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Un Women: promuovere la partecipazione femminile alla vita economica e politica
Secondo un dossier dell’Onu che analizza gli effetti del Covid-19 sulla parità di genere in ognuno dei 17 SDGs, le donne sono le principali vittime della pandemia in termini di occupazione, salute e rappresentanza. 11/11/21
A distanza di più di un anno e mezzo da quando l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato lo stato di pandemia globale, le disuguaglianze si stanno ampliando sempre di più, danneggiando soprattutto le donne. L’impatto combinato di conflitti, eventi meteorologici estremi e Covid-19 ha generato crescente povertà, fame e ha ampliato il gender gap, rendendo vane, in molti casi, le conquiste ottenute dalle donne negli ultimi venticinque anni. A sostenerlo è “Progress on the Sustainable Development Goals. The gender snapshot 2021”, il rapporto pubblicato di recente da Un Women, l’agenzia delle Nazioni unite per l’empowerment delle donne, che analizza i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 attraverso la lente della parità di genere.
Le disuguaglianze. Il dossier riporta subito un dato rilevante: dei quasi 5,8 miliardi di dosi di vaccino somministrate a livello globale entro metà settembre 2021, il 77% è andato ai Paesi di reddito medio-alto e soltanto lo 0,3% ai Paesi di basso reddito. In base ai dati riportati, il 60% delle donne in Israele e il 52% in Austria a luglio 2021 avevano completato il ciclo vaccinale per il Covid-19, rispetto ad appena lo 0,9% in Venezuela e lo 0,6% in Papua Nuova Guinea, e in 29 Paesi sui 36 di cui erano disponibili i dati le donne avevano meno probabilità di essere vaccinate rispetto agli uomini. Come è avvenuto in India, dove, ad agosto 2021, il 53% delle dosi di vaccino per il Covid-19 è andato agli uomini e soltanto il 47% alle donne. Negli Stati Uniti, invece, le donne hanno perso circa 1,5 anni di aspettativa di vita in media rispetto al 2018-2020 a causa del Covid-19 e la perdita più significativa riguarda le donne ispaniche (2,9 anni) e le donne nere non ispaniche (2,7 anni) a confronto delle donne bianche non ispaniche (1,1 anni).
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L’impatto sulle donne. Il dossier afferma con fermezza che i progressi che le donne hanno fatto negli ultimi 25 anni sono stati erosi in questi ultimi due anni, anche in termini di partecipazione alla vita economica e politica. L’esclusione delle donne e delle ragazze dall’istruzione, per la chiusura delle scuole durante il lockdown, è in aumento, e la presenza di Neet (Not in education, employment or training) è cresciuta in 28 Paesi su 48 con dati disponibili nel quarto trimestre del 2019 e del 2020: risulta, inoltre, che quasi sei giovani Neet su dieci nell’ultimo trimestre del 2020 siano donne (il 57,4%). La chiusura delle scuole ha portato le ragazze anche a una maggiore esposizione al rischio di violenza, sfruttamento, lavoro minorile, matrimonio e gravidanza precoce. Per esempio, nell’Africa sub-sahariana, e in particolare in Guinea equatoriale, Togo e Repubblica unita di Tanzania, fino a un milione di ragazze ha abbandonato la scuola a causa della gravidanza durante la pandemia. L’interruzione delle lezioni scolastiche, inoltre, ha aumentato il divario di genere nella gestione degli oneri del lavoro domestico e dell’accudimento dei figli sotto i sei anni, che è ricaduto maggiormente sulle donne, in particolare in sette Paesi su 11 di cui sono disponibili dati certi, tra cui l'Ecuador, l’Italia e della Macedonia del nord.
A livello globale, poi, le donne sono state coinvolte in prima linea nella risposta al Covid-19, rappresentando il 75% del personale sanitario impegnato negli ospedali, eppure soltanto il 28% dei dirigenti sanitari è donna e soltanto nel 4% dei casi la Covid-19 task force di 137 Paesi ha registrato parità di genere, mentre 18 Paesi non hanno affatto assunto donne.
L’occupazione femminile, negli ultimi due anni, è globalmente diminuita del 4,2% rispetto al 3% degli uomini: il numero di donne occupate nel 2020 è calato di 54 milioni e 45 milioni di donne hanno lasciato il mercato del lavoro del tutto, che è un rischio a cui sono maggiormente esposte le donne rispetto agli uomini. Il tasso di crescita dell'occupazione femminile previsto per il 2021 è più elevato rispetto a quello degli uomini (3,3% contro 3,0%), ma non sarà sufficiente a riportare le donne ai livelli di occupazione pre-pandemia: il numero previsto di donne occupate nel 2021, infatti, è di 13 milioni in meno rispetto al 2019, mentre per gli uomini i numeri sono simili a distanza di due anni. La povertà estrema è in aumento e il numero totale di donne e ragazze che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno potrà raggiungere i 435 milioni nel 2021, rispetto ai 398,5 milioni del 2019. Un’analisi ha stimato che oltre 150 milioni di donne e ragazze potrebbero uscire dalla povertà se i governi attuassero strategie globali per migliorare l’accesso all’istruzione e alla pianificazione familiare, garantendo salari equi, eguali e pari opportunità.
La mancanza di fondi ad hoc per la parità di genere si riverbera anche nelle procedure per la partecipazione delle comunità alle decisioni collettive: in questo ambito, soltanto il 45% dei Paesi ha politiche specifiche per il coinvolgimento delle donne e, allo stesso modo, solo il 22% ha alti livelli di partecipazione femminile nelle politiche e nei processi di gestione.
Per quanto riguarda, invece, i dati sulle donne migranti, il dossier riporta che alla fine del 2020 si è registrato il numero più alto di rifugiati di sempre, pari a 26,4 milioni di persone fuggite dai loro Paesi, la cui metà è rappresentata da donne e ragazze (il 48,1%). I dati sulle vittime di tratta mostrano che quasi il 20% del lavoro forzato riguarda le donne migranti, le quali sono anche vittime di violenze durante il viaggio migratorio: nel 2020, infatti, fino al 53% delle donne che ha viaggiato lungo la rotta balcanica e nel Mediterraneo ha riferito di aver assistito o di aver subito violenze, rispetto al 19% degli uomini. Le donne migranti, nel Paese di arrivo, contribuiscono in modo sostanziale al tessuto sociale ed economico della comunità di accoglienza, soprattutto nel settore sanitario e di accudimento casalingo: in Australia, per esempio, più di un operatore di assistenza a lungo termine su cinque è un migrante. La mancanza di politiche dedicate alle donne migranti significa che i loro bisogni non vengono riconosciuti dal Paese ospitante e, aggiunge il dossier, i migranti sono a maggior rischio di infezione e decesso per Covid-19 rispetto ai non migranti per condizioni di vita e lavoro precari e accesso limitato alle cure. Gli sforzi fatti finora non sono sufficienti: nel 2020 solo il 46,9% della popolazione mondiale ha avuto accesso a una protezione sociale e solo il 44,9% delle madri con neonati ha potuto ottenere un’indennità in denaro. Inoltre, la pressione della pandemia sui sistemi sanitari ha interrotto i servizi essenziali tra cui la salute materna e la contraccezione. Nel primo anno di pandemia, si stima infatti che 12 milioni di donne in 115 Paesi a basso e medio reddito abbiano sperimentato grandi lacune nei servizi di pianificazione familiare, portando a 1,4 milioni le gravidanze indesiderate e nello stesso periodo si sono verificati 113.400 decessi correlati alla gravidanza.
Le proposte. Le donne e le ragazze devono essere in prima linea nella ripresa dalla pandemia e nelle azioni di tutti i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile, afferma in conclusione il dossier, e per far questo sono necessarie politiche di sostegno al genere femminile e fondi specifici per reintegrare le donne nel mondo del lavoro e per stimolare la loro maggiore partecipazione nella lotta al cambiamento climatico, nello studio e nell’applicazione delle materie Stem (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) e nelle professioni politiche e manageriali. Il Rapporto, in modo specifico, raccomanda di affrontare con urgenza le lacune di dati disponibili; investire nell’economia della cura e nelle infrastrutture sociali, per creare il 40-60% in più di posti di lavoro; sfruttare il potenziale della transizione verso la sostenibilità ambientale per creare fino a 24 milioni di posti di lavoro in più nelle energie rinnovabili; promuovere la leadership femminile negli spazi istituzionali e aumentare i fondi per le organizzazioni femminili, che nel 2018-2019 hanno ricevuto soltanto l’1% di tutti gli aiuti Ocse-Dac assegnati alla parità di genere.
di Viola Brancatella