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Il welfare aziendale può diventare un rimedio al rifiuto del lavoro
Il 67,7% degli occupati desidera più tempo libero, segno che la carriera non è più al centro della vita delle persone. Ma con integrazioni di redditi e servizi per i lavoratori le imprese possono diventare più appetibili. 14/3/24
Nel nostro Paese, più di due lavoratrici/lavoratori su tre (67,7%) vorrebbe lavorare di meno. Questo è uno dei dati più interessanti che emerge dalla settima edizione del rapporto sul welfare aziendale elaborato da Censis ed Eudaimon, quest’anno intitolato “Il welfare aziendale e la sfida dei nuovi valori del lavoro”. Dal documento, presentato il 21 febbraio al palazzo della Minerva a Roma, si evince che, in modo intercategoriale, le persone desiderano in futuro ridurre il tempo dedicato al lavoro. Infatti, il 68,4% dei dirigenti, il 71,2% degli impiegati, il 68,4% degli operai, si sentono in sintonia con questa prospettiva. Inoltre, il fenomeno è condiviso trasversalmente tra tutte le generazioni: meno ore di lavoro sono volute dal 65,5% dei giovani, dal 66,9% degli adulti e dal 69,6% degli over 50. Ma un dato molto rilevante riguarda quegli occupati (il 30,5%) che dichiarano di impegnarsi nel lavoro solamente lo stretto necessario, rifiutando di svolgere straordinari, o di rispondere a mail o telefonate fuori dall’orario di lavoro. È in atto, secondo il rapporto, una “transizione socio-culturale decisiva”, dove “il lavoro non è più l’attività di vita per eccellenza intorno alla quale tutto il resto deve strutturarsi”.
Sostenibilità sociale d’impresa: la priorità è il benessere dei dipendenti
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Il welfare aziendale può però diventare uno strumento efficace per venire incontro a questo fenomeno. Conosciuto dall’81,8% degli occupati (da considerare che nel 2018 il dato era del 60,2%) e apprezzato dal 95% delle 62 aziende prese in analisi dal documento, il welfare aziendale potrebbe aiutare le imprese ad “ampliare la propria platea di lavoratori”. Infatti, l’indagine sulle imprese riportata nel documento evidenzia che “l’82% [di queste] ha attivato strategie ad hoc per trattenere i lavoratori e il 66% per attrarli”. Inoltre, il 95% delle aziende prese in esame ritiene che sarà necessario in futuro adattarsi al “più alto valore attribuito dai lavoratori al tempo libero”.
Nel concreto le aziende hanno già adottato delle strategie per attrarre o trattenere i lavoratori: il 33% ha reso più incentivanti le retribuzioni; il 55% ha aumentato la flessibilità negli orari di lavoro; il 67% ha attivato dei dispositivi di welfare aziendale. Azioni che vanno incontro alle necessità riscontate dalle aziende, che per il 59% hanno ad oggi maggiore difficoltà nel reclutare nuovi lavoratori, e riscontrano per il 50% un aumento delle dimissioni volontarie.
Dalla parte di chi lavora
Dal canto suo, come già sottolineato dal documento, il mondo del lavoro sta vivendo una trasformazione molto profonda. Per spiegare il fatto che il successo professionale non è più visto come l’obiettivo esistenziale per eccellenza bisogna considerare che “la minore presa del lavoro sulle persone ha radici profonde, poiché per il 62% degli occupati la propria retribuzione da lavoro non consente di realizzare le proprie ambizioni”.
Inoltre, esiste una “frustrazione latente trasversale ai lavoratori” visto che il 43,3% degli occupati in Italia ritiene di svolgere un lavoro inadeguato al proprio titolo di studio e/o alle competenze. Infine, con il rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale e di altre nuove tecnologie aumenta la preoccupazione: il 29,7% dei lavoratori ha paura di essere licenziato poiché il proprio lavoro in futuro potrà essere svolto dalle macchine, con l’AI in testa.
Più occupati, ma con il primo figlio schizza il gap di genere
In altre parole, il rapporto disegna un contesto dove i lavoratori hanno meno voglia di “darci dentro”, perché demansionati rispetto al loro livello di istruzione, pagati poco rispetto alle loro ambizioni di vita, e impauriti da un futuro dove il loro contributo nell’azienda sarà inutile a causa delle nuove tecnologie.
Ma in questi anni, paradossalmente, il mercato del lavoro italiano non è mai stato così bene: gli occupati in Italia, nel 2022, erano 23,1 milioni, “il dato più alto di sempre”, afferma il documento, considerando che nel 2012 il tasso di occupazione era al 56,1%, mentre due anni fa era al 60,1%. La percentuale di donne nel mercato del lavoro, in dieci anni, è aumentata, passando dal 41,7% del totale al 42,2%. Sta crescendo il lavoro stabile: tra il terzo trimestre 2019 e quello del 2023 sono stati registrati 595mila dipendenti, mentre sono stati registrati meno 207mila indipendenti, nello stesso periodo. Resta però molto ampio il gap nel tasso di occupazione per presenza di figli e genere (età 25-49 anni): nel 2022, l’89,3% degli uomini con figli lavorava, mentre solo il 58,6% delle donne con figli aveva un impiego, un divario del 30,7%.
Fonte copertina: xartproduction, da 123rf.com