Cop 30
GIORNO 9. Ed è così che ricomincia la salita…
Belém, 19 novembre 2025
I negoziatori della Cop 30 sono tornati in venue con una lista di incontri che non lascia spazio al respiro. Il presidente della Cop 30 lo ha ripetuto ovunque: vuole chiudere tutto entro venerdì, vuole che la Cop dell’Amazzonia entri nella storia.
Ma chi frequenta le Cop lo sa: questo è il momento in cui l’energia crolla e il testo esplode. È il classico “punto basso” della conferenza, quando la fine si avvicina ma le parentesi (le parti fragili, instabili, in disaccordo) restano ovunque. La prima bozza circolata ieri mattina ne è la prova: pagine e pagine di opzioni, alternative, formulazioni tra parentesi quadre. Nessuno ci vede ancora un atterraggio chiaro.
“Non possiamo rafforzare l’adattamento se non arrivano i mezzi”, mi ha detto una negoziatrice del Senegal. Ed è esattamente il nodo che inchioda quasi tutto.
Cosa dice la bozza?
L’immagine scelta dal presidente è ormai ovunque: entrare in “modalità mutirão”, quel momento in cui una comunità si mette allo stesso tavolo e lavora finché il lavoro non è fatto. La presidenza dice che la prima settimana ha dato segnali incoraggianti. Ora però serve un salto. Da ieri pomeriggio è partita la shuttle diplomacy: giri rapidi, stanza per stanza, per capire dove cedere e dove resistere.
Obiettivo: pubblicare testi rivisti mercoledì mattina e chiudere il pacchetto politico già domani. Per far spazio al negoziato, una parte degli eventi collaterali - forum giovanile, dialogo di Baku sull’adattamento, tavole rotonde ministeriali - è stata spostata a mercoledì e giovedì.
Sul discusso Articolo 9.1 (il sostegno economico ai Paesi in via di sviluppo), gli sviluppati hanno fatto un mezzo passo: più prevedibilità, volumi più chiari, possibilità di contribuire all’obiettivo dei 300 miliardi l’anno del nuovo Ncqg.
Sul Fondo Perdite e Danni invece siamo fermi: posizioni distanti, sensibilità diverse, strategie che non si incastrano.
Se l’aumento della finanza non sarà credibile, gli indicatori dell’Obiettivo Globale sull’Adattamento rischiano di rimanere un esercizio teorico, sconnesso dalle realtà dei Paesi più colpiti. I Paesi in via di sviluppo chiedono equilibrio: adattamento, mitigazione, perdite e danni devono pesare allo stesso modo nel nuovo obiettivo finanziario globale. E chiedono un impegno netto. Tra le proposte: triplicare la finanza per l’adattamento entro il 2030, arrivando ad almeno 120 miliardi l’anno.
Arrivano nuovi fondi (ma l’Italia non c’è)
Buone notizie dal Fondo per l’Adattamento: ieri sono stati annunciati nuovi contributi per 133 milioni di dollari. Germania, Spagna, Svezia, Irlanda, Lussemburgo, Svizzera, Vallonia, Corea del Sud e Islanda hanno messo risorse fresche. L’Italia non contribuisce dal 2021. La richiesta di continuità e prevedibilità resta una delle più ripetute nei corridoi.
Nel frattempo oltre 80 Paesi si impegnano per uscire dai combustibili fossili. L’idea, lanciata dal Brasile e rilanciata da Lula, ha raggiunto quota 82 Paesi favorevoli. Tra loro Stati europei, piccole isole, grandi economie emergenti. Ma il consenso non è affatto garantito.
Oggi è il giorno di Lula: il suo arrivo è considerato da molti la leva politica necessaria per spingere gli ultimi compromessi e far chiudere il pacchetto con un accordo forte. E intanto il testo continua a cambiare sotto i nostri occhi, è una corsa contro il tempo e nei corridoi si sente chiaramente.
Di Andrea Grieco
