Editoriali
È ancora possibile realizzare uno sviluppo sostenibile nonostante la guerra?
Raggiungere gli Obiettivi dell’Agenda 2030 è diventato più difficile, soprattutto per le conseguenze economiche e sociali del conflitto. Ma le crisi sono anche un’occasione per una visione diversa e per trovare nuove energie.
di Donato Speroni
Venerdì, mentre i giovani dei Fridays for Future tornavano in piazza a chiedere più azione e giustizia climatica, gran parte del Centro-Nord misurava 20-23 °C, come fosse inizio maggio.
La segnalazione del caldo anomalo e della siccità sul Fatto quotidiano è del meteorologo Luca Mercalli che parla anche della situazione in Antartide, dove la temperatura è salita di 38 gradi centigradi rispetto alle medie stagionali, record mondiale di anomalia termica. Parliamo sempre di temperature polari, -11° invece che -49°, ma le conseguenze sullo scioglimento dei ghiacciai potrebbero essere dirompenti, accelerando l’innalzamento del livello dei mari.
Mentre il mondo guarda alla guerra in Ucraina, col suo bagaglio di sofferenze, speranze e dichiarazioni contraddittorie, il Pianeta continua a riscaldarsi con sintomi che fanno pensare a una accelerazione del fenomeno. Nei prossimi giorni l’Ipcc diffonderà il suo rapporto aggiornato sulle politiche di mitigazione; con il precedente documento sull’adattamento, diffuso da poche settimane, ci darà un quadro preciso, condiviso da centinaia di scienziati, di quello che si deve fare per fronteggiare la crisi climatica. Ma la domanda ricorrente, in tanti dibattiti di questi giorni, riguarda il rapporto tra guerra e sostenibilità. Siamo ancora in grado di impegnarci su un percorso di sviluppo sostenibile, nonostante i contrasti tra le nazioni e le tendenze al riarmo? Le nuove priorità legate alla sicurezza, lo sconvolgimento dei canali del commercio internazionale, a cominciare dagli alimentari, rendono inattuale l’Agenda 2030? I suoi obiettivi quantitativi sono ancora raggiungibili entro la fine del decennio?
Non è la prima volta che si discute sulla effettiva possibilità di raggiungere i 17 Goal e i 169 Target approvati da 193 nazioni nel corso dell’Assemblea dell’Onu del settembre 2015. Il segretario generale delle Nazioni unite António Guterres aveva già lanciato l’allarme a fine 2019, proclamando la Decade of action per recuperare i ritardi che cominciavano a delinearsi. Pochi mesi dopo è arrivata la pandemia e adesso la guerra. Dobbiamo rimettere nel cassetto tutte le nostre speranze?
Nel prossimo luglio, all’High level political forum di New York (nel quale anche l’Italia dovrebbe presentare l’aggiornamento della sua Strategia nazionale di sviluppo sostenibile) avremo un quadro aggiornato della situazione mondiale. Possiamo però provare ad anticipare qualche riflessione, anche se non sappiamo quando e come finirà la guerra.
Sul piano economico e sociale gli effetti del conflitto combinati a quelli del Covid sono pesantemente negativi. Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, in un discorso pronunciato il 26 marzo, li ha riassunti con efficacia, come risulta da questa sintesi del Sole 24 Ore.
‘A livello globale’, lo stato di cose determinato dall'emergenza Covid-19 ‘può avere effetti sul piano della povertà estrema’, tanto che si stima che ‘oltre 100 milioni di persone torneranno in stato di povertà estrema’.
E ancora:
Riferendosi invece allo scenario geopolitico provocato dalla guerra in Ucraina, Visco ha richiamato il ‘rischio di un brusco rallentamento’ nelle dinamiche di interdipendenza della globalizzazione, oltre al ‘rischio di accentuata regionalizzazione, di investimenti produttivi più bassi e incertezze per la domanda futura’. In periodi come questi l'attenzione si sposta ‘su temi come la sicurezza energetica, la fornitura di gas, la diversificazione delle fonti di energia, le materie prime, e queste ‘sono nuove sfide che si vanno a sovrapporre alla transizione green rendendola più ardua’.
Anche il premio Nobel Joseph Stiglitz, in una intervista a Eugenio Occorsio sulla Repubblica, condivide questo pessimismo sui tempi della transizione ecologica:
Purtroppo ci saranno delle scelte da fare, spostando gli investimenti da un settore all'altro. Anche se questo è sgradevole, viviamo un'emergenza troppo drammatica.
In materia di energia e di crisi climatica il quadro è però più articolato. Gli effetti negativi sono immediati e in parte già si dispiegavano a seguito dell’aumento dei costi di gas e petrolio iniziato ancor prima del conflitto: il ritorno al consumo del carbone ne è un segno evidente. Tuttavia si potrebbero anche accelerare politiche virtuose. La necessità di non dipendere dalla Russia potrebbe spingere a una accelerazione della transizione alle energie rinnovabili. Questo potrebbe essere particolarmente vero per l’Italia, data la forte dipendenza dal gas russo, a condizione di riuscire a sbloccare gli iter autorizzativi che finora hanno impedito il maggior ricorso al solare e all’eolico.
Quali saranno gli effetti della guerra sulla collaborazione multilaterale da cui dipende in larga misura l’attuazione dell’Agenda 2030? In realtà il mondo non è mai stato in pace, come ci ricorda da anni papa Francesco parlando di “guerra mondiale a pezzi”. Anche prima di questa invasione dell’Ucraina da parte della Russia, gli esperti di geopolitica contavano una sessantina di conflitti in corso nel Pianeta. Forse è vero che si tratta di scontri che sentivamo lontani, tra gente non di pelle bianca. Il nostro modo di guardare al mondo si basa su due pesi e due misure, come si è visto anche nella diversa accoglienza dei profughi dalla Ucraina e dal Medio Oriente e su questo punto è certamente necessaria una riflessione etica ancor prima che politica. Ma è anche vero che questa guerra ha dimensioni e implicazioni che possono avere un forte impatto su tutta l’umanità: per l’importanza delle nazioni in conflitto, per il rischio di una escalation nucleare, per le conseguenze che sta già avendo sul commercio internazionale, soprattutto per i generi alimentari e i fertilizzanti di cui Ucraina e Russia sono forti esportatori.
È dunque possibile che si vada verso una “regionalizzazione” come denunciato anche da Visco, che cioè anche a guerra finita restino divisioni che rendono più difficile la collaborazione internazionale. Per evitare questo rischio non si può che fare affidamento sulla diplomazia e sul dialogo, cogliendo ogni spiraglio per mantenere aperto il negoziato: con la Cina, partner ormai indispensabile di ogni discorso sul futuro del mondo, ma anche con la Russia che per l’Unione europea è uno scomodo ma importante vicino. C’è da augurarsi che anche a Mosca ci si renda conto che gli obiettivi che Vladimir Putin si proponeva con l’invasione dell’Ucraina non possono essere raggiunti e si ricerchi un compromesso prima che la Russia sia completamente devastata dalle sanzioni. Questo è anche nell’interesse dell’Europa. Come ha scritto Andrea Riccardi su Avvenire rendendo omaggio a un grande giornalista scomparso in questi giorni:
Franco Venturini era convinto che ‘c’è un aggressore e un aggredito’, ma scriveva: ‘La Russa che rischia di perdere in Ucraina non va umiliata, va battuta con una pace degna’.
Una parte importante dell’Agenda 2030 (l’Obiettivo 16) riguarda i diritti, la trasparenza dei governi, la tutela delle minoranze. Anche da questo punto di vista la guerra in Ucraina comporta passi indietro, per esempio con la rivalutazione nel ruolo di mediatore di un autocrate come Recep Tayyip Erdogan, il presidente turco, costringendoci a dimenticare tutte le sue violazioni ai diritti dell’opposizione, della stampa e delle minoranze. Questo problema però lo avevamo ben presente anche prima del conflitto. Che si parli di Turchia, di Russia, di Cina o di altri regimi a democrazia limitata, troppo spesso abbiamo preferito “guardare da un’altra parte” sul tema dei diritti, per seguire i nostri interessi economici. Lo rilevano con chiarezza, invitando a un cambio di passo, i presidenti dell’ASviS Marcella Mallen e Pierluigi Stefanini nella premessa che apre l’analisi del Pnrr e della Legge di Bilancio che l’ASviS ha presentato giovedì 31.
Sia chiaro: non abbiamo le soluzioni per le crisi mondiali, ma abbiamo un approccio per affrontarle: dobbiamo puntare sul multilateralismo, sulle istituzioni internazionali, sulla difesa dei diritti delle minoranze ovunque siano violati, sulla ricerca del dialogo per alimentare continuamente i fragili equilibri della pace. Dobbiamo prenderci cura della democrazia, partendo dalle nostre comunità. Coinvolgere individui e società in un ragionamento sul rapporto tra benessere individuale e bene comune. Accogliere le contraddizioni che ogni scelta coraggiosa comporta. Perché solo se daremo priorità a questi valori e attueremo comportamenti conseguenti, senza continuare a subordinarci alle convenienze economiche che spesso ci suggeriscono di guardare da un’altra parte, potremo sperare di raggiungere davvero gli obiettivi della sostenibilità.
Ovviamente sia il Pnrr sia la Legge di bilancio 2022 non potevano tener conto della guerra e l’analisi dell’ASviS mette in relazione questi documenti con gli Obiettivi dell’Agenda 2030 prima di questo cataclisma. L’incontro è stato però anche una occasione di riflessione sugli obiettivi prioritari che dobbiamo porci in questo momento: la difesa del multilateralismo, la costruzione europea, l’impegno per evitare per quanto possibile di ritardare la transizione ecologica. A questa riflessione, martedì 5 aprile l’Alleanza aggiungerà un altro elemento importante: l’analisi della riforma degli articoli 9 e 41 della Costituzione, che ha inserito nella Carta la tutela dell’ambiente e della biodiversità anche nell’interesse delle generazioni future: una innovazione che potrebbe avere un significativo impatto sul modo di legiferare e di amministrare in questo Paese, cambiando le priorità delle scelte, ma che fino ad ora non è stata adeguatamente valutata in tutte le sue implicazioni.