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Festival Green&blue: senza ottimismo e attivismo giovanile non c’è futuro
Alla serata di apertura a Roma, le storie di giovani attiviste e il racconto di soluzioni per combattere il cambiamento climatico. Fondamentale connettere le generazioni. Dixson-Dècleve: “siate tutti gladiatori del cambiamento”. 6/6/23
“Il futuro è costruito dagli ottimisti” e “possiamo essere ottimisti perché abbiamo un piano”. Sono queste le parole con cui Sandrine Dixson-Dècleve, co-presidente del Club di Roma, e Riccardo Luna, direttore di Green&Blue, hanno introdotto la serata di apertura ufficiale del Festival Green&Blue del 5 giugno, ospitata nella cornice del Tempio di Venere a Roma con sullo sfondo il maestoso Colosseo. La manifestazione, organizzata da Gedi per celebrare le Giornate mondiali dell’ambiente e degli oceani parlando di transizione ecologica e salvaguardia del Pianeta con gli interventi di scienziati, imprenditori, attivisti e personalità della musica e della cultura, è cominciata il 5 al Campidoglio con alcuni appuntamenti sul tema delle città, con la partecipazione anche del direttore scientifico dell’ASviS Enrico Giovannini, per poi proseguire tra il 6 e l’8 giugno a Milano.
In foto: Riccardo Luna
Il Piano a cui facevano riferimento Dixson-Dècleve e Luna è “Earth for all - Una Terra per tutti”, il rapporto del Club di Roma scelto come guida per l’intero Festival, secondo cui siamo di fronte a due scenari: quello definito “Too little, too late” (troppo poco, troppo tardi), in cui si prosegue con il business as usual degli ultimi 50 anni, e il “Giant leap” (il salto da gigante), in cui attraverso una serie di misure si trasforma urgentemente il sistema economico per costruire una società più sostenibile e garantire la sopravvivenza dell’umanità sul Pianeta. Finora, anziché compiere il salto da gigante applicando le soluzioni che conosciamo, “abbiamo ragionato con ‘cervelli marshmallow’, quelli del ‘voglio qualcosa e lo voglio ora’”, che preferiscono concentrarsi sui problemi personali più vicini da affrontare nelle prossime settimane piuttosto che nei prossimi decenni, ha affermato Per Espen Stoknes, psicologo ed economista, direttore del Centro per la sostenibilità e l'energia della Norwegian Business School. “I leader politici hanno scelto di seguire gli scenari più distruttivi”, ma le persone vogliono cambiare il modello di sviluppo ed è per questo che “noi siamo qui: per cambiare narrativa”, ha sottolineato Dixson-Dècleve.
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Al cuore dell’evento gli interventi di quattro giovani attiviste da altrettanti angoli del mondo, che hanno raccontato attraverso le loro esperienze la forza del cambiamento, accompagnate dalle performance musicali di Frida Bollani Magoni e Beatrice Rana.
In foto da sinistra: Riccardo Luna, Sophia Kianni, Ineza Umuhoza Grace, Licypriya Kangujam e Maya Gabeira
Per Sophia Kianni, iraniano-americana rappresentante del Youth Advisory Group on Climate Change delle Nazioni unite, l’ingrediente fondamentale per curare il nostro Pianeta risiede nella consapevolezza delle interconnessioni. “Immaginate se mettessimo in connessione l’attivismo ambientale dei giovani con la saggezza delle generazioni più anziane”, ha sottolineato.
Licypriya Kangujam, ragazza indiana di soli 11 anni, attivista e fondatrice del Child Movement, che ha iniziato ad interessarsi al cambiamento climatico a soli sei anni, quando ha visto sotto i suoi occhi migliaia di bambini perdere tutto o morire a causa di due cicloni. “Milioni di bambini nel mondo perdono tutto, come me, a causa dei fallimenti dei loro leader”, ha detto, ricordando che “siamo noi la causa, chiediamo troppo alla natura”, bisogna cambiare, “è ora della giustizia climatica”.
Poi l’attivista ed eco-femminista del Rwanda Ineza Umuhoza Grace, ricercatrice nell'ambito del cambiamento climatico e co-fondatrice di “Loss and Damage Youth Coalition'', ha usato una metafora per richiamare l’attenzione sui Paesi in via di sviluppo: “se vedi una persona che sta affogando, che fai?”, puoi far finta di nulla, provare compassione e lasciare che qualcun altro intervenga, oppure agire; “questo non è un esperimento, ma la realtà. Chi affoga sono i Paesi vulnerabili”, ha spiegato, invitando tutti a levare la voce contro il clima, perché “chiunque può diventare la voce della speranza”.
A chiudere gli interventi delle giovani la surfista brasiliana e ambasciatrice Unesco, Maya Gabeira. Una atleta professionista “cresciuta con il fallimento”, come ha dichiarato illustrando un video in cui una gigantesca onda la travolgeva a 27 anni portandola quasi alla morte. “Ho fallito, mi sono rialzata e ho capito che abbiamo una forza e una resilienza che non pensiamo di avere”, ha detto, “cambiare è molto difficile. Uno cambia davvero solo quando è realmente necessario”. Lei ha scelto di cambiare qualcosa, impegnandosi per salvare gli oceani dalla plastica, proteggere gli habitat dalla distruzione e anche entrare nel Guinness dei primati per aver affrontato un'onda di oltre venti metri nonostante fosse donna.
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L’incontro è proseguito con l’intervento di Carlo Ratti, architetto e urbanista italiano, che ha illustrato due progetti: “Helsinki hot heart”, una soluzione innovativa per decarbonizzare la capitale finlandese replicabile anche in altre città, e la “World’s largest urban solar farm” per la candidatura di Roma a ospitare il World Expo 2030, in grado di alimentare il quartiere di Tor Vergata. “Le città sono parte del problema, ma possono essere quindi anche la soluzione”, ha affermato.
A chiudere la serata, Carlìn Petrini, attivista italiano e fondatore di Slow Food, secondo il quale “l’attivismo deve essere a fianco dei giovani, non davanti a loro, affinché possano prendere le redini del cambiamento”, perché “senza collegamento tra generazioni, non c’è futuro”. Un invito rimarcato da Dixson-Dècleve che, con alle spalle il Colosseo, ha chiesto a tutti di “diventare gladiatori del cambiamento”.
di Flavia Belladonna