Sviluppo sostenibile
Lo sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri.

L'Agenda 2030 dell'Onu per lo sviluppo sostenibile
Il 25 settembre 2015, le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, un piano di azione globale per le persone, il Pianeta e la prosperità.

Goal e Target: obiettivi e traguardi per il 2030
Ecco l'elenco dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals - SDGs) e dei 169 Target che li sostanziano, approvati dalle Nazioni Unite per i prossimi 15 anni.

Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile
Nata il 3 febbraio del 2016 per far crescere la consapevolezza dell’importanza dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e per mobilitare la società italiana, i soggetti economici e sociali e le istituzioni allo scopo di realizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile.

Altre iniziative per orientare verso uno sviluppo sostenibile

Contatti: Responsabile Rapporti con i media - Luisa Leonzi
Scopri di più sull'ASviS per l'Agenda 2030

The Italian Alliance for Sustainable Development (ASviS), that brings together almost 300 member organizations among the civil society, aims to raise the awareness of the Italian society, economic stakeholders and institutions about the importance of the 2030 Agenda for Sustainable Development, and to mobilize them in order to pursue the Sustainable Development Goals (SDGs).
 

Rubrica: Voci dal territorio

Buone pratiche: “ogni seme è un atto di libertà”, così rinasce l’agrobiodiversità

Dalla cucina ai campi, Valentina Dugo guida il Consorzio Avo e il Biodiversity Network per riportare biodiversità sulla terra e sulla tavola. Si parte dal grano: simbolo di un’agricoltura che unisce qualità e sostenibilità. 12/11/25

mercoledì 12 novembre 2025
Tempo di lettura: min

Negli ultimi 60 anni, la corsa dell’agroindustria verso la produttività e la competizione “quantitativa” ha progressivamente messo da parte l’agricoltura rurale, quella che custodisce la memoria alimentare e culturale dei territori, il vero cuore del made in Italy. È il paradosso di un modello neoliberista che, nel tentativo di massimizzare i rendimenti, finisce per distruggere i fattori autentici della competitività: la qualità, la diversità e la resilienza dei sistemi agricoli.

È in questo contesto che si inserisce l’esperienza di Valentina Dugo, che ama definirsi un’attivista dell’agrobiodiversità, ossia della biodiversità di interesse agricolo e alimentare. La sua storia personale è un percorso di trasformazione e di consapevolezza, nato tra i fornelli e approdato nei campi.

Dopo 20 anni di lavoro nella ristorazione, da semplice aiuto cucina a chef, ho trovato nel cibo la porta d’ingresso verso la terra – ci dice Dugo -. La ricerca delle migliori materie prime per i piatti mi ha condotto a conoscere da vicino i produttori locali, i loro saperi e i valori che si nascondono dietro la filiera alimentare. Da quel momento, il mio interesse si è spostato dal gusto al dietro le quinte della produzione alimentare, dai sapori ai significati culturali che rendono il cibo un veicolo di identità.

All’inizio si è dedicata alla realizzazione di diversi documentari sulle comunità rurali e ai piccoli produttori italiani, con l’obiettivo di restituire voce a chi custodisce la qualità e l’autenticità del cibo. Col tempo, la sua attenzione si è concentrata su un alimento simbolo della civiltà mediterranea: il grano. “Analizzando l’aumento delle intolleranze e dei casi di celiachia, ho iniziato a interrogarmi su cosa fosse cambiato nel frumento moderno – continua Dugo -. Ho scoperto così che, nel corso dei decenni, il grano è stato radicalmente modificato: le varietà tradizionali, alte e nutrienti, sono state sostituite da specie più basse e produttive, selezionate per massimizzare la resa agricola a scapito della qualità nutrizionale. Un cambiamento silenzioso che ha ridotto la biodiversità e trasformato uno dei pilastri della dieta mediterranea in un alimento percepito come problematico”.

Da questa consapevolezza nasce il Consorzio Avo, una rete di piccole aziende agricole umbre impegnate nel recupero e nella coltivazione di varietà antiche di frumento. Il progetto, condotto in collaborazione con l’Università della Tuscia di Viterbo, ha dato vita a un modello di agricoltura rigenerativa che si oppone alle logiche intensive dell’agroindustria. Le aziende del consorzio, distribuite tra Foligno e le aree interne dell’Umbria, lavorano in territori marginali dove la grande agricoltura non arriva: qui le varietà locali, rustiche e adattabili, si integrano perfettamente con l’ecosistema.

Queste coltivazioni - spiega Dugo - sono perfette per fornire un’opportunità economica ad aziende in territori dove l’agricoltura non si fa più, e quindi contrastarne l’abbandono, mantenendo il presidio e la custodia di quei territori”.

Il Consorzio Avo produce oggi una pasta artigianale realizzata con antiche varietà di grano duro turanico, della stessa famiglia del kamut e dei grani duri siciliani Timilia e Perciasacchi. Recuperate attraverso un percorso sperimentale a partire da pochi semi, queste varietà non hanno subito manipolazioni genetiche moderne e mantengono la struttura del glutine originario, più digeribile e con un impatto metabolico ridotto.

Dal punto di vista ambientale, nei campi non vengono utilizzate pratiche di irrigazione intensiva, né adoperati fertilizzanti chimici: si utilizza solo concime naturale o compost biologico, riducendo l’impronta ecologica e migliorando la fertilità dei suoli. “Gli alimenti di montagna - ricorda Dugo citando l’antropologo Luciano Giacchè - sono avari in quantità ma generosi in qualità”. Una frase che riassume bene questa filosofia agricola: produrre meno, ma meglio.

Dal lavoro sul campo è poi nato anche Biodiversity network, la Rete innovativa dei custodi della terra. Si tratta di una piattaforma digitale, oggi in fase di attuazione, che punta a creare il primo mercato della biodiversità agricola e alimentare. L’obiettivo è connettere aziende, territori e consumatori, valorizzando le varietà locali e i servizi ecosistemici legati all’agricoltura, in un network innovativo. Il progetto è stato sviluppato all’interno del National biodiversity future center (Nbfc), il grande cluster di ricerca finanziato dall’Unione europea e promosso, tra gli altri, dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e dal ministero Università e ricerca (Mur).

Il messaggio è chiaro: recuperare la biodiversità agricola non significa solo conservare varietà antiche, ma costruire un nuovo paradigma economico fondato sulla salute, la cultura e la sostenibilità. “Ogni seme salvato è un atto di libertà – conclude Dugo -. È la possibilità di un futuro in cui l’economia non consuma la terra, ma la rigenera”. E di rigenerazione, con la crisi climatica e la perdita di biodiversità che bussano alle nostre porte, si avverte un disperato bisogno.

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