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Global peace index 2024: il mondo a un bivio, c’è il rischio di conflitti più grandi
Il livello medio di pace è sceso dello 0,56%: è la dodicesima volta che accade negli ultimi 16 anni. Su 163 Paesi, 97 registrano un peggioramento. L’Islanda rimane il Paese più pacifico, lo Yemen finisce in ultima posizione. 18/6/24
Nel mondo sono attivi 56 conflitti, il numero più alto mai registrato dalla fine della Seconda guerra mondiale. È il dato che emerge dall’edizione 2024 del Global peace index, pubblicato a giugno dall’Institute for Economics & Peace. L’Indice, principale indicatore mondiale della pace, utilizza 23 indicatori qualitativi e quantitativi provenienti da fonti attendibili e misura lo stato di pace di 163 Stati e territori considerando tre ambiti: il livello di sicurezza e protezione sociale, la portata dei conflitti interni e internazionali, il grado di militarizzazione.
Guerra e pace
L’Islanda rimane il Paese più pacifico del mondo, posizione che mantiene dal 2008. Assieme all’Islanda ci sono Irlanda, Austria, Nuova Zelanda e Singapore. L’Italia occupa il 33° posto, davanti a Paesi come l’Inghilterra, Svezia e Grecia. Lo Yemen è il Paese meno pacifico al mondo, seguito da Sudan, Sud Sudan, Afghanistan e Ucraina. Questo è il primo anno in cui lo Yemen è stato classificato come il Paese meno pacifico del mondo, scendendo di 24 posizioni da quando è stato introdotto l’Indice. Il divario tra i Paesi più e meno pacifici del mondo è oggi più ampio di quanto non sia mai stato negli ultimi 16 anni. L’Europa è la regione più pacifica del mondo e ospita otto dei dieci paesi più pacifici. La regione del Medio Oriente e del Nord Africa rimangono le regioni meno pacifiche del mondo.
Un mondo in guerra
L’indice rileva che il livello medio della pace è peggiorato dello 0,56%. Si tratta del dodicesimo peggioramento negli ultimi 16 anni. Su 163 Paesi analizzati, 97 registrano un peggioramento delle condizioni di pace, mentre 65 hanno migliorato la loro situazione. I conflitti, evidenzia il Rapporto, sono sempre più internazionalizzati, con 92 Paesi impegnati in conflitti oltre i loro confini. È il maggior numero mai registrato dall’avvio dell’Indice nel 2008. E il numero crescente di conflitti minori aumenta la probabilità che si verifichino conflitti più grandi in futuro.
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L’anno scorso si sono registrati 162mila decessi legati ai conflitti. È il secondo numero più alto mai registrato negli ultimi 30 anni, con i conflitti in Ucraina e Gaza responsabili di quasi tre quarti delle morti. L’Ucraina ne rappresenta più della metà, registrando 83.000 morti, mentre le stime per il conflitto in Palestina parlano di almeno 33.000 (fino ad aprile 2024).
L’impatto economico dei conflitti a livello globale nel 2023 è stato di 19 mila miliardi di dollari, pari a circa 2.380 dollari a persona. Si tratta di un aumento di 158 miliardi di dollari. Al contrario, la spesa per la costruzione e il mantenimento della pace è stata pari a 49,6 miliardi di dollari, pari a meno dello 0,6% della spesa militare totale.
L’analisi degli indicatori
Dei 23 indicatori analizzati dall’Indice, solo otto hanno registrato miglioramenti, 13 sono peggiorati e due sono rimasti stabili. I settori “militarizzazione” e “conflitti in corso” sono entrambi peggiorati, mentre il settore “sicurezza e protezione” registra un leggero miglioramento. I maggiori peggioramenti su base annua si sono verificati sui finanziamenti delle Nazioni unite per il mantenimento della pace, sulla spesa militare, sulle morti per conflitti esterni e sugli indicatori di conflitti esterni combattuti. Ci sono stati miglioramenti sostanziali per molti indicatori di sicurezza, comprese le manifestazioni violente, l’impatto del terrorismo e il tasso di omicidi.
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“Pace positiva”
La chiave per costruire la pace in tempi di conflitto e incertezza, conclude il Rapporto, è la “pace positiva”, definita come l’insieme degli atteggiamenti, delle istituzioni e delle strutture che creano e sostengono società pacifiche. L’Institute for Economics & Peace ha sviluppato un approccio specifico per catturare i problemi in modo sistematico e informare i decisori politiche affinché costruiscano politiche efficaci in un’ottica di pace. L’approccio include 28 elementi capaci di analizzare i sistemi sociali, progettando programmi su misura di costruzione della resilienza della pace.
di Tommaso Tautonico