Editoriali
Adesso tocca ai giovani reagire ai ritardi delle classi dirigenti
Consumo delle risorse, crisi climatica, debiti da ripagare: sulle nuove generazioni stiamo scaricando un peso senza precedenti. Ora i giovani devono prendere in mano il loro futuro, ma anche per i più anziani c’è molto lavoro da fare.
di Donato Speroni
L’Earth overshoot day di quest’anno cade sabato 22 agosto, con un miglioramento di 24 giorni rispetto al 2019. Segna il giorno in cui l’umanità ha esaurito le risorse prodotte dal Pianeta nell’anno, quindi il ritardo dal 29 luglio del 2019 può sembrare una buona notizia, ma non c’è da farsi molte illusioni. L’effetto Covid ha rallentato le attività economiche in tutto il mondo; tuttavia, il ritorno alla crescita tanto desiderata e tanto necessaria per sfuggire alla povertà fa presagire che, salvo una violenta ripresa della pandemia che costringa a nuovi blocchi estesi, la Giornata tornerà già dal 2021 a collocarsi attorno alla fine di luglio.
Questa è una delle contraddizioni con le quali dobbiamo fare i conti quando parliamo di un futuro sostenibile: non possiamo affidarci a una decrescita che sarebbe certamente infelice, come abbiamo sperimentato in questi tempi di lockdown, perché aumenterebbe le disuguaglianze all’interno delle nazioni e tra le nazioni, ma al tempo stesso sappiamo che sconfiggere la povertà e assicurare un livello di vita “decente” agli attuali 7,8 miliardi di persone e agli oltre nove miliardi che (salvo cataclismi) popoleranno la Terra nel 2050 richiede un sostanziale cambiamento dei modelli di produzione e di consumo. Per non andare oltre quei planetary boundaries, quei confini invalicabili nello sfruttamento del Pianeta, il cui superamento potrebbe determinare una catastrofe irrimediabile.
Di questi confini, l’eccesso di gas serra nell’atmosfera e la conseguente crisi climatica è certamente il più evidente e il più percepito dall’opinione pubblica, anche se non si fa abbastanza per affrontarlo. Ma ce ne sono altri, meno esplorati. Come segnala Johan Rockström sul sito della Earth Commission,
Oggi le attività umane stanno accelerando il cambiamento del sistema Terra in una dimensione e a una velocità che minaccia i beni comuni globali e la fondazione stessa del benessere umano. Servono azioni urgenti per rallentare questi cambiamenti negativi. Per combattere il cambiamento climatico, gli Stati del mondo hanno concordato di limitare ben sotto i due gradi centigradi l’aumento globale della temperatura, ma non ci sono analoghi obiettivi basati sulla scienza per gli altri aspetti del sistema Terra.
Purtroppo, anche l’impegno a contenere il riscaldamento globale difficilmente sarà rispettato e già se ne vedono le conseguenze. Non solo l’accentuarsi dei fenomeni meteorologici estremi che in questa fine estate ci fa vivere nell’ansia delle cosiddette “bombe d’acqua”, ma una serie di conseguenze e di azioni di adattamento difficilmente immaginabili fino a qualche anno fa. In Francia la vendemmia è stata anticipata, come riferisce la Rassegna stampa del Corriere della Sera:
Secondo il ministero francese della Transizione ecologica «in media, la raccolta oggi avviene 18 giorni prima rispetto a 40 anni fa» e questo anticipo della data delle prime vendemmie è «un indicatore efficace del riscaldamento globale».
Agli antipodi, il governo delle isole Kiribati, per evitare che il mare spazzi via i villaggi dell’arcipelago, ha cominciato a scavare il fondo delle lagune per rialzare la terraferma. Se non basterà, per gli abitanti dei piccoli Stati insulari del Pacifico vale sempre la promessa di cittadinanza del primo ministro della Nuova Zelanda Jacinta Ardern: “Noi Paesi sviluppati abbiamo provocato la crisi climatica ed è giusto che ora accogliamo chi ne subisce le peggiori conseguenze”.
Anche l’Unione europea da quest’anno prende molto sul serio i temi della sostenibilità, scanditi nei 17 Obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu, e ha colto la drammatica occasione del Covid 19 per stimolare i Paesi membri a formulare progetti ambiziosi in linea col “Green deal” lanciato dalla Commissione di Ursula van del Leyen. Per un quadro complessivo e sistematico delle politiche europee per lo sviluppo sostenibile suggerisco di leggere il primo “Quaderno dell’ASviS”, diffuso lunedì 17 agosto, il quale offre un supporto informativo anche al fine della formulazione da parte dell’Italia di un adeguato “Piano di ripresa e resilienza”.
Si sta facendo abbastanza per prepararsi a questa grande opportunità di trasformazione del Paese? Dobbiamo registrare che, al di fuori delle dichiarazioni degli esponenti di governo, pressoché tutti i commenti sono piuttosto critici e preoccupati. L’ex presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, intervenendo al meeting di Rimini, pur evitando attacchi all’esecutivo, ha richiamato con chiarezza le grandi responsabilità dei decisori di oggi di fronte ai giovani, che dovranno sopportare il peso dei debiti contratti in questa situazione di emergenza.
Anche il portavoce dell’ASviS Enrico Giovannini è intervenuto a Rimini e ha commentato le dichiarazioni di Draghi in una intervista al sito formiche.net
Il fatto che in Italia continuiamo a chiamare Recovery fund qualcosa che si chiama Next generation Eu denota l’incapacità culturale di pensare alle nuove generazioni. Ancora una volta la disattenzione verso il futuro sembra stia emergendo: basta guardare al modo in cui non solo la politica, ma anche le organizzazioni economiche, si apprestano a fare i piani per utilizzare i fondi messi a disposizione dall’Unione Europea. Da anni ASviS propone l’inserimento in Costituzione del principio della giustizia tra generazioni. Quando le Costituzioni sono state scritte si pensava che lo sviluppo economico continuo e senza limiti avrebbe fatto stare inevitabilmente meglio le giovani generazioni. Purtroppo, solo ora tanti riconoscono che non è così. Perciò bisogna rendersi conto che il modello che abbiamo usato finora non è in grado di gestire in modo corretto il tema della sostenibilità sociale, ambientale, economica.
Ripensare questo modello e agire per cambiarlo è un compito che riguarda i governanti, ma anche tutti noi, come ci ricorda Ilaria Capua sul Corriere della Sera:
La pandemia che ha trasformato l’impossibile nel necessario ci offre una grandissima opportunità che non si ripresenterà almeno per noi. Noi possiamo concentrare i nostri sforzi verso una riconversione sostenibile facendo un passo in più: un passettino che servirà ai nostri figli. (…) Le informazioni ci sono. Sono i big data un po’ visibili un po’ opachi, ma ci sono. Immaginiamo i big data come libri virtuali, da ripulire, tradurre e rendere fruibili ai nostri ragazzi che avranno domani pure i computer quantici — che si dice che faranno il lavoro di un anno in un secondo, ma questo non basta. (…). Noi potremmo farci carico di mettere a posto quei libri, permettendo alle nuove generazioni di leggere e comprendere quella storia di insostenibilità del pianeta che abbiamo costruito. È questo il regalo più grande che possiamo fare loro: ordinare e preparare il materiale di lavoro che sarà alla base delle soluzioni per una rinascita più rispettosa del sistema che ci ospita e dei suoi equilibri.
La proposta della scienziata è chiara: il mondo non si salva senza un coinvolgimento diretto dei giovani per uno sviluppo sostenibile. Tuttavia, spetta ai più anziani, che portano la responsabilità dell’attuale degrado, mettere a punto ipotesi di soluzione sulla base delle informazioni disponibili, aiutando le nuove generazioni a leggere il grande libro della complessità.
Tutti questi temi saranno affrontati nel corso del prossimo Festival dello sviluppo sostenibile, che si svolgerà dal 22 settembre all’8 ottobre, e nel Rapporto annuale dell’Alleanza, che verrà diffuso nella giornata finale del Festival. I tantissimi eventi che compongono il cartellone del Festival saranno altrettante occasioni per discutere di questi temi e stimolare la classe dirigente e le nuove generazioni a convergere su soluzioni adeguate. Non a caso, l’Alleanza ha lanciato il sito futuranetwork.eu , con il concorso di importanti fondazioni e istituti di ricerca sui possibili scenari futuri, allo scopo di stimolare il dibattito sulle scelte necessarie oggi per non compromettere un avvenire sostenibile.
Proprio perché crediamo nella necessità di coinvolgere tutti, soprattutto i giovani, in questo sforzo di ideazione dell’Italia del futuro e di trasformazione del nostro Paese, non ci stancheremo di proporre cambiamenti radicali delle nostre istituzioni e delle nostre politiche. Ma la classe dirigente attuale – non solo quella politica - deve dimostrare nei fatti, non solo a parole, di credere che il cambiamento è possibile, a partire dal modo in cui si sta formulando il Piano per l’utilizzo dei fondi europei. Pensare che la trasformazione avvenga giustapponendo progetti slegati tra loro, elaborati dai singoli Ministeri in poche settimane, rischia di essere un errore grave. Sarebbe meglio prendersi il tempo necessario per elaborare una visione per i prossimi dieci anni da proporre al Paese e all’Unione europea, dal quale derivare i singoli progetti, piuttosto che presentare una lista di proposte, utili, ma non necessariamente integrate e orientate al futuro delle nuove generazioni.