Approfondimenti
La questione di genere in Italia, a trent’anni dalla conferenza Onu di Pechino
di Linda Laura Sabbadini, statistica, già direttrice dell'Istat
A trent’anni dalla Conferenza di Pechino, l’uguaglianza di genere resta incompiuta: mancano servizi, investimenti e strategie integrate. Serve assumere la parità come priorità per giustizia sociale e sviluppo del Paese.
24 settembre 2025
Il seguente contenuto è tratto dal Rapporto “Scenari per l’Italia al 2035 e al 2050” dell’ASviS. Lo studio costruisce quattro scenari relativi all’impatto della transizione ecologica sull’economia italiana, realizzati grazie alla collaborazione con Oxford Economics.
A distanza di trent’anni dalla storica Conferenza Mondiale delle donne di Pechino, possiamo affermare che, seppur si siano fatti passi avanti, in Italia la strada da percorrere per una piena uguaglianza di genere rimane ancora lunga e tortuosa. Nel 1995, Pechino fu l’apice della mobilitazione internazionale delle donne: migliaia di donne invasero la città da tutto il mondo, in rappresentanza della società civile, non solo dei governi. E la piattaforma varata dai governi fu la più avanzata di sempre. Nuovi temi e obiettivi entrarono negli impegni dei governi: donne, pace e sicurezza, uguaglianza di genere, violenza contro le donne, diritti sessuali e riproduttivi, statistiche sensibili al genere. Non a caso quella Conferenza mondiale fu l’ultima, perché si considerò troppo alto il rischio di tornare indietro in caso di nuove conferenze. La mobilitazione delle donne nei Paesi avanzati degli anni ‘70 e la sua estensione a tutto il mondo aveva innestato una mobilitazione globale per i diritti delle donne, una presa di coscienza trasversale ai Paesi, che raggiunse il suo apice nel 1995 e garantì il raggiungimento di una piattaforma così avanzata. Empowerment e mainstreaming erano state le due parole chiave potenti, che racchiudevano in sé la portata rivoluzionaria della Conferenza. Il termine empowerment si riferisce al processo attraverso il quale le donne acquisiscono il potere, diventano soggetti di diritti e protagoniste della propria vita, incidono profondamente sulle decisioni in campo sociale, economico e politico. Il mainstreaming è invece il processo di integrazione della prospettiva di genere in tutte le politiche, programmi e pratiche istituzionali. Significa che la parità di genere non deve essere trattata come una questione separata, ma contaminare permanentemente e diffondersi in tutte le politiche pubbliche, e caratterizzare le decisioni. La sfida degli SDGs ha recuperato quest’approccio e prospettiva, assumendo l’uguaglianza di genere come Obiettivo 5 e applicando il principio di mainstreaming trasversalmente a tutti gli altri Obiettivi. Ma il grande entusiasmo dei primi anni dopo Pechino non è più, oggi, così forte. Quella luce, quella speranza che si era accesa deve fare i conti, anche nel nostro Paese, con una lunga fase in cui quei principi sono rimasti in gran parte sulla carta, non si sono tradotti in investimenti seri, necessari per un balzo nella presenza e protagonismo femminile nella società. In primis, per l’accesso e permanenza nel lavoro, nonché per la qualità del lavoro e la presenza delle donne nei luoghi decisionali. Basti pensare alle vicende relative ai servizi educativi per l’infanzia e l’assistenza ad anziani e disabili, due questioni fondamentali per alleggerire il carico di lavoro di cura sulle spalle delle donne, che ne condiziona fortemente l’inserimento nel mondo del lavoro. Per i nidi siamo fermi ad una copertura del 30%, con una legge del 1971 che istituiva i nidi pubblici, che a oggi ospitano solo il 14% di bambine e bambini. Per di più gli obiettivi del Governo Draghi, che prevedevano per il prossimo anno il 33% di bambine e bambini al nido per ogni regione, non saranno raggiunti, perché sarà sufficiente come livello essenziale delle prestazioni il 15% in ogni regione, avendo l’attuale Governo corretto al ribasso la misura prevista inizialmente. Per anziani e disabili la legge sull’assistenza del 2000 non è mai stata applicata, perché non sono stati definiti i Livelli essenziali delle prestazioni, pur essendo stata varata una legge sulla non autosufficienza. Le donne nei luoghi decisionali crescono lentamente e il tasso di occupazione femminile è il più basso d’Europa. Le donne pagano un prezzo alto per la nascita del figlio: il 20% lascia il lavoro e per tante donne la nascita segna l’inizio di una penalizzazione del percorso lavorativo in termini di part-time, retribuzione e qualità dell’occupazione, che solo con grande fatica viene recuperato, ma spesso si aggrava con l’aumento dell’età fino alla pensione. Poco si sta facendo per favorire l’ingresso ai corsi universitari STEM: negli ultimi 10 anni, solo il 20% delle ragazze sceglie questo indirizzo. Senza cambiamenti culturali poco cambierà, perché non basta l’orientamento svolto nell’ultimo anno di scuola, bisogna intervenire fin dalle primarie, per ridurre gli effetti degli stereotipi di genere. Investiamo poco e male sulla risposta ai bisogni delle donne. Non è più pensabile che le cose possano migliorare con piccole azioni. Serve una strategia integrata con finanziamenti adeguati, serve assumere la parità di genere come priorità. La situazione globale con gli attacchi alle democrazie non aiuta. È ora che la voce delle donne sia ascoltata. Perché è questione di giustizia sociale e di sviluppo del Paese.
Nella sezione “approfondimenti” offriamo ai lettori analisi di esperti su argomenti specifici, spunti di riflessione, testimonianze, racconti di nuove iniziative inerenti agli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Gli articoli riflettono le opinioni degli autori e non impegnano l’Alleanza. Per proporre articoli scrivere a redazioneweb@asvis.it. I testi, tra le 4mila e le 10mila battute circa più grafici e tabelle (salvo eccezioni concordate preventivamente), devono essere inediti.
