Rapporto 2025 Goal 5 "Parità di genere"
Parità di genere: serve un Piano integrato e sistemico per l’occupazione femminile
Rapporto ASviS 2025: condizione delle donne fragile in tutto il mondo, tra guerre e restrizioni. Progressi in Italia, ma la risposta del Legislatore non è ancora adeguata. Congedo di paternità e servizi di assistenza tra i temi delle proposte.
Scopri di più sulla campagna Un Goal al giorno
La condizione delle donne e delle ragazze continua a essere particolarmente esposta alle crisi globali e al riemergere di politiche regressive sui diritti, dinamiche che coinvolgono anche i Paesi occidentali. Secondo Un Women, una donna su dieci nel mondo vive in condizioni di estrema povertà. Il numero di donne e ragazze residenti in aree colpite da conflitti è raddoppiato dal 2017 e oggi oltre 614 milioni di donne e ragazze vivono in zone di guerra, con una probabilità 7,7 volte superiore rispetto agli uomini di trovarsi in povertà estrema.
Negli ultimi anni si sono registrati passi avanti importanti in termini di diritti: tra il 2019 e il 2024 sono state introdotte 99 riforme legislative volte a eliminare leggi discriminatorie e rafforzare quadri giuridici per la parità di genere. Tuttavia, nel 2024 nessuno dei 131 Paesi misurati raggiunge un punteggio adeguato nelle quattro aree analizzate: quadri giuridici e vita pubblica, violenza contro le donne, occupazione e benefici economici, matrimonio e famiglia. Ben 61 Paesi (47%) mantengono almeno una restrizione che limita l’accesso delle donne a specifiche professioni. Solo 38 Paesi (29%) stabiliscono i 18 anni come età minima per il matrimonio senza eccezioni, e appena 63 Paesi (48%) hanno leggi sullo stupro basate sulla mancanza del consenso.
Il 2024, anno con il massimo numero di elezioni nella storia recente, non ha portato avanzamenti sostanziali nella rappresentanza femminile. Al 1 gennaio 2025 le donne occupavano il 27,2% dei seggi nei parlamenti nazionali, con un aumento di soli 4,9 punti percentuali rispetto al 2015 e appena 0,3 punti rispetto al 2024, un valore inferiore a quello (0,5 punti) medio annuo del decennio precedente. Analogamente, nel mercato del lavoro globale la presenza femminile copre solo un terzo dei ruoli dirigenziali: dal 2015 al 2023 è cresciuta soltanto di 2,4 punti fino a raggiungere il 30%. A questo ritmo, la parità nei ruoli apicali richiederà quasi un secolo, con divari marcati tra le diverse regioni del mondo.
LA SITUAZIONE IN ITALIA
Nel periodo 2010-2024 l’indice sulla parità di genere migliora, trainato soprattutto dall’aumento della quota di donne nei consigli regionali (+13,5 punti percentuali) e dalla riduzione del divario tra i tassi di occupazione femminile e maschile. Nel 2024 l’indice composito aumenta anche grazie alla maggiore presenza di donne nei consigli regionali, ma si tratta di progressi insufficienti per raggiungere i target previsti. Sull’intero periodo 18 territori migliorano e tre risultano sostanzialmente stabili. Dopo una fase di ampliamento tra il 2017 e il 2021, le disparità territoriali tornano ai livelli prossimi a quelli del 2010. Si restringe il divario di genere nel tasso di mancata partecipazione al lavoro: nel 2024 è sceso a 4,6 punti percentuali (minimo storico), rispetto al 6,1 del 2022.
Secondo il Rapporto, non risultano attualmente raggiungibili i tre obiettivi quantitativi: ridurre a meno di dieci punti il divario occupazionale tra madri con figli in età prescolare e donne senza figli entro il 2026 (Target 5.4); dimezzare entro il 2030 il gap occupazionale di genere rispetto al 2019 (Target 5.5); raggiungere almeno il 40% di donne nei consigli regionali entro il 2026 (Target 5.5), obiettivo, quest’ultimo, che mostra un andamento discordante tra breve e lungo periodo.
Pur con caratteristiche, percorsi e bisogni diversi, bambine e ragazze, giovani, donne e anziane condividono una condizione trasversale: la necessità di avanzare nonostante ostacoli ricorrenti. Nonostante una valorizzazione ancora insufficiente delle loro attitudini e competenze. Nonostante difficoltà persistenti nel realizzare le proprie aspirazioni personali e professionali, compresa quella di diventare madri. Nonostante un’aspettativa di vita più lunga, che si traduce troppo spesso in condizioni di fragilità economica e solitudine, in assenza di servizi adeguati.
Tra i provvedimenti più significativi si segnala il disegno di legge n. 1192 sulla semplificazione normativa, che introduce elementi positivi come l’obbligo di includere l’impatto di genere nelle analisi ex-ante ed ex-post della regolamentazione (Air e Vir), la produzione e diffusione di dati statistici disaggregati per sesso e l’inserimento, nelle relazioni biennali della consigliera/consigliere nazionale di parità, di un focus sugli effetti degli investimenti pubblici sull’occupazione femminile.
Di segno opposto il giudizio sull’AC 2278, che affronta il tema dell’identità di genere nelle scuole e introduce un meccanismo di consenso familiare sulle attività didattiche relative ad affettività e sessualità. Il provvedimento è valutato come regressivo in termini di diritti e inclusione, anche alla luce della rimozione della disforia di genere dalle patologie riconosciute dall’Oms già nel 2018.
Sul fronte del lavoro e dei tempi di vita, l’AC 2228, volto ad aumentare l’indennità di maternità e a introdurre un congedo realmente paritario per i padri, è considerato un possibile progresso pur con alcune criticità: occorrerà migliorare la coerenza normativa e chiarire la definizione delle figure genitoriali, ma, se opportunamente rivisto, il testo potrebbe rappresentare un passo importante verso la corresponsabilità genitoriale e la riduzione del divario occupazionale di genere.
In tema di sicurezza e diritti, l’AC 2357 inserisce il divieto di copertura del volto per le donne in un più ampio pacchetto sulla sicurezza pubblica: secondo il Rapporto si tratta di un intervento simbolico e insufficiente, che andrebbe accompagnato da misure concrete per proteggere ed emancipare le donne, rafforzando servizi come i consultori. Al contrario, il DDL AC 2450 sulla riduzione dell’Iva sui prodotti per l’igiene femminile — già ridotta al 5% nel 2023 ma non stabilizzata — viene visto come un provvedimento di valore culturale importante, in linea con la richiesta di equipararli ai beni essenziali, analogamente ai rasoi maschili tassati al 4%.
Il DDL n. 1433, che introduce il reato di femminicidio, è stato approvato all’unanimità dal Senato ed è all’esame della Camera. La norma viene letta come un possibile impulso al rafforzamento delle politiche di formazione e trasformazione culturale.
Infine, entro il 2026 sarà cruciale l’attuazione del Piano per l’ampliamento dei servizi educativi per l’infanzia previsto dal Pnrr, misura decisiva per sostenere la partecipazione delle madri al mercato del lavoro.
LE PROPOSTE
Realizzare un Piano integrato e sistemico per l’occupazione femminile,
che rimuova gli ostacoli all’accesso e alla progressione di carriera e garantisca meccanismi di selezione e valutazione gender neutral.
Introdurre meccanismi di integrazione al reddito da lavoro
in caso di maternità.
Estendere durata e indennità del congedo di paternità,
affinché diventi uno strumento reale di condivisione paritaria, non solo simbolico.
Potenziare i servizi di assistenza per figli, figlie e altre persone a carico,
promuovendo anche una cultura della condivisione dei ruoli di cura.
Rafforzare il sistema statistico assicurando le specifiche di genere
per sostenere il disegno delle politiche.
Integrare la prospettiva di genere nei bilanci pubblici,
nelle politiche di cooperazione allo sviluppo e nella rappresentanza nelle istituzioni finanziarie internazionali, in linea con gli impegni della Conferenza di Siviglia per la finanza allo sviluppo.
Rendere operativa la Valutazione d’impatto di genere
delle politiche di prossima adozione sul piano legislativo.
Rafforzare l’orientamento delle ragazze verso percorsi Stem,
attraverso campagne di sensibilizzazione nazionali e programmi scolastici mirati.
E IN EUROPA?
Anche sul piano europeo, il quadro è fatto di progressi, ma con velocità diverse tra Paesi. L’indice composito segue un trend positivo dal 2010, pur mostrando un rallentamento tra il 2019 e il 2021. Nell’ultimo anno l’aumento è trainato soprattutto dal miglioramento della presenza femminile nei ruoli dirigenziali (+1,5 punti percentuali). Tuttavia, si registra un progressivo ampliamento delle differenze tra Paesi, con un picco proprio nel 2021.
Tutti gli Stati membri migliorano, ma con intensità diverse: 15 registrano un incremento superiore ai dieci punti, mentre quattro crescono di meno di cinque. La Svezia mantiene per tutto il periodo le migliori performance, mentre l’Ungheria avanza molto lentamente, collocandosi stabilmente in coda alla classifica. L’Italia, pur distante dai Paesi più virtuosi, si colloca comunque sopra la media dell’Unione.
Per quanto riguarda l’obiettivo di dimezzare entro il 2030 il divario occupazionale di genere entro il 2019 (Target 5.5), la dinamica europea è positiva e, proseguendo a questo ritmo, potrebbe avvicinarsi al target del 92,8%: nel 2024 l’indicatore è all’87,6 di donne occupate ogni 100 uomini nella fascia 20-64 anni. L’Italia segue una traiettoria simile ma parte da livelli più bassi: nonostante un miglioramento, nel 2024 si ferma a 74,7%, rendendo molto difficile il raggiungimento del valore-obiettivo nazionale dell’86,8% entro il 2030.
Per dare un nuovo impulso alla parità di genere, lo scorso 7 marzo la Commissione europea ha adottato la tabella di marcia per i diritti delle donne, definendo obiettivi politici a lungo termine su violenza di genere, salute, emancipazione economica, lavoro e istruzione.
