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Quinto Rapporto secondo welfare: serve una nuova alleanza pubblico-privato
Il volume presentato dal Laboratorio di ricerca mostra che la pandemia ha acuito i limiti strutturali del welfare tradizionale, ma ha aperto anche a nuove prospettive per l’innovazione e per la costituzione di reti inclusive. 28/1/22
La pandemia sta cambiando il welfare italiano. La diffusione del Covid-19 ha accentuato problemi strutturali dello Stato sociale, ha provocato danni sociali enormi, ha prodotto cicatrici distribuite in modo non uniforme tra famiglie e territori. Il settore pubblico sembra essere tornato con forza protagonista dell’arena del welfare, mettendo in campo risorse e competenze tali da assumere centralità in ambiti di intervento che per anni erano rimasti ai margini della sua azione. Al contempo, appare però chiaro che gli attori del secondo welfare – aziende, fondazioni, sindacati, associazioni datoriali, consorzi, enti non profit e gruppi informali di cittadini – non hanno fatto passi indietro, ma anzi sono diventati sempre più importanti per rispondere ai bisogni della società. Sono alcuni dei temi contenuti nel Quinto Rapporto sul secondo welfare “Il ritorno dello Stato sociale? Mercato, Terzo Settore e comunità oltre la pandemia”, presentato il 27 gennaio nel corso di un evento online. Il volume, a cura del Laboratorio Percorsi di secondo welfare, passa in rassegna le mutazioni del welfare italiano nel biennio 2020-2021, con la ricostruzione di alcune esperienze concrete di secondo welfare sviluppate da Nord a Sud, evidenziando come solo grazie a un’azione sinergica con gli attori del secondo welfare il settore pubblico potrà sostenere l'impatto del Covid-19. È perciò necessario che pubblico e privato superino l’autoreferenzialità per “riconoscersi reciprocamente”.
“La crisi pandemica ha (ri)portato in evidenza le note fragilità economiche e sociali del sistema di protezione sociale italiano e mostrato come le distorsioni distributive e funzionali – originatesi sin dalla sua prima fase espansiva – si ripercuotano sulla spesa destinata a famiglie, sostegno al lavoro e alla casa, contrasto alla povertà, accoglienza e inclusione sociale”, ha spiegato nel volume Franca Maino, professoressa dell’Università degli Studi di Milano e direttrice di Percorsi di secondo welfare. “Nonostante i numerosi tentativi di riforma del welfare che si sono susseguiti negli ultimi anni, e che in alcuni ambiti hanno raggiunto importanti traguardi (dall’introduzione del Reddito di cittadinanza all’Assegno unico e universale per i figli, passando per la riforma del Terzo Settore), ulteriori interventi sono necessari per tutelare le aree di bisogno più scoperte e per generare un reale cambiamento sociale”.
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Le distorsioni strutturali nel Paese. L'indagine condotta dai ricercatori di Percorsi di secondo welfare mostra che la spesa sociale pubblica risulta fortemente sbilanciata verso i rischi legati alla vecchiaia, ma d’altra parte non sembra sufficiente per sostenere i nuovi bisogni degli anziani fragili, in particolare se soli e in condizioni di non autosufficienza. Inoltre, gli ambiti in cui si stanno verificando i maggiori cambiamenti – povertà, lavoro, misure di conciliazione e accoglienza – e su cui sarebbero necessari investimenti e strumenti efficaci per invertire trend sempre più negativi, continuano a essere non adeguatamente finanziati. Oggi in Italia, rileva il Rapporto, il rischio povertà è più elevato per i nuclei familiari (mono-parentali e non) con figli minori, per i giovani, gli stranieri e le persone che vivono in abitazioni in affitto. Le donne, in particolare le madri, sono state le più colpite dalle conseguenze economiche e occupazionali della crisi pandemica.
Le tre direttrici di cambiamento. Il Rapporto analizza gli strumenti con cui il secondo welfare può dare un contributo ancora più efficace per reggere l’urto della crisi pandemica. Il primo approccio riguarda la crescente domanda di bisogni di soggetti fragili e spesso “sconosciuti” ai servizi sociali, che dovrebbe essere raggiunti da un secondo welfare radicato localmente, con “un’offerta articolata di servizi integrati lungo una filiera che mira a garantire l’accesso e la presa in carico delle persone”. La seconda direttrice prevede il rafforzamento di reti che agiscono a livello territoriale, “per finalità progettuali e ‘operative’ e per generare inclusione e circoli virtuosi di progresso sociale ed economico, ma anche a livello regionale e nazionale con finalità di advocacy e interlocuzione con il centro”. La terza direttrice interessa l’innovazione sociale del secondo welfare, che deve consolidare “strategie decisionali di lungo periodo e realmente trasformative, strumenti e processi partecipati, pratiche di co-progettazione e coproduzione di interventi e servizi”.
La crisi come opportunità. La pandemia può dunque rappresentare un punto di rottura e aprire le porte a cambiamenti profondi nel welfare state. Come si legge nel Rapporto, “la straordinarietà della fase storica che stiamo vivendo, con i suoi enormi mutamenti sociali ma anche con la disponibilità di ingenti risorse finanziarie – da quelle stanziate per affrontare la fase emergenziale a quelle messe a disposizione dal Next Generation Eu per il periodo 2021-2026 – potrebbe costituire un’occasione per rinnovare finalmente il nostro sistema sociale, adeguandolo ai rischi e bisogni del presente e del futuro”. Alla presentazione del Quinto Rapporto, oltre alla direttrice Franca Maino e le ricercatrici e i ricercatori del Laboratorio, sono intervenuti Pierluigi Stefanini, presidente dell’ASviS, Cristiano Gori, coordinatore Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, Emmanuele Pavolini, portavoce Alleanza per l’infanzia, Roberto Rossini, portavoce Alleanza contro la povertà in Italia.
di Andrea De Tommasi