Rapporto 2025 Goal 17 "Partnership per gli obiettivi"
Multilateralismo sotto attacco, servono riforme audaci e nuove risorse
Rapporto ASviS 2025: crisi del debito, guerre commerciali, aumento delle spese militari: le istituzioni internazionali vivono un momento difficile, ma l’Agenda 2030 rimane un piano d’azione valido e va perseguito con una governance rafforzata.
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Il 2024 ha messo a dura prova il multilateralismo. Secondo il “Sustainable development report” del Sustainable development solutions network, l’indice che misura l’impegno dei Paesi Onu nei confronti del multilateralismo, vede gli Stati Uniti in ultima posizione e la Cina al 159esimo posto, mentre Francia, Italia e Germania si collocano rispettivamente al 177esimo, al 106esimo e al 68esimo.
Inoltre, la guerra commerciale dei dazi innescata dall’Amministrazione Trump e la fuoriuscita degli Stati Uniti da diverse istituzioni multilaterali ha generato una spirale di tensioni geopolitiche, erodendo la fiducia globale nei confronti del Paese nordamericano e portando i vari Paesi del cosiddetto “Sud globale”, come Brasile, India, Russia, a rafforzare la propria cooperazione nell’ambito dei Brics, sotto la guida della Cina.
Al contempo, i Paesi a basso e medio reddito (Pvs) hanno dovuto affrontare costi crescenti del loro debito, che nel 2023 ha raggiunto il livello record di 1.400 miliardi di dollari. Questi oneri, pari al 3,7% del Reddito nazionale lordo (Rnl), restringono drammaticamente le risorse, già limitate, per investimenti in sanità, istruzione e infrastrutture, e più in generale per il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Di fronte all’evidente necessità di riformare l’architettura finanziaria globale, il segretario generale dell’Onu António Guterres ha nominato un gruppo di esperte ed esperti indipendenti che, a fine giugno 2025, in vista della Conferenza di Siviglia, ha pubblicato un Rapporto in cui si identificano 11 azioni chiave per affrontare le crisi del debito nei Paesi in via di sviluppo e liberare risorse per lo sviluppo sostenibile.
L’Aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) ha subìto e si teme continuerà a subire nel futuro prossimo forti tagli, dovuti alla chiusura di fatto di Usaid (il dipartimento americano di cooperazione allo sviluppo) e alla riduzione drastica dei budget destinati alla cooperazione e alle crisi umanitarie in molti Stati europei, tra cui Paesi Bassi, Regno Unito e Svezia.
Nonostante però i ritardi nel perseguimento dell’Agenda 2030 e le crescenti difficoltà che affliggono lo scenario globale, le istituzioni multilaterali continuano a mantenere alto il proprio impegno a sostegno degli Obiettivi, come ricordato da Guterres nel suo discorso del 21 luglio 2025 all’High level political form: “Gli Obiettivi di sviluppo sostenibile non sono un sogno [...] sono un piano. Un piano per mantenere le nostre promesse: alle persone più vulnerabili, a noi stessi e alle generazioni future”.
Tuttavia, secondo la ricerca “Sustainability at a crossroads” curata da GlobeScan, Erm sustainability institute e Volans, condotta a maggio 2025 tra 844 esperti ed esperte provenienti da 72 Paesi, cresce comunque lo scetticismo verso gli strumenti multilaterali, gli Obiettivi di sviluppo sostenibile e gli accordi sul clima, con una accentuazione delle critiche in Nord America ed Europa, contro un maggior ottimismo in America Latina, Africa-Medioriente e, soprattutto, nell’area Asia Pacifico.
LA SITUAZIONE IN ITALIA
A livello italiano, nel 2024 l’indicatore composito che si riferisce al Goal 17 registra un peggioramento: rispetto al 2010, la variazione negativa è dovuta soprattutto alla riduzione delle importazioni dai Paesi in via di sviluppo (-3,2 punti percentuali) e all’aumento del debito pubblico (+15,8 punti percentuali), mentre rispetto all’anno precedente, la causa è da rintracciarsi nella contrazione delle importazioni (-0,8 punti percentuali) e nella diminuzione della quota di Reddito nazionale lordo destinata all’Aiuto pubblico allo sviluppo, scesa dallo 0,33% allo 0,27%, rispetto all’obiettivo dello 0,7%.
Rispetto al cosiddetto “Piano Mattei” (il piano di investimenti italiani in Africa), il Governo ha ampliato il numero dei Paesi africani coinvolti, ma senza accompagnarvi al momento un aumento delle risorse finanziarie. A tal proposito, la Commissione europea sta definendo il cosiddetto “approccio a 360 gradi sugli investimenti”, al fine di determinare un impatto concreto a favore dello sviluppo sostenibile africano e rispondere alle critiche di neocolonialismo che da diverse parti si stanno muovendo al piano europeo di investimenti nel continente (il cosiddetto “Global gateway”), e che riguardano anche il Piano Mattei. La Commissione indica una serie di strumenti da utilizzare per applicare questo approccio, ma di essi non vi è alcuna menzione nel Piano Mattei.
Per quanto riguarda più in generale le politiche di cooperazione internazionale e la risoluzione pacifica dei conflitti, preoccupa il disegno di legge, attualmente all’esame della Camera, che punta a modificare la Legge 185/90 in materia di export militare, rendendo meno incisivi i meccanismi di decisione e controllo, e affievolendo molti degli strumenti di trasparenza sui dati relativi alle esportazioni e ai flussi finanziari delle armi, in particolare per ciò che attiene il coinvolgimento delle banche nelle operazioni.
Inoltre, in base all’accordo Nato sul “Defence investment plan”, sottoscritto anche dall’Italia nel giugno 2025, e che prevede entro il 2035 di portare dal 2% al 5% del Pil la spesa per sicurezza e difesa di ogni Paese membro, l’investimento del Governo in spese militari passerà dai 45 miliardi previsti nel 2025 a 145 miliardi nel 2035, misura che rischia di sottrarre importanti risorse ad altri settori come scuola e sanità e di incidere molto negativamente sulle politiche di sviluppo sostenibile.
Da un punto di vista legislativo, va segnalato anche il decreto-legge del 28 marzo 2025 sul contrasto dell’immigrazione irregolare, che stabilisce il trasferimento coatto in Albania di persone già presenti sul territorio italiano e già trattenute nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Il decreto ha infatti sollevato numerosi dubbi di compatibilità con la Costituzione e con il diritto internazionale da parte della Corte di Cassazione che, nella relazione del 18 giugno 2025, ha affermato che l’Accordo e il suo successivo consolidamento denotano un metodo di gestione insostenibile e fortemente restrittivo del fenomeno migratorio. Una nota positiva è invece la programmazione triennale del cosiddetto “decreto flussi”, che conferma l’apertura di canali importanti per il lavoro per i migranti, anche se il meccanismo d’accesso resta farraginoso.
LE PROPOSTE
Aumentare il finanziamento per l’Aps almeno allo 0,35% nel 2026
per poi programmare l’ulteriore crescita negli anni successivi, fino a raggiungere il Target dello 0,7%.
Sostenere la riforma dell’architettura finanziaria globale e dell’Onu
specialmente del Consiglio di sicurezza, per garantire una migliore ed equa rappresentanza e sviluppando l’alleanza europea con i Paesi del Sud Globale.
Rafforzare la coerenza tra politiche commerciali e di cooperazione allo sviluppo
per evitare effetti negativi di spillover sugli ecosistemi di altri Paesi.
Procedere rapidamente alla cancellazione e conversione del debito dei Pvs,
coinvolgendo la società civile locale, in virtù dell’Impegno di Siviglia sulla finanza allo sviluppo.
Assumere una posizione ambiziosa a sostegno della finanza per il clima
nella prossima Cop 30 a Bélem.
Migliorare l’impostazione del Patto asilo e migrazione dell’Unione europea a tutela dei diritti umani,
evitando misure di rimpatrio esternalizzate in Paesi terzi e procedendo alla “europeizzazione” dei canali regolari.
E IN EUROPA?
A livello europeo, il Goal 17 fa registrare complessivamente un arretramento. Dal 2010, l’indice composito ha un andamento oscillante, con segnali positivi e negativi a seconda del periodo, ma nel 2023 segna una forte flessione, dovuta principalmente alla riduzione della quota delle importazioni Ue dai Paesi in via di sviluppo (dal 4,7% al 4,2%).
Le differenze tra i Paesi risultano piuttosto stabili, con alcune eccezioni: positivo è l’andamento della Grecia, che dal 2020 si riavvicina ai valori medi, così come quello dei Paesi Bassi. La maggior parte degli Stati però - tra cui l’Italia - peggiora tra il 2010 e il 2023, cosicché il nostro Paese si posiziona al di sotto della media.
