Rapporto 2025 Goal 6 "Acqua pulita, servizi igienico-sanitari"
Acqua sotto stress, Italia alle prese con dispersione e ritardi nella gestione
Rapporto ASviS 2025: in Italia peggiora la gestione dell’acqua, mentre cresce la sfiducia verso quella del rubinetto. In stallo il Piano di adattamento climatico, occorre espandere il principio del Do no significant harm.
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Le risorse idriche globali sono sempre più sotto pressione, messe a dura prova dall’inquinamento, dalla crisi climatica e da una governance frammentata e inefficace. Nel 2024 oltre 2,2 miliardi di persone nel mondo non hanno ancora accesso ad acqua potabile sicura, mentre 3,4 miliardi vivono senza servizi igienico-sanitari adeguati e 1,7 miliardi abitano in case prive di servizi igienici di base. Appena il 67% delle scuole dispone di servizi igienici fondamentali, lasciando 656 milioni di bambine e bambini senza strutture adeguate. Inoltre, il 10% della popolazione mondiale vive in aree con elevato stress idrico, mentre il trattamento delle acque industriali rimane insufficiente e solo il 56% delle acque reflue domestiche viene trattato in modo sicuro, un dato rimasto pressoché invariato dal 2000.
Anche la gestione integrata delle risorse idriche, prevista dal Target 6.5 dell’Agenda 2030, procede lentamente: la quota di Paesi che l’hanno adottata è salita dal 49% nel 2017 al 57% nel 2023, ma il progresso è disomogeneo. Oggi il 60% degli Stati non dispone di meccanismi efficaci per raccogliere entrate dall’uso delle risorse idriche e circa il 70% segnala fondi inadeguati per la gestione a livello locale, segno di un sistema ancora fragile e diseguale.
LA SITUAZIONE IN ITALIA
Per quanto riguarda la situazione italiana in relazione al Goal 6 “Acqua pulita e servizi igienico-sanitari” dell’Agenda 2030, l’indicatore composito elaborato dall’ASviS mostra un peggioramento costante, sia sull’intero periodo di analisi sia nell’ultimo anno. La principale causa è l’aumento dell’indice di sfruttamento dell’acqua, cresciuto di 10,2 punti percentuali rispetto al 2010 e di 4,6 punti solo nell’ultimo anno. A questo si aggiunge il persistente problema della dispersione idrica, aumentata di cinque punti percentuali tra il 2012 e il 2022, e la crescente diffidenza delle famiglie verso l’acqua del rubinetto, in crescita di 0,9 punti percentuali nell’ultimo anno.
Il quadro regionale conferma una tendenza diffusa al peggioramento: in 20 regioni e province autonome l’indice arretra sull’intero periodo considerato, mentre una sola area risulta stabile. Le disuguaglianze territoriali restano dunque marcate e, nell’ultimo anno, si accentuano ulteriormente a causa del peggioramento delle regioni con le performance più negative. È particolarmente evidente il divario tra Nord e Mezzogiorno, dove l’indice composito risulta mediamente inferiore di circa 15 punti per il Sud.
In questo contesto, l’obiettivo fissato dal Target 6.4 dell’Agenda 2030 - ridurre del 15% la dispersione delle reti idriche rispetto ai livelli del 2015 entro il 2026 - appare difficilmente raggiungibile senza una decisa inversione di tendenza. Gli investimenti previsti dal Pnrr potrebbero contribuire a colmare il ritardo, ma la situazione resta critica: dopo il forte aumento della dispersione registrato tra il 2012 e il 2015, il fenomeno è continuato, seppure con minore intensità. Oggi il livello di dispersione si attesta al 42,4%, ben lontano dall’obiettivo del 35,2%, segnalando l’urgenza di interventi strutturali e di una governance più efficace della risorsa idrica.
Sul piano normativo, non si registrano novità di rilievo. Il Rapporto ASviS richiama tuttavia l’attenzione sull’entrata in vigore del Regolamento europeo sul ripristino della natura, che si inserisce negli impegni assunti dall’Italia anche nell’ambito del Kunming-Montreal global biodiversity framework (Kmgbf). Si tratta di una misura cruciale non solo per la tutela degli ecosistemi, ma anche per l’adattamento ai cambiamenti climatici, la mitigazione delle emissioni attraverso lo stoccaggio del carbonio, la resilienza del ciclo dell’acqua, la produttività agricola e lo sviluppo della bioeconomia.
Resta però grave la situazione del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), strumento essenziale per un Paese così vulnerabile agli impatti della crisi climatica. Dopo un iter lunghissimo, il Piano è stato approvato alla fine del 2023, ma è rimasto di fatto inapplicato: non è stato attivato neppure l’Osservatorio nazionale previsto per garantire il coordinamento tra i vari livelli istituzionali e settori coinvolti, che avrebbe dovuto essere nominato entro marzo 2024.
LE PROPOSTE
Integrare i danni ambientali nei costi finali dell’uso irriguo, industriale e civile dell’acqua,
nel rispetto del principio “Do no significant harm” e della Direttiva quadro sulle Acque.
Assicurare l’applicazione del principio “chi inquina/usa paga”
e l’internalizzazione del costo ambientale nei canoni di utenza dell’acqua pubblica.
Rafforzare l’attuazione regionale di politiche di water pricing
che incentivino l’uso efficiente della risorsa e migliorino la contabilità idrica nei vari settori, incluso quello irriguo.
Colmare il deficit di finanziamento delle infrastrutture idriche
(stimato in due miliardi di euro l’anno) e rafforzare la governance, con piani d’investimento per ridurre le perdite di rete entro il 2030.
Definire un Piano integrato per la protezione e il ripristino della natura,
capace di affrontare fenomeni di degrado ambientale come alluvioni, siccità, erosione del suolo e incendi.
Adeguare il Piano nazionale per la biodiversità al Kunming-Montreal Global biodiversity framework,
promuovendo soluzioni basate sulla natura per l’adattamento climatico previsto dal Pnacc.
E IN EUROPA?
A livello europeo, l’indice composito relativo al Goal 6 si mantiene complessivamente stabile, frutto di una compensazione tra indicatori in miglioramento e altri in peggioramento. Da un lato, cresce la quota di persone che vivono in abitazioni collegate ad almeno un trattamento secondario delle acque reflue, con un aumento di 4,6 punti percentuali, e diminuisce la percentuale di popolazione priva di servizi sanitari nella propria casa, scesa di 1,4 punti percentuali tra il 2010 e il 2020. Dall’altro lato, l’indice di sfruttamento idrico mostra un lieve peggioramento, pari a +1,8 punti percentuali nello stesso periodo.
Le differenze tra i Paesi europei si riducono leggermente. La maggior parte degli Stati membri mostra una sostanziale stabilità nel tempo, in particolare quelli che nel 2022 si collocano sopra il valore medio, mentre quattro Paesi evidenziano miglioramenti e cinque un peggioramento. Tra questi ultimi figura l’Italia, che si posiziona al di sotto della media europea. I divari restano ampi: Romania, Malta e Cipro presentano livelli dell’indice composito inferiori di almeno 25 punti rispetto alla media dell’Ue (sebbene la Romania mostri un recupero significativo, con un miglioramento di 17 punti nel corso del periodo analizzato).
