Notizie
How was life: nuove prospettive sul benessere e la disuguaglianza dal 1820
Non solo Pil: l'ultimo rapporto dell'Ocse approfondisce gli sviluppi storici del benessere multidimensionale. Una nuova ricerca sulla perdita della biodiversità pone l'accento sui costi ambientali dello sviluppo economico. 15/04/21
Stiamo meglio dei nostri antenati? La qualità della vita è migliorata negli ultimi 200 anni? A questo proposito, l'Ocse ha pubblicato il 25 marzo il nuovo rapporto “How was life? New perspectives on well-being and global inequality since 1820” (Com'era la vita? Nuove prospettive sul benessere e la disuguaglianza globale dal 1820) che segue una prima edizione, edita nel 2014. Lo studio, redatto in collaborazione con Clio-Infra e The Maddison Project, mantiene una prospettiva d'insieme, fornisce stime su 25 Paesi e otto regioni del mondo, ma rispetto alla precedente pubblicazione considera anche ulteriori dimensioni del benessere collettivo.
È indubbio che la rivoluzione industriale abbia rappresentato una svolta cruciale nella storia dell'umanità rimodellando le società e avviando una nuova era di crescita economica: le ultime stime storiche, infatti, mostrano che il Pil medio pro capite della popolazione mondiale è aumentato di 13 volte tra il 1820 e il 2010. L'essere umano di oggi, pertanto, è senza dubbio molto più ricco rispetto alla media dei suoi antenati.
Tuttavia, rileva l’Ocse, il prodotto interno lordo fornisce un quadro incompleto del modo in cui le società si evolvono. In primo luogo, il Pil cattura solo l'aspetto materiale dell'esperienza umana, ma non considera altri elementi essenziali per la qualità della vita come la salute, le competenze o il benessere. E poi non rende conto di come tale produzione sia ripartita tra le diverse classi sociali. Non ci si può limitare, quindi, a misurare le differenze storiche basandosi solo sui dati relativi alle disparità di reddito medio pro capite.
Il primo scopo del Rapporto mira, pertanto, ad approfondire le disuguaglianze sociali e economiche presentate nel primo volume e ne esamina le nuove sfaccettature. In particolare:
- La disuguaglianza in termini di longevità. Rappresenta uno dei risultati cruciali dello sviluppo economico. Nel corso del 1900, l'aspettativa di vita nei Paesi sviluppati si è allungata notevolmente fino a raggiungere gli 81 anni per gli uomini e gli 87 per le donne.
- La disuguaglianza per livello di istruzione. Costituisce un grave ostacolo per raggiungere pari opportunità di mobilità sociale. Mentre la maggior parte dei Paesi ha raggiunto un punto di svolta nell'alfabetizzazione già nel corso del ventesimo secolo, alcuni Paesi in via di sviluppo sono ancora nella "parte ascendente" della curva di Kuznets, che descrive l’andamento delle disuguaglianze in rapporto al tasso di sviluppo.
- La disuguaglianza di genere. Descrive una delle principali determinanti del benessere per almeno metà della popolazione. Dal 1900 il progresso per la parità di genere è visibile soprattutto in termini di salute e di risorse socio-economiche.
- L'estensione della povertà estrema. È un altro aspetto della disuguaglianza all'interno dei Paesi che è altamente rilevante per qualsiasi valutazione del benessere, come dimostra la sua inclusione sia negli Obiettivi di sviluppo del millennio che negli attuali SDGs.
Il secondo obiettivo del Rapporto è quello di includere nuovi set di dati che coprano ulteriori dimensioni del benessere non ancora analizzati. Ciò riguarda:
- Gli orari di lavoro. Un numero adeguato di ore è centrale per l'equilibrio tra lavoro e vita privata, ma a livello globale esistono sostanziali disparità. I lavoratori dell'industria manifatturiera lavoravano dalle 60 alle 90 ore settimanali nel diciannovesimo secolo, rispetto alle circa 40 ore odierne. Il calo dell'orario di lavoro settimanale, iniziato dopo la Prima guerra mondiale, si è arrestato dagli anni '50-'60 e sembra essersi invertito nel periodo più recente.
- Le tendenze della biodiversità. Sono fondamentali per comprendere i costi ambientali dello sviluppo economico. A livello globale, alcune specie sono diminuite del 36% tra il 1970 e il 2010. La perdita di biodiversità per queste specie è molto peggiore in America Latina e nei Caraibi e nel Sud-Est asiatico, con cali rispettivamente dell'81% e del 75%. L'Europa occidentale e l'Europa orientale e le regioni dell'ex Unione Sovietica, invece, registrano risultati decisamente migliori. Le tendenze disaggregate basate su gruppi tassonomici mostrano un calo globale medio del 21% per i mammiferi, del 29% per gli uccelli, del 48% per i rettili e del 44% per gli anfibi.
- La spesa sociale. Non è una dimensione di benessere di per sé, ma rappresenta una delle leve politiche chiave attraverso le quali i governi si sono occupati delle condizioni di vita dei loro cittadini. Mentre l'aumento delle quote di spesa sociale sta accelerando nel lungo periodo, ci sono state inversioni per alcuni dei Paesi con la spesa più elevata. Gli Stati ora differiscono notevolmente nei loro impegni per la spesa sociale: quote maggiori si registrano a Nord e a Ovest, quote inferiori nei Paesi più poveri a Sud ed Est. La tendenza più evidente è la diminuzione degli investimenti pubblici destinati ai giovani in favore dei sussidi pubblici agli anziani.
Sulla biodiversità, l'interazione storica tra l'attività umana e l'ambiente naturale è una sezione che sottolinea quanto questa area sia storicamente importante per il benessere umano, fornendo servizi ecosistemici come l'impollinazione delle colture e la prevenzione delle malattie. In generale, gli indicatori storici dei cambiamenti nella biodiversità sono scarsi, ma recentemente un maggior numero di studi sta utilizzando fonti interdisciplinari per compilare record più lunghi e completi. Gli ecologi forniscono dati su una microscala che risale a circa 150 anni fa, gli storici contribuiscono con dati su una meso-scala fino a duemila anni fa e gli archeologi e i paleo-biologi con una macro-scala che copre periodi fino a diecimila anni fa. Questo approccio interdisciplinare, sebbene relativamente nuovo, ha prodotto alcuni risultati promettenti e può aiutare a caratterizzare la presenza storica delle specie e a comprendere i fattori chiave dei cambiamenti nella biodiversità.
di Elisa Capobianco