efficaci e indirizzare il supporto a coloro che sono più bisognosi e per fare in modo che tutti i bambini realizzino il proprio pieno potenziale.
di Viola Brancatella