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Clima di stallo: nessun passo avanti nella tappa intermedia della Conferenza Onu
A Bonn si è discusso di finanza e mercato del carbonio, ma è stato il loss and damage a tenere banco. I Paesi vulnerabili hanno denunciato l’inazione dei Paesi ricchi. Servono ingenti flussi finanziari per l’adattamento. 23/6/22
Nulla di nuovo sotto al cielo di Bonn. La fine dei negoziati intermedi, che legano le questioni irrisolte di Cop 26 di Glasgow con l’inizio della Cop 27 di Sharm El Sheikh (in programma dal 7 al 18 novembre), non fanno presagire qualcosa di buono per il futuro della Conferenza Onu sul cambiamento climatico e, dunque, sullo stato di salute del Pianeta e di chi lo abita. Non c’è dubbio che la situazione geopolitica, minata dalle tensioni multilaterali scatenate dall’invasione russa in Ucraina, non abbia aiutato questa tornata negoziale, ma il riscaldamento globale colpisce sempre più duramente e lo stiamo vedendo bene anche in Italia, basti pensare alla crisi idrica che affligge il Paese. Per questo motivo c’erano tante aspettative sul summit, si sperava in risultati decisamente migliori.
Soliti e ben conosciuti gli argomenti lasciati appesi sul tavolo del dibattito; sono infatti anni che i Paesi non riescono a trovare una quadra su temi come “loss and damage”, “finanza climatica” e “meccanismi di mercato”.
Su “perdite e danni” ancora nessun progresso
La scontro si è palesato soprattutto sul “loss and damage” (perdite e danni). Si tratta di un tema strettamente connesso alla finanza climatica che tiene banco da più di 30 anni: i Paesi meno colpevoli del riscaldamento globale (in termini di emissioni climalteranti prodotte nella storia) hanno bisogno di un aiuto finanziario da quelli industrializzati (i colpevoli) per far fronte ai disastri generati dalla crisi climatica. Qui nessun passo avanti è stato compiuto; il modo in cui è stato trattato la questione presente nell’articolo 8 dell’Accordo di Parigi ha generato delusione tra i Paesi a forte rischio, che si sono visti anche vedere “bocciata” una loro proposta per la creazione di un nuovo strumento finanziario ad hoc. Per fare qualche esempio, Conrod Hunte, il capo negoziatore dell’Alliance of small island states (Aosis) ha dichiarato che “il cambiamento climatico sta diventando velocemente una catastrofe, ma all’interno di queste mura – la Cop – il processo non va al passo con la realtà”, mentre Harjeet Singh del Climate action network international ha denunciato la posizione dei Paesi ricchi, in particolare dell’Europa: “a Bonn l'Ue ha costantemente bloccato le discussioni sui finanziamenti per perdite e danni”.
Perdite e danni possono essere causati da impatti climatici immediati, come gli eventi meteorologici estremi, e da impatti a insorgenza lenta, come l'innalzamento del livello del mare e la fusione del permafrost, della calotta polare artica.
Ricordiamo che durante l'ultimo grande vertice sul clima, la Cop 26, il G77 più la Cina (una coalizione di Paesi in via di sviluppo nata in seno all’Onu per promuovere gli interessi economici collettivi dei suoi membri, creando così una maggiore e congiunta capacità negoziale; con la Cina rappresentano sei persone su sette nel mondo), avevano avanzato diverse richieste per finanziare il loss and damage, ma il discorso è stato bloccato dai Paesi più ricchi come Ue e Stati Uniti. Da qui è nato il “dialogo di Glasgow”: una serie di discussioni triennali, che sono iniziate proprio con Bonn, per arrivare a una accordo sul tema. Tuttavia, nessun compromesso è stato trovato durante queste negoziazioni. “Il mondo si aspetta da noi più dei dialoghi”, ha sentenziato la delegazione boliviana.
Tutti gli occhi sono ora puntati sulla Cop 27 e su come la presidenza egiziana agirà sul tema.
Finanza climatica
La finanza climatica ha influito su ogni aspetto del negoziato. La presidenza egiziana presente a Bonn ha inoltre fatto capire che nella Cop 27 si discuterà molto di questo altro spinoso punto.
Sull’adattamento, per esempio, i Paesi africani nel corso della storia (e in questo summit) si sono battuti molto, dato che sentono forte il bisogno di prepararsi all'aumento delle temperature. In sostanza si sta discutendo della creazione di un nuovo obiettivo finanziario che deve andare oltre quello dei “100 miliardi di dollari l’anno” che i Paesi industrializzati avevano promesso di raggiungere entro il 2020 ma che, in realtà, resta una promessa su carta, almeno fino a ora.
L’istituzione del fondo da 100 miliardi di dollari era stata proposta nel 2009 durante la Cop di Copenaghen; con il tempo si è però visto che questa stima non incontra la realtà, servirebbero infatti migliaia di miliardi di dollari per aiutare i Paesi vulnerabili a far fronte alla crisi climatica. La discussione è sulle tempistiche – quando fornire il finanziamento? – e sull’accessibilità – chi deve usufruire di queste somme? -.
Per quanto riguarda la mitigazione, il sesto Rapporto dell'Ipcc ha sottolineato che i flussi finanziari annuali per il clima devono aumentare da tre a sei volte per soddisfare il fabbisogno medio annuo da qui al 2030, se vogliamo limitare il riscaldamento al di sotto dei 2°C. Ma, anche qui, nessun passo avanti è stato compiuto.
Global stocktake, meccanismi di mercato e altro
L'evento ha registrato il primo "dialogo tecnico" che si concluderà nel 2023 nell'ambito del “Global stocktake”: il processo mediante il quale le nazioni monitorano l'azione per il clima per valutare se sono, collettivamente, sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo dell'Accordo di Parigi. A Glasgow si era stabilito che, a partire dal 2025, i Paesi avranno impegni comuni di riduzione delle emissioni su un periodo di 10 anni (che comunicheranno ogni cinque), in modo da essere anche confrontabili tra loro.
A Bonn si è poi registrato il dialogo su altri temi negoziati, compreso il mercato internazionale del carbonio. Le parti si era lasciate a Glasgow discutendo come inserire i diritti umani all’interno dei meccanismi di mercato e come affrontare il problema del “doppio conteggio”, in base al quale la riduzione delle emissioni viene conteggiata sia dal Paese che ha acquistato il credito, sia dal Paese in cui è avvenuta l’effettiva riduzione delle emissioni.
Tirando le somme, molti dei “risultati” raggiunti a Bonn sono connessi a questioni burocratiche e procedurali, piuttosto che ad azioni concrete. Questo da una parte scarica pressione sulla presidenza egiziana di Cop 27, ora chiamata a fare gli straordinari per evitare di rinviare, ancora una volta, questioni di particolare urgenza; dall’altra crea scontento. Perché mentre la comunità scientifica ci avverte, il cambiamento climatico ce lo dimostra: il tempo è scaduto.
Fonte immagine: Un climate change
di Ivan Manzo