Rapporto 2025 Goal 13 "Lotta contro il cambiamento climatico"
Serve una Legge sul clima, governo ascolti le preoccupazioni della cittadinanza
Rapporto ASviS 2025: il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato. Emissioni in calo in Italia e in Europa, ma non bastano per raggiungere gli obiettivi al 2030. Definire un Piano sociale per il clima e garantire il phase out dalle fonti fossili.
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La Cop30, dal 10 fino al 21 novembre, ha al centro, come ogni anno, gli effetti del surriscaldamento globale. Il Rapporto ASviS 2025, anche in quest’ultima edizione, ha dedicato ampio spazio al Goal 13 “Lotta al cambiamento climatico”, Obiettivo ormai centrale nel percorso verso la realizzazione dell’Agenda 2030.
Il surriscaldamento globale sta accelerando, e questa ormai non è più una sorpresa. Il 2024 segna l’anno più caldo mai registrato, con circa 1,55 gradi in più rispetto ai livelli preindustriali, e le proiezioni pubblicate a maggio dall’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) non sono molto confortanti per il prossimo futuro. Secondo il Wmo, c’è l’80% di probabilità che almeno uno dei prossimi cinque anni superi il 2024 come il più caldo mai registrato. E ogni frazione di grado di riscaldamento aggiuntivo causerà eventi meteorologici estremi più frequenti e più intensi. “Anche se un anno con temperature superiori a 1,5 gradi non significa il superamento irreversibile del limite al riscaldamento globale indicato dall’Accordo”, scrive l’ASviS, “rappresenta un forte campanello di allarme”.
Le cattive notizie arrivano anche dall’Emissions Gap Report 2024 dell’Unep: nel 2023 le emissioni globali di gas serra hanno raggiunto il livello record di 57,1 gigatonnellate di CO2 equivalente, con un aumento dell’1,3% rispetto al 2022 e ben al di sopra della media annua dello 0,8% registrata tra il 2010 e il 2019.
Anche per quanto riguarda i sussidi alle fonti fossili la situazione non cambia. Dopo il picco record di 1.680 miliardi di dollari del 2022, nel 2023 si registra ancora un valore di circa 1.100 miliardi. Nonostante il calo, i sussidi sono il triplo rispetto ai livelli del 1990. Inoltre, con l’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi (ancora responsabili nel 2023 dell’11% del totale delle emissioni globali) e la mancata presentazione da parte dell’Ue di un chiaro obiettivo di riduzione delle emissioni entro il 2035, secondo l’ASviS “la possibilità di fare significativi passi avanti a livello globale appare già compromessa”. Ciononostante, per la Cop 30 a presidenza brasiliana, il governo di Lula ha già chiesto un fondo da 125 miliardi di dollari per fermare la deforestazione dell’Amazzonia.
Intanto aumenta la preoccupazione di cittadine e i cittadini a livello globale (ma non solo) sulla questione climatica. L’indagine “Global sustainable behaviours”, condotta da Deloitte nel settembre 2024 su 20mila partecipanti in 20 Paesi, registra una crescente consapevolezza dei rischi climatici: il 65% considera il clima un’emergenza, con un tasso leggermente più alto nelle fasce giovanili; il 75% è convinto che il cambiamento sia antropogenico (ovvero causato dall’essere umano), mentre circa la metà ha vissuto direttamente eventi climatici estremi negli ultimi sei mesi e più della metà ha modificato i propri comportamenti e acquisti per contrastare il cambiamento climatico. I più giovani spingono per una maggiore azione climatica all’interno delle aziende, soprattutto nel Sud-est asiatico, dove il 66% della Generazione Z e il 71% dei Millennial chiedono alle imprese di agire concretamente contro il surriscaldamento globale (con percentuali nettamente superiori rispetto ai Paesi occidentali).
LA SITUAZIONE IN ITALIA
Come indicato dallo Speciale Eurobarometro 565 pubblicato a luglio di quest’anno, l’86% delle italiane e degli italiani considera il cambiamento climatico un problema “molto serio” (rispetto alla media Ue dell’84%). Il nostro Paese si colloca tra gli Stati con i livelli di preoccupazione più elevati: il 48% della popolazione si sente esposto a rischi come incendi, alluvioni e ondate di calore, rispetto a una media europea del 38%. Ma il governo sembra abbastanza sordo a questo genere di allarmi.
Il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) approvato a giugno 2024 “non appare all’altezza della sfida”, secondo l’ASviS. Il Piano non ha raccolto le proposte avanzate dall’Alleanza e, come segnalato anche dalla Commissione europea nelle Raccomandazioni di giugno 2025, il nostro Paese è in grave ritardo rispetto alla transizione energetica, necessaria a contrastare gli effetti del cambiamento climatico. Il Pniec, ad esempio, prevede di ridurre le emissioni totali di gas serra, rispetto al 1990, del 49% al 2030 (invece del 55%) e del 60% al 2040 (invece del 90%). La distanza diventa ancora più evidente se guardiamo ai risultati realizzati nel 2023: l’Italia ha ridotto finora le emissioni del 26% rispetto al 1990, mentre la media europea è stata del 37%.
Il governo italiano, come già evidenziato nell’articolo dedicato al Goal 7, invece di accelerare la transizione energetica continua a sostenere la realizzazione di nuove infrastrutture e importazioni di fonti fossili, nonché un ipotetico ritorno al nucleare. Aggravando una situazione già fortemente critica.
L’indice italiano relativo alla lotta al cambiamento climatico, calcolato sulla base dell’indicatore relativo alle emissioni di gas serra pro capite, fa tirare un piccolo respiro di sollievo. Si registra un miglioramento, grazie alla diminuzione delle emissioni pari a -2,5 kTep pro capite tra il 2010 e il 2023 e -0,7 tra il 2022 e il 2023. Grazie a questo andamento il nostro Paese potrebbe avvicinarsi all’obiettivo (riduzione delle emissioni del 55% rispetto al 1990) ma non a raggiungerlo, arrivando a quota 45% entro il 2030.
LE PROPOSTE
Approvare una Legge nazionale sul clima,
considerato anche che l’Italia è l’ultimo grande Paese europeo privo di una tale legge.
Garantire il phase out del carbone entro il 2030
e l’uscita dalle fonti fossili entro il 2035.
Rivedere urgentemente il Piano nazionale integrato energia e clima,
alzando il livello di ambizione.
Definire sistemi di carbon pricing più efficaci
per la transizione da un modello economico estrattivo a uno rigenerativo.
Rendere operativo il “dialogo multilivello clima ed energia”
previsto dalla Legge europea sul clima e mai avviato in Italia.
Semplificare e razionalizzare le procedure burocratiche e amministrative
per l’accelerazione verso le rinnovabili.
Creare un Consiglio scientifico del clima,
promuovendo ricerca e sviluppo nel settore.
E IN EUROPA?
Il composito europeo relativo alla lotta contro il cambiamento climatico migliora tra il 2010 e il 2023, nonostante il leggero peggioramento registrato dopo la pandemia. In particolare, le emissioni di gas serra mostrano una riduzione. Se l’Europa proseguisse sulla tendenza finora registrata, riuscirebbe ad avvicinarsi all’obiettivo, ma non a raggiungerlo (come l’Italia). Da evidenziare che questo risultato è dovuto principalmente all’importante calo delle emissioni registrato nel 2023, pari a sei punti per l’Ue e 8,2 per l’Italia, un risultato simile a quello rilevato nel periodo pandemico. Le differenze tra i Paesi diminuiscono grazie a un miglioramento degli Stati con le performance peggiori, anche se si rileva un lieve peggioramento di alcuni con le performance migliori. Complessivamente, 15 Paesi migliorano, tra cui il Lussemburgo (di oltre 30 punti) e altri due (di più di 10). Otto Paesi risultano stabili, mentre quattro peggiorano. L’Italia migliora di circa sei punti, confermandosi, nel 2023, al di sopra della media europea. C’è insomma ancora molto lavoro da fare.
