Sviluppo sostenibile
Lo sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri.

L'Agenda 2030 dell'Onu per lo sviluppo sostenibile
Il 25 settembre 2015, le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, un piano di azione globale per le persone, il Pianeta e la prosperità.

Goal e Target: obiettivi e traguardi per il 2030
Ecco l'elenco dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals - SDGs) e dei 169 Target che li sostanziano, approvati dalle Nazioni Unite per i prossimi 15 anni.

Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile
Nata il 3 febbraio del 2016 per far crescere la consapevolezza dell’importanza dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e per mobilitare la società italiana, i soggetti economici e sociali e le istituzioni allo scopo di realizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile.

Progetti e iniziative per orientare verso uno sviluppo sostenibile

Contatti: Responsabile Rapporti con i media - Niccolò Gori Sassoli.
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The Italian Alliance for Sustainable Development (ASviS), that brings together almost 300 member organizations among the civil society, aims to raise the awareness of the Italian society, economic stakeholders and institutions about the importance of the 2030 Agenda for Sustainable Development, and to mobilize them in order to pursue the Sustainable Development Goals (SDGs).
 

Archivio editoriali

Senza condivisione dei cittadini non si costruisce un futuro sostenibile

Draghi è un timoniere sicuro e molte priorità da lui indicate nel recente passato coincidono con quelle dell’ASviS. L’avvento del suo governo non deve però significare la fine della politica.

di Donato Speroni

Consentitemi di cominciare con un ricordo personale. Era il settembre del 1992, nel pieno di Tangentopoli. Il governo presieduto da Giuliano Amato aveva appena varato una serie di provvedimenti che, in vista della futura privatizzazione, smantellavano il sistema delle Partecipazioni statali e delle altre attività imprenditoriali pubbliche, trasformando gli enti di gestione in società per azioni e concentrandone il controllo nel ministero del Tesoro. Si era creata così una situazione senza precedenti, perché quello che in passato era l’immenso potere dei “boiardi” che comandavano un insieme comprendente Eni, Iri, ma anche Enel, Ferrovie dello Stato, Banca nazionale del lavoro, si concentrò per un certo periodo su un unico soggetto, il Tesoro, che aveva la responsabilità di fare le nomine, approvare i bilanci, valutare gli investimenti, in una situazione di totale assenza dei politici. Come mi raccontò all’epoca l’amministratore delegato dell’Eni Franco Bernabé, gli uomini dei partiti, sentendosi sotto scacco da parte del pool di Mani pulite, non osavano più fare una telefonata neppure per raccomandare l’assunzione di un usciere.

All’epoca il ministro del Tesoro era Piero Barucci, ma di fatto quel potere era gestito dal direttore generale, il giovane Mario Draghi. Sul Corriere della Sera scrissi un articolo che segnalava questa situazione.

Il capo del più grande conglomerato industriale e finanziario d’Europa vive a Roma e lavora in ufficio della Repubblica italiana. È un economista di 45 anni, senza alcuna esperienza di gestione. Dedica a questo lavoro non più di un’ora al giorno, non perché sia uno sfaticato, ma perché ha tanti altri impegni ancora più importanti. E suoi collaboratori si contano sulle dita di una mano. Mario Draghi, direttore generale del Tesoro, nel tempo lasciato libero dalla difesa della lira e dal controllo dei conti pubblici amministra una holding che fattura quasi 200mila miliardi di lire, occupa 850mila persone e intermedia quasi 1 milione di miliardi (di lire, ndr) di mezzi finanziari. Una holding nata dal decreto legge varato l’11 luglio e definitivamente approvato il 7 agosto che ha trasformato in società per azioni i maggiori enti economici italiani affidandone Il controllo al ministero del Tesoro.

Draghi lesse l’articolo, si assicurò attraverso un comune amico che non si trattava di enemy action ma di una iniziativa dettata solo dal dovere di cronaca, e mi invitò al Tesoro. Fu gentilissimo, parlammo della situazione della lira (sotto attacco in quell’estate) e mi accompagnò a vedere il sancta sanctorum di via Venti Settembre, il Gran Libro del Debito Pubblico, un volumone annotato a mano dove, come dice la Treccani

si iscrivono per ogni prestito contratto dallo Stato gli estremi dei prove­dimenti di emissione e i dati qualitativi e quantitativi di ciascun titolo.

All’epoca il rapporto debito/Pil viaggiava attorno al 115%, un rapporto che prima della crisi del 2008 si riuscì ad abbassare sotto il 104%, ma che oggi sfiora il 160%. 

Di quell’incontro serbo il ricordo di una persona calma e gentile, sicura delle sue competenze e per nulla spaventata delle sue grandissime responsabilità. Dal quel momento sono passati 28 anni e penso che nessuno oggi meglio di Mario Draghi possa guidare l’Italia attraverso le tre crisi, sanitaria, economica e sociale, menzionate dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

Oltre alle dichiarazioni rese al Quirinale, per capire le intenzioni del Presidente incaricato è interessante leggere il riepilogo, a cura di Dario Di Vico, sulla Rassegna stampa del Corriere, delle convinzioni espresse da Draghi nei suoi recenti interventi. Se ne ricavano quattro caposaldi a cominciare dalla distinzione tra “debito buono e debito cattivo”, che lo porterà a essere “molto più attento del Conte 2 nel determinare scostamenti di bilancio o il ricorso continuo ai bonus, ritagliati per singole categorie o singoli settori dell’economia”.

Altro punto importante del Draghipensiero, la convinzione di non sprecare risorse “per aziende che sono destinate al fallimento o che non ne hanno bisogno”, concentrandosi invece sulle politiche attive del lavoro per proteggere l’occupazione. Prioritaria anche “l’istruzione e, più in generale, l’investimento nei giovani”:

La situazione presente rende imperativo e urgente un massiccio investimento di intelligenza e di risorse finanziarie in questo settore.

Infine, ambiente e digitalizzazione, temi sui quali riportiamo integralmente la sintesi che ne fa Di Vico:

Nel discorso di Rimini Draghi aveva indicato anche due obiettivi che sono pienamente coerenti con la filosofia del Next Generation Eu. «La protezione dell’ambiente, con la riconversione delle nostre industrie e dei nostri stili di vita, è considerata dal 75% delle persone nei 16 maggiori Paesi al primo posto nella risposta dei governi a quello che è il più grande disastro sanitario dei nostri tempi». E aveva aggiunto: «La digitalizzazione, imposta dal cambiamento delle nostre abitudini di lavoro, accelerata dalla pandemia, è destinata a rimanere una caratteristica permanente delle nostre società. È divenuta necessità: si pensi che negli Stati Uniti la stima di uno spostamento permanente del lavoro dagli uffici alle abitazioni è oggi del 20% del totale dei giorni lavorati». I fondi dovrebbero essere assicurati da Bruxelles ma è certo che le bozze di Recovery Plan messe giù da Conte non delineavano una politica industriale di trasformazioni coerenti, ma un insieme di scelte a coriandolo. Un’impostazione che eventualmente Draghi non potrà non correggere.

Una delle priorità di Draghi sarà certamente la revisione e l’integrazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) presentato dal precedente governo. Nell’audizione alle commissioni Bilancio e Ambiente della Camera, giovedì 4, il portavoce dell’ASviS Enrico Giovannini ha messo in evidenza i limiti dell’attuale bozza. Tuttavia, le tre priorità trasversali che vi sono espresse, e cioè giovani, occupazione femminile e Mezzogiorno, sono certamente coerenti con le impostazioni del nuovo esecutivo.

Ricordiamo che su queste priorità sta lavorando anche l’ASviS. L’Alleanza darà voce ai giovani sul Pnrr nell’evento di mercoledì 10 febbraio. Sarà introdotto da Giovannini, ma lascerà piena libertà di espressione alle giovani generazioni, come si dice chiaramente già dal titolo: “Vogliamo decidere sul nostro futuro!” Inoltre, l’ASviS ha dedicato al Mezzogiorno la puntata di “Alta sostenibilità” del 1° febbraio, mentre la stessa rubrica curata dall’ASviS su Radio radicale parlerà di occupazione femminile nella puntata dell’8 febbraio, anche alla luce degli ultimi disastrosi dati presentati dall’Istat, che dimostrano come le donne abbiano subito la parte più rilevante del calo occupazionale.

Forse con la nomina di Draghi è morta la Terza repubblica, come qualcuno ha scritto, identificando la seconda col periodo a egemonia berlusconiana e la terza con la parabola grillina. Sarebbe però sbagliato pensare che sia morta la politica, perché questo Paese non può uscire dalle secche in cui si trova senza la buona politica. Innanzitutto, perché senza politica non c’è consenso. Ci si può affidare temporaneamente a un Cincinnato che salva la Repubblica, ma solo se la crisi è delimitata nel tempo. Ci sono ragioni per pensare che la pandemia sarà seguita da altre sfide difficilissime, derivanti dalla crisi climatica, dalle migrazioni di massa, ma anche da una serie di innovazioni tecnologiche che sconvolgono e sempre più sconvolgeranno i nostri ritmi di vita e di lavoro e le nostre sicurezze. Queste sfide non possono essere affrontate senza una visione condivisa del futuro che si vuole costruire. È dunque auspicabile che il periodo del governo Draghi serva non solo ad affrontare le emergenze, ma anche per consentire alle forze politiche di elaborare una propria visione, magari coagulando alleanze su un’idea condivisa dell’Italia del futuro, e di offrire questa visione all’opinione pubblica. Fare in modo che il voto, quando avverrà, non avvenga solo su suggestioni di breve termine, ma sulla consapevolezza di quello che ci aspetta, dei sacrifici e degli obiettivi. La dichiarazione del 4 febbraio del premier uscente Giuseppe Conte, che vorrebbe unire i partiti di centrosinistra (Pd, M5S e Leu) in una “Alleanza per lo sviluppo sostenibile” va nella direzione giusta, tanto da perdonargli il “tentato scippo” del nome. Ma va anche detto che noi vinceremo la nostra battaglia se lo sviluppo sostenibile non sarà soltanto una bandiera di parte, cioè se le priorità dell’Agenda 2030 saranno condivise da uno schieramento il più ampio possibile.

L’altra ragione per la quale la funzione della politica deve essere tutelata è che l’Italia ha bisogno di capacità di visione e di buona amministrazione a tutti i livelli, perché la partita non si gioca solo a Roma. Questa settimana è risuonata la protesta congiunta dei sindaci di ogni colore politico per le enormi responsabilità che devono affrontare, avendo come ricompensa solo il rischio di una citazione in giudizio. Questa protesta deve essere considerata con attenzione perché sembra essere in atto un meccanismo perverso che suggerisce a ogni persona onesta di non cimentarsi nell’agone politico, in particolare nelle amministrazioni locali. Non è un caso che i sindaci delle grandi città, indipendentemente dall’appartenenza partitica, abbiano espresso la loro solidarietà alla sindaca di Torino Chiara Appendino condannata per i fatti di Piazza San Carlo, una tragedia in merito alla quale ben difficilmente avrebbe potuto fare qualcosa. Che i sindaci abbiano i nervi a fior di pelle si vede anche dalla reazione del presidente dell’Anci e sindaco di Bari Antonio De Caro all’invito del Comitato tecnico-scientifico a vigilare sul rispetto delle norme antipandemia, invito inteso come un rimprovero di scarsa attenzione: “Basta con il tiro al bersaglio sui sindaci, il Cts pensi a fare la sua parte”.

Sui sindaci, nonostante la frammentazione delle competenze delimitate da Regioni e Stato, gravano pesanti responsabilità, come è ben evidenziato dal sito che l’ASviS dedica al Goal 11  dell’Agenda 2030 e che riporta anche i documenti elaborati con Urban@it: gestione del territorio messo a repentaglio dai fenomeni meteorologici estremi, accelerazione del passaggio alle energie rinnovabili, lotta all’inquinamento, riscatto delle periferie, riassetto dei centri storici parzialmente svuotati dallo smart working sono problemi enormi, la cui soluzione richiede visione, competenza tecnica, ma anche un grande lavoro di condivisione con i cittadini.

Su questi problemi è necessario anche un maggior impegno del Pnrr, come ha sottolineato il coordinatore nazionale dei verdi Angelo Bonelli, dichiarandosi “assolutamente d’accordo” con quanto dichiarato da Giovannini.

Nel Pnrr ci sono carenze strategiche poiché solo il 2,5% dei 310 miliardi previsti sono destinati a investimenti sul Trasporto pubblico locale. Il prossimo Governo dovrà affrontare questo problema che rischia di compromettere il futuro delle nostre città e della nostra economia, lasciando senza risposte il grave problema dello smog nelle grandi città.

Affidiamo dunque la nave Italia a Mario Draghi, ma speriamo che questa nuova fase segni anche la riscossa della buona politica, a tutti i livelli.  

venerdì 5 febbraio 2021

Aderenti