Notizie
Oceani: per salvare gli ecosistemi necessario fermare l’estrazione mineraria
“Lo sfruttamento degli oceani non è l’alternativa alle miniere terrestri”, affermano gli scienziati di Fauna&Flora international. Quasi 500 zone morte oceaniche, entro il 2100 metà delle specie marine a rischio estinzione. 27/3/20
L’estrazione mineraria in acque profonde avrebbe impatti potenzialmente devastanti sulla funzione vitale degli oceani e sulla biodiversità. Per questo i governi di tutto il mondo dovrebbero da subito “mettere in atto una moratoria su tutte le attività di estrazione”. È l’appello lanciato da un team di scienziati della ong Fauna&Flora international (FFi) nel rapporto “An assessment of the risks and impacts of seabed mining on marine ecosystems”, che valuta i rischi e il potenziale impatto dell’estrazione mineraria dai fondali oceanici. Secondo la ricerca, pubblicata il 12 marzo, i piani proposti per l’estrazione nei fondali causerebbero la perdita di “interi ecosistemi che ospitano la vita marina e la biodiversità” e di microbi importanti per lo stoccaggio del carbonio. Inoltre, l’esposizione dei fondali marini ai metalli tossici provocherebbe la diffusione di tossine in aree che ospitano la maggior parte della pesca mondiale.
Anche se le attività estrattive non sono ancora iniziate, sono già state rilasciate 29 licenze di esplorazione a Paesi come Cina, Corea, Regno Unito, Francia, Germania e Russia, che hanno manifestato interesse per vaste aree del Pacifico, dell’Atlantico e dell’Oceano Indiano, come ha ricordato il rapporto “In deep water” pubblicato a luglio 2019 da Greenpeace. D’altronde, i minerali che si trovano sul fondo del mare sono sempre più richiesti, soprattutto per l’uso in apparecchi tecnologici come batterie e telefoni cellulari. Secondo Fauna&Flora international, però, l’estrazione mineraria non può essere considerata “un’alternativa leggera alle miniere terrestri”.
“I minerali sul fondo del mare sono elementi centrali degli ecosistemi di acque profonde”, ha dichiarato Pippa Howard, direttore di FFi, che ha aggiunto: “Le conclusioni a cui siamo arrivati dopo approfonditi studi non potrebbero essere più preoccupanti. Dal rilascio di metano alla distruzione di ecosistemi in gran parte non studiati, i rischi dell’estrazione mineraria in acque profonde sono potenzialmente disastrosi”.
L’attività umana sta già mettendo a dura prova gli oceani, che assorbono un terzo di tutte le emissioni di origine umana, svolgendo un ruolo vitale di mitigazione dei cambiamenti climatici. L’anidride carbonica sta rendendo gli oceani più acidi, con conseguenze per gli ecosistemi marini di tutto il mondo, comprese le barriere coralline. Inoltre, fino al 13% della pesca globale è crollato a causa dello sfruttamento eccessivo e quasi 500 zone morte oceaniche coprono un’area grande come il Regno Unito. Entro il 2100 oltre la metà delle specie marine del mondo potrebbe essere prossima all’estinzione.
“L’oceano è sottoposto a stress immenso dall’attività umana ed è a rischio la sua funzione di ‘pozzo di carbonio’ che mantiene il nostro pianeta abitabile”, ha concluso Howard. L’estrazione mineraria in acque profonde è attualmente regolata dall’International seabed authority (Isa), che si riunirà in Giamaica a luglio 2020, mentre le nazioni più influenti spingono affinché le regole che consentono l’avvio delle attività estrattive vengano approvate in fretta. “Questo Rapporto”, concludono gli scienziati, “arriva in un momento critico poiché i leader mondiali decidono sul futuro delle profondità marine. Visti i risultati, chiediamo una moratoria sull’estrazione in acque profonde”.
di Andrea De Tommasi