Editoriali
Contro la crisi climatica certi consumi devono diminuire
Non possiamo pretendere di combattere la battaglia della mitigazione con provvedimenti di scarso impatto. Decrescita felice? No, ma consapevole. L’idea di una “convenzione dei cittadini italiani” sul modello francese.
di Donato Speroni
On ne peut avoir le beurre et l'argent du beurre
Nella sua conferenza a Luino, in occasione dell’accettazione dell’Earth prize international, Luca Mercalli ha esordito con questo antico proverbio francese, analogo al nostro sulla botte piena e la moglie ubriaca. Con questa espressione il noto climatologo intendeva dire che non possiamo aspettarci di incidere sostanzialmente sulle emissioni di gas climalteranti, e quindi sull’aumento delle temperature, se non prenderemo provvedimenti molto più drastici di quelli adottati finora.
Le aree di intervento sono sostanzialmente tre. La prima è l’accelerazione della transizione verso le energie rinnovabili. L’impegno delineato dalla Commissione europea indica un taglio del 55% delle emissioni entro il 2030 e il Parlamento europeo vorrebbe portare questo obiettivo al 60%. Ma già il 55% è una bella sfida che comporta un fortissimo sviluppo delle energie rinnovabili. Prima di Mercalli, nello stesso evento, ha parlato l’assessore all’ambiente della regione Lombardia Raffaele Cattaneo, che ha presentato un semplice calcolo.
Per raggiungere questo obiettivo, dobbiamo puntare sul fotovoltaico, perché l’idroelettrico è ormai sfruttato e l’eolico in Valpadana offre poche opportunità. Bene, abbiamo calcolato che in Lombardia da oggi al 2030 abbiamo bisogno di una ulteriore estensione di pannelli solari pari a tremila campi di calcio, circa due o tre per comune.
In pratica vuol dire ricoprire di pannelli tutti i tetti della regione, tranne quelli esposti a nord. Un semplice rapporto con la popolazione italiana ci dice che in tutta la Penisola i tetti da ricoprire sarebbero pari a 20mila campi da calcio. Si può fare, ma occorre una politica molto coraggiosa, che potrebbe essere favorita da quel 37% di fondi del Next generation Eu che deve appunto essere destinato alla lotta alla crisi climatica.
La seconda direzione nella quale è necessario muoversi riguarda il risparmio energetico. Qui il governo ha fatto la mossa giusta, con l’agevolazione al 110% per l’isolamento termico e le altre misure di miglioramento energetico degli edifici. Questo, secondo Mercalli, è il settore nel quale si possono ottenere risultati importanti senza incidere sulla nostra qualità della vita, anzi migliorandola e risparmiando sulle bollette.
C’è però un campo nel quale la battaglia sul clima comporta rinunce dolorose: i consumi. Secondo il calcolo presentato da Mercalli, ogni italiano attualmente consuma (tra consumi elettrici e altri consumi energetici, come i carburanti) una quantità di energia equivalente a una media di sei chilowatt, in tutte le ore del giorno e della notte. Un cittadino statunitense ne consuma nove. Per avere un mondo sostenibile dal punto di vista climatico, questo consumo dovrebbe scendere a due chilowatt. Addio, dunque, ai viaggi aerei low cost, agli abiti alla moda usa e getta, all’uso indiscriminato dell’auto privata, comprese quelle elettriche, al condizionamento dell’aria a palla. Meglio vedere un bel documentario su New York, comprare abiti comodi di lunga durata, usare i mezzi pubblici o in sharing. È evidente che questa svolta avrebbe un effetto sul Prodotto interno lordo paragonabile a quello del Covid, perché difficilmente gli investimenti pubblici e gli incentivi alla green economy nel breve termine potrebbero controbilanciare l’effetto delle restrizioni ai consumi privati. Una decrescita felice? Via, non prendiamoci in giro. Sacrifici pesanti, ma indispensabili perché “l’aereo ha finito il carburante: tra pochi anni andiamo a schiantarci”.
Ero presente allo stesso evento a Luino, per consegnare a Enel Foundation il premio “Giusta transizione”. Si tratta di un premio istituito dall’ASviS per sottolineare la necessità di accelerare la transizione energetica, prestando grande attenzione agli effetti sociali che rischiano di svantaggiare i più deboli. Ho obiettato a Mercalli che comunque c’è un enorme problema costituito dal resto del mondo che non può fare a meno di crescere e consumare più energia. L’Europa incide solo per il 10% sui consumi mondiali di energia primaria. Se anche nel Vecchio continente diventassimo tutti virtuosissimi, l’impatto sulla mitigazione complessiva delle emissioni di carbonio sarebbe comunque molto limitato. Mercalli si è detto d’accordo sul fatto che dobbiamo assistere i Paesi in via di sviluppo nella loro transizione energetica, ma ha ribadito che comunque non potremo ottenere risultati se non cominciamo noi a dare il buon esempio.
Pochi giorni dopo l’incontro di Luino, l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) ha diffuso il suo annuale “World energy outlook” (Weo), che presenta diversi scenari. Sulla base degli impegni già assunti dai diversi Paesi (Stated policies scenario, Sps), i consumi di energia primaria nel 2040 salirebbero a 17.100 milioni di tonnellate di equivalente petrolio (Mtoe) dai 14.400 Mtoe del 2019, con un apporto delle fonti fossili (carbone, petrolio e gas naturale) che scenderebbe soltanto al 72% del totale dall’attuale 80%. Nel Sustainable development scenario (Sds), i consumi al 2040 si fermano a 13.000 Mtoe, con un apporto dei fossili del 56%. Ma non è facile adottare questo scenario, sottolinea il Weo.
Raggiungere questi obiettivi significa portare il mondo su un sentiero post crisi totalmente diverso dal passato, con una rapida crescita di solare, eolico e delle tecnologie di efficienza energetica, ma anche, nei prossimi dieci anni, una impennata dell’idrogeno, delle tecniche di carbon capture (l’immagazzinamento del carbonio), e di un nuovo impulso al nucleare.
Se poi si vuole davvero arrivare a zero emissioni entro il 2050, la strada è ancora più impervia:
Per raggiungere questo obiettivo devono impegnarsi tutti: governi, società produttrici di energia, investitori e cittadini, con impegni senza precedenti. Già le riduzioni previste nell’Sds sono molto più ampie di quello che comunemente si crede e devono avvenire in un periodo nel quale il mondo sta cercando di recuperare dal Covid-19. Richiedono un continuo supporto degli elettorati di tutto il mondo rispettando al tempo stesso le aspirazioni di sviluppo di una popolazione mondiale crescente. Raggiungere emissioni zero globalmente entro il 2050 va anche molto oltre il Sds, sia in termini di azioni nell'ambito del settore energetico ma anche per quello che si richiederebbe in altri campi, perché qualunque sentiero che porti ad emissioni zero comporta che le imprese abbiano strategie chiare di lungo termine sostenute da impegni di investimento misurabili. Il settore finanziario dovrebbe facilitare una drammatica crescita delle tecnologie pulite, aiutare la transizione delle società produttrici di combustibili fossili e di quelle nei settori ad alta intensità di energia e portare capitale a basso costo nei Paesi e nelle comunità che ne hanno più bisogno. Saranno anche cruciali l'impegno e le scelte dei cittadini, per esempio nel modo in cui riscalderanno o raffredderanno le loro case, e nel modo in cui viaggeranno.
A tutt’oggi, sembra molto difficile che il mondo possa attuare interventi che mantengano entro i due gradi l’aumento delle temperature, con tutte le drammatiche conseguenze che ne deriveranno. La sola speranza, come dice Mercalli e come conferma l’Iea, è di convincere i cittadini a cambiare rotta, cominciando appunto dai Paesi più ricchi, come quelli europei. Non è facile, non solo a causa della pandemia, ma per la scarsa fiducia che in questi tempi gli elettori nutrono nei politici. Nell’ultima puntata di Alta sostenibilità, Enrico Letta ed Enrico Giovannini hanno ripreso la discussione sulla rivitalizzazione della democrazia rappresentativa. Ne parliamo da settimane in questi editoriali e Letta ha sottolineato l’importanza del tema anche in relazione alla prossima consultazione europea aperta ai cittadini.
In Europa verrà lanciata quest'autunno la conferenza sul futuro dell'Europa, un appuntamento che va non soltanto seguito, ma bisogna esserne protagonisti anche come italiani perché sarà un luogo nel quale si prenderanno decisioni da parte dei leader europei, dei leader nazionali e anche dei cittadini, che avranno modo di far sentire la loro voce, se lo vorranno. Sarà un processo di democrazia e di partecipazione unico al mondo, che durerà circa diciotto mesi e gli esiti diventeranno la base per riforme importanti in Europa.
Giovannini ha ripreso l’esperienza francese di democrazia deliberativa:
Nella discussione sul futuro della democrazia dobbiamo guardare a vari strumenti; uno di questi viene dalla Francia. Mi riferisco alla consultazione che è stata avviata dal presidente Emmanuel Macron su un gruppo di cittadini estratti a sorte proprio sui temi della transizione ecologica e dell'ambiente. Sono emerse tante proposte perché si lavorava insieme agli esperti, quindi c'è un momento in cui posizioni diverse vengono anche mediate con gli esperti. Ecco, forse l'Italia potrebbe sperimentare un'iniziativa del genere; come ASviS ci piacerebbe provare a sostenerla se questo ci aiuta ad affrontare un dibattito con scelte molto difficili.
Letta ha confermato la validità di questa esperienza. Ricordiamo che le iniziative di democrazia deliberativa si basano su un campione di cittadini rappresentativo dell’universo del Paese per genere, età, estrazione sociale e zona di provenienza, che si impegna ad approfondire un tema confrontandosi anche con esperti e portatori di interessi diversi, per arrivare a proposte concrete. In Francia, l’iniziativa ha riunito 150 cittadini che hanno lavorato per mesi e hanno portato a Macron 149 proposte condivise. Forse un’iniziativa analoga, sostenuta dall’ASviS, può essere un modo per verificare, al di là delle paure dei politici, quanto i cittadini sono disposti a cambiare comportamenti “per far sì che l’aereo non si schianti”, per usare l’espressione di Mercalli.