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FOCUS. Mercenari dal Sud globale: la nuova frontiera dei conflitti moderni
Più tecnologia ma anche più soldati al fronte: la Russia recluta in Burundi e Congo, gli Emirati Arabi impiegano milizie sudanesi in Yemen. Anche l'Ucraina sta ingaggiando combattenti dal Sud-est asiatico. [Da FUTURAnetwork.eu] 20/9/24
Sembrava appartenere al passato. Eppure la guerra di trincea ha fatto il suo ritorno nel conflitto in Ucraina: nelle regioni del Donbass, lungo la linea del fronte, oppure a Bakhmut, dove, per mesi, migliaia di soldati hanno affrontato sanguinose battaglie di posizione. Questa però è anche la prima grande guerra dove i droni (Kiev pochi giorni fa ha schierato i temibili “droni drago”), le armi di precisione e i sistemi di intelligenza artificiale stanno svolgendo un ruolo così importante.
In questo contesto, un altro aspetto che unisce tradizione e modernità è l’utilizzo sempre più massiccio di mercenari, la forza umana che si affianca agli eserciti nazionali. Il fenomeno ha radici antiche: nell'Impero Romano gli eserciti spesso includevano soldati mercenari provenienti da tribù germaniche. Durante il Medioevo, i mercenari divennero fondamentali nei conflitti europei. Nel Ventesimo secolo, il loro impiego si intensificò nei conflitti post-coloniali, soprattutto in Africa, e durante la Guerra Fredda, quando le potenze globali finanziavano truppe irregolari in guerre “per procura”. Oggi, i mercenari operano attraverso società militari private (Private military companies, Pmcs), che offrono molteplici servizi di sicurezza e supporto militare su scala globale.
Insomma, un nuovo modello di mercenario: influenzato dalla globalizzazione, perciò più propenso ad attraversare il mondo, e dall'aumento dei conflitti regionali, spesso in aree instabili. Nella sua prefazione al libro Storia dei mercenari - Da Senofonte all'Iraq (Odoya, 2018) di Anthony Mockler, Marco Guidi lo definisce il “contrattista” della guerra, un professionista della morte che uccide per denaro. Individui che provengono sempre più spesso dal Sud globale, attratti da salari più alti e scarse opportunità economiche nei loro Paesi d'origine.
La carenza di personale militare
Perché Paesi come la Russia e altri stanno cercando mercenari al di fuori dei propri confini? Qui c’entrano fattori come il calo demografico, la riduzione della forza militare professionale e l'usura delle truppe impegnate in conflitti prolungati (come in Ucraina). Ma influisce sicuramente anche l’aspetto economico: le Pmcs hanno costi a lungo termine inferiori rispetto alle forze regolari, tenendo conto delle spese elevate per l’addestramento e le attrezzature richieste.
L’esempio della Russia è significativo. Il crescente ricorso da parte di Mosca a mercenari provenienti dal Sud globale, attraverso il gruppo Wagner e altre compagnie militari private, è confermato da diversi resoconti. Come ricorda quest’analisi dell’agenzia Intellinews, all’inizio della guerra in Ucraina la Russia non aveva permesso, almeno pubblicamente, la partecipazione dei volontari stranieri. Poi il numero elevato di vittime tra i soldati e la carenza di manodopera hanno portato Putin e i suoi a impegnarsi, dice l’agenzia, in “pratiche di reclutamento senza scrupoli” che hanno interessato anche l'Asia meridionale. Secondo alcune testimonianze, circa 600-700 ex membri delle forze armate dello Sri Lanka, oltre 200 cittadini nepalesi e gruppi numerosi di cittadini indiani sono stati reclutati dall’apparato russo.
L’ingaggio e gli incentivi
Come avviene il reclutamento di questi mercenari? L’aggancio può scattare attraverso canali informali, ma anche su piattaforme come Telegram, WhatsApp e Facebook. Uno studio pubblicato da Logically, un gruppo di ricerca sulla disinformazione con sede a Londra, ha scoperto che le informazioni sul reclutamento della Wagner erano pubblicate in 16 lingue, tra cui vietnamita e polacco. Gli annunci servono ad arruolare operatori di droni, medici, e persino psicologi per assistere i soldati durante le operazioni. C’è anche un reclutamento di tipo “predatorio”. In un rapporto pubblicato un anno fa, l’Onu ha denunciato che i reclutatori ricorrono a tattiche di pressione, spesso attirando le persone con l’inganno o promettendo l'amnistia o la grazia per le loro condanne e un risarcimento per loro e le loro famiglie. In un contesto così complesso, tra mercenari e figure correlate, società militari private attive in contesti di conflitto e post-conflitto, l’aumento delle violazioni dei diritti umani è inevitabile.
Intanto, la rete di reclutamento è sempre più vasta (Africa, Asia, Medio Oriente e America Latina), e vari sono gli incentivi che vengono offerti: stipendi, promesse di cittadinanza, addestramento. Secondo un recente aggiornamento dell'intelligence del ministero della Difesa del Regno Unito, la Russia avrebbe avviato una massiccia campagna di arruolamento in Ruanda, Burundi, Congo e Uganda per arruolare soldati. I benefit comprenderebbero un bonus iniziale di 2mila dollari, uno stipendio mensile di 2.200 dollari e la promessa di un passaporto russo. Anche le forze armate ucraine stanno reclutando all’estero, e secondo alcune fonti anche dal Sud-est asiatico, in particolare da Filippine, Indonesia e Thailandia. Mentre poche settimane fa il Servizio federale di sicurezza russo (Fsb) ha reso noto di aver arrestato due cittadini colombiani perché sospettati di combattere come mercenari al fianco dell'Ucraina. Secondo l’emittente televisiva russa RTVI, 90 cittadini colombiani arruolati da Kiev sono stati uccisi dall’inizio delle ostilità nel 2022.
Altri conflitti recenti hanno visto un uso intensivo dei mercenari provenienti dal Sud globale. Nella guerra civile yemenita, gli Emirati Arabi Uniti hanno assoldato mercenari dal Sudan, soprattutto dalle regioni più povere del Darfur, per combattere nelle loro file contro i ribelli Houthi. Durante le operazioni militari statunitensi in Afghanistan e Iraq, società militari private come Blackwater (oggi conosciuta come Academi) hanno reclutato personale di sicurezza proveniente da Paesi come Nepal (i famosi Gurkha), Filippine e Uganda.
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Conseguenze geopolitiche
Il ricorso crescente ai mercenari ha inevitabilmente impatti sulla politica estera di un Paese. Nelle sue relazioni con i Paesi africani e dell'Asia centrale, la strategia di Mosca è quella di rafforzare potere e influenza in regioni chiave. Secondo alcune stime, oltre 2mila mercenari russi, inquadrati soprattutto nella Brigata Wagner, operano in vari Paesi africani, inclusi Sudan e Libia. Sulla carta svolgono ruoli di protezione e supporto militare in cambio di concessioni economiche e politiche. Spesso sono stati accusati dalle comunità locali e dai gruppi umanitari di essersi appropriati di risorse naturali preziose.
In Libia, per fare un altro esempio recente, la Russia ha impiegato mercenari per sostenere il generale Khalifa Haftar durante la guerra civile, cercando di stabilire un punto di appoggio nel Mediterraneo e rafforzare la sua influenza nel Nord Africa. Operazioni che hanno un indiscutibile vantaggio: non prevedono un impegno militare diretto che potrebbe attirare condanne internazionali o mettere sotto pressione le risorse militari russe.
A proposito invece dei mercenari in Ucraina, recentemente le autorità russe hanno accusato il governo francese (che ha smentito) di aver consentito l’ingaggio di mercenari da parte dell'ambasciata ucraina a Parigi. La Russia ha messo nel mirino anche gli Stati Uniti, che “starebbero coinvolgendo mercenari americani negli attacchi sul territorio russo”.
Implicazioni legali
Al momento il quadro giuridico che regola questo settore è frammentato e complesso. Paesi in tutto il mondo, tra cui l’Italia, hanno leggi nazionali che impediscono ai loro cittadini di prestare servizio come mercenari stranieri. La Convenzione internazionale contro il reclutamento, l'uso, il finanziamento e l'addestramento di mercenari (1989) è forse l’unico strumento applicabile universalmente nei confronti delle attività mercenarie, ma presenta dei limiti significativi. Il primo è che non è stata ratificata da molti Stati importanti, inclusi Stati Uniti e Regno Unito, tra i maggiori utilizzatori di mercenari. Inoltre, la definizione restrittiva di mercenario rende difficile applicare la Convenzione alle società private, che sono entità riconosciute legalmente ma spesso operano in aree grigie. Poi c’è il Documento di Montreux del 2008, un'iniziativa intergovernativa, adottata da diversi Stati, che non ha valore giuridico vincolante ma rappresenta una guida sul rispetto del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani per i Paesi che utilizzano Pmcs.
In risposta al vuoto normativo in cui sguazzano le società private, le industrie del settore hanno sviluppato l'International code of conduct for private security service providers, anch’esso privo di potere vincolante. Per questo molti Stati regolano le attività delle Pmcs attraverso leggi nazionali, che variano da Paese a Paese. Ad esempio, gli Stati Uniti utilizzano la Federal Acquisition Regulation e altre normative per supervisionare i contractor privati impiegati in missioni militari. Altri, come la Svizzera e il Regno Unito, hanno sviluppato quadri normativi specifici per garantire che le Pmcs rispettino gli standard nazionali e internazionali.
Tuttavia, le Pmcs, essendo attori privati, sfuggono più facilmente alle leggi, soprattutto quando operano in contesti di governance deboli. Un recente articolo dell’Espresso ha puntato l’attenzione su Sadat, la società di sicurezza privata vicina al presidente turco Erdogan, che potrebbe svolgere un ruolo sempre più importante in Niger e Mali, dopo le operazioni in Libia e Azerbaigian. “Per tanti osservatori, tra cui gli Usa, la compagnia militare privata è un vero esercito parallelo. Loro negano, ma sono presenti proprio nelle aree che più interessano il leader turco”, ha fatto notare il settimanale.
Un rapporto presentato pochi giorni fa al Consiglio Onu per i diritti umani dal Gruppo di lavoro sull'uso dei mercenari ha evidenziato anche una crescente connessione tra mercenari, attori della sicurezza privata e il traffico e la proliferazione di armi. I canali sono variegati: non solo reti di intermediazione illegali, criminali e opache, società di comodo e intermediari, ma anche fornitura di armi da parte degli Stati e canali illeciti tra i combattenti. “Purtroppo, gli attuali quadri normativi che supervisionano questo fenomeno devono ancora essere rafforzati”, hanno affermato gli esperti, ricordando che il Target 16.4 dell’Agenda 2030 richiama esplicitamente l'importanza di ridurre i flussi illeciti di armi e del controllo degli armamenti.
Copertina: Military_Material/Pixabay