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Misurare la cultura è possibile, ma bisogna cambiare prospettiva
Investire sui dati per evitare scelte miopi, inserire la cultura nelle politiche e misurarla non come processo ma come risultato. Ecco quanto emerso all’evento della Fondazione Unipolis sul ruolo della cultura per la sostenibilità. 2/12/20
“La connessione tra investimento culturale e coesione e inclusione sociale è fortissima. La cultura può contribuire alla realizzazione di uno sviluppo sostenibile in maniera decisiva”. Con queste parole il presidente dell’ASviS e della Fondazione Unipolis, Pierluigi Stefanini, ha inaugurato la tavola rotonda virtuale dal titolo “Il ruolo della cultura per lo sviluppo sostenibile” nella giornata del 30 novembre.
L’incontro, promosso dalla Fondazione Unipolis e moderato dalla direttrice Marisa Parmigiani, ha avuto come obiettivo quello di mettere in luce come l’investimento e la produzione culturale siano aspetti rilevanti per la realizzazione dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) e come, mai come in questo momento storico, sia fondamentale avere una progettazione condivisa di lungo termine, con uno sguardo rivolto prioritariamente alla sostenibilità. “C’è bisogno di costruire una risposta simultanea e convergente alla pandemia, per dimostrare quanto siano vicini tra di loro l’etica e la vita quotidiana, il benessere sociale e quello economico. La potenza dell’intelligenza collettiva può essere la risposta per gestire questi fenomeni così complessi”, ha sottolineato Stefanini.
Ispirazione dell’evento è stata la pubblicazione del report “Culture 2030 Indicators” dell’Unesco, che propone un approccio metodologico per valorizzare il ruolo della cultura nel raggiungimento degli Obiettivi dell’Agenda 2030, sia come settore di attività indipendente, sia come elemento trasversale a tutti i Target.
Ma è possibile misurare la cultura? E, soprattutto, come farlo? Il tema sfidante della metrica, proposto all’interno del report Unesco, è stato successivamente affrontato da Valentina Montalto, policy analyst presso il Joint research centre (Jrc) della Commissione europea: “Bisogna provare a cambiare prospettiva: la cultura non si può misurare in quanto processo, ma in quanto risultato. Se riuscissimo ad avere dati comparati ed accessibili sulla partecipazione culturale sarebbe già una conquista. Dagli anni 80 è stato fatto tantissimo sul tema degli indicatori culturali. È vero che, ancora oggi, i dati sono spesso inesistenti e incomparabili, ma esistono molti dati per cui vale la pena avviare un’armonizzazione. Si rischiano delle scelte miopi se non si investe sui dati, cercando di capire come utilizzarli e a che fine nel passaggio al decision making”, ha affermato. “Come fare a misurare il contributo della cultura allo sviluppo sostenibile? L’Unesco ci ha provato, considerando la cultura come guida per nuovi paradigmi di crescita, come abilitatore del cambiamento e come punto cardine per la creazione di nuovi saperi e nuovi processi di inclusione sociale che garantiscano la diversità”, ha proseguito. Montalto ha infine ricordato lo schema utilizzato dall’Unesco per raggruppare gli indicatori tematici per la cultura:
- ambiente e resilienza: misurare come la cultura contribuisca alla creazione di insediamenti umani sostenibili;
- economia e prosperità: misurare come la cultura abbia impatto sullo sviluppo di economie inclusive e sostenibili;
- saperi e competenze: misurare come la cultura generi un bagaglio di competenze artistiche e saperi locali tradizionali tramandati nel tempo;
- inclusione e partecipazione: misurare come la cultura generi partecipazione e inclusione tramite anche la pratica della libertà artistica.
Per quanto riguarda il metodo, per ogni indicatore l’Unesco propone una scheda tecnica con indicazioni sulla costruzione della metrica. Il lavoro proposto è puramente metodologico, ma è necessario investire di più sulla ricerca e sui dati perché gli indicatori possono aiutarci ad identificare le fonti di sviluppo insostenibile, dandoci l’opportunità di cambiare paradigma di azione e di misura. “Gran parte delle politiche usa ormai il cruscotto dell’Agenda 2030. La cultura, misurata solitamente come esternalità, diventa in questa fase una grandissima opportunità. L’attività culturale è trasformativa se si lega a ciò che la abita, mettendola all’interno delle missioni pubbliche e dentro i processi di sviluppo per costruire una vera e propria intersezione”, ha affermato Paolo Venturi, Direttore dell’Aiccon. “I dati, generati da un ecosistema, dovranno rispondere a diverse sfide, tra le quali: l’esigenza di nutrire le funzioni culturali delle aree strategiche della pubblica amministrazione, il sostegno e lo sviluppo di nuove competenze, l’ingresso di nuovi paradigmi culturali nella governance delle politiche e la tutela della biodiversità culturale in un’ottica di tutela delle fasce più deboli”, ha concluso Venturi.
Successivamente è intervenuto Matteo Lepore, Assessore al turismo, alla promozione della città e alla cultura del Comune di Bologna, che ha incentrato il suo discorso sull’importanza del ruolo delle città e dei territori nella promozione culturale e su come si possa cambiare l’approccio al lavoro delle amministrazioni comunali adattandosi ai bisogni dei territori e promuovendo politiche culturali per il cambiamento sociale ed economico: “I territori più resilienti sono stati quelli che durante la pandemia avevano già fatto alcuni investimenti. Il Comune di Bologna ha confermato 11 milioni per gli operatori culturali, aggiungendo le risorse per il personale (arrivando così a 35 milioni di euro). Questo investimento rappresenta il 7% del bilancio del Comune. Bisogna quindi lavorare sul welfare e sulla coesione sociale, integrando il lavoro delle scuole, dei teatri, delle biblioteche, delle associazioni e di tutti i soggetti coinvolti”.
La centralità della responsabilità condivisa per il raggiungimento degli SDGs e della scelta di considerare la cultura come driver e come elemento abilitante è stata ripresa dalla Paola Dubini, coordinatrice del gruppo di lavoro trasversale sulla Cultura dell’ASviS, che ha sottolineato come ci sia ancora molto da fare per costruire un set di indicatori aggiornati e condivisibili, che ruotino intorno alle dimensioni identificate dal Rapporto Unesco. Oltre a ribadire l’importanza dell’osservazione analitica dell’attività culturale delle singole città, Dubini ha affermato che per generare valore culturale a livello nazionale bisogna considerare in maniera strutturata aspetti come la partecipazione, l’offerta e la tenuta dell’infrastruttura culturale, inserendo la cultura dentro le politiche e le pratiche.
Ha preso poi la parola il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo Dario Franceschini, che ha affermato: “L’assenza della cultura nelle città per mesi ha fatto capire anche ai decisori politici o alle fasce sociali che non accedono direttamente ai servizi culturali come il nostro Paese sia più arido senza l’offerta culturale che viviamo quotidianamente. Questo ha sviluppato ulteriormente in noi la consapevolezza che occuparsi di cultura in Italia, andando oltre la conservazione e la tutela del patrimonio materiale e immateriale, è un’attività vastissima. C’è molto da riprogettare e sarà possibile farlo al meglio se la capacità della politica sarà quella di intercettare la domanda dei cambiamenti, dedicando spazio e risorse all’industria culturale creativa e prendendo atto dell’innovazione culturale contemporanea”.
Si è unito successivamente all’intervento del Ministro Pierluigi Sacco, professore ordinario di Economia della cultura alla Iulm, che ha ribadito l’importanza della raccolta dati nel grande sforzo di costruire un nuovo paradigma culturale: “La cultura è un concetto controverso, difficile da classificare. Il ruolo della cultura è legato ai comportamenti umani, alle risposte cognitive degli esseri umani. Alla luce di un approccio integrato richiesto dallo sviluppo sostenibile, c’è un bisogno di accountability per inserire la cultura nelle politiche e aprire così ponti per un nuovo dialogo.”
L’ultimo relatore del convegno è stato Mauro Felicori, Assessore alla cultura e al paesaggio della Regione Emilia-Romagna, che ha incentrato l’intervento su quelli che sono gli impedimenti per il raggiungimento dell’Agenda 2030: “Due sono gli aspetti avversari alle tesi proposte fino ad ora: in primo luogo il sistema dell’industria culturale privato è timido ed esita ad entrare dentro il mondo dei beni culturali. Inoltre, il sistema pubblico storicamente non considera di essere un attore dello sviluppo e della promozione culturale. Non si deve parlare solo di conservazione e ricerca, ma anche di promozione culturale. Il sistema culturale deve diventare la locomotiva di questi processi. Le grandi città restano il motore dello sviluppo culturale, ma le regioni come istituzioni avranno un ruolo sempre più importante. La regione deve diventare la rappresentazione di un grande asse, non qualcosa di avverso alle città”.
L’evento si è chiuso con i ringraziamenti di Marisa Parmigiani e le conclusioni del presidente Stefanini che ha ribadito nuovamente che “L’Agenda 2030 ci aiuta e stimola a considerare tutti gli attori. La coalizione deve essere larga e forte. Il gioco bisogna farlo insieme”.
di Cecilia Menichella
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