Rapporto 2025 Goal 15 "Vita sulla terra"
Italia in ritardo sulla tutela naturale: crescono disuguaglianze e rischi per gli ecosistemi
Rapporto ASviS 2025: la perdita di foreste, il consumo e il degrado del suolo continuano a minacciare la biodiversità. L’Italia, ferma al 21,7% di aree protette, rischia di non raggiungere i target del Goal 15.
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Numerosi ostacoli continuano a frenare la protezione e la gestione sostenibile delle risorse naturali. I dati più recenti confermano che la copertura forestale globale è in costante declino, sebbene a un ritmo lievemente inferiore: da 12 milioni di ettari di foreste perduti ogni anno nel periodo 2010-2015 a 10 milioni tra il 2016 e il 2020. Una tendenza che resta comunque lontana dal raggiungimento del Target 15.2 dell’Agenda 2030, che prevedeva di arrestare la deforestazione entro il 2020. Le foreste subiscono pressioni crescenti dovute alla crisi climatica, con l’aumento di incendi boschivi e numero di specie invasive.
Il degrado del suolo rappresenta un’altra emergenza globale: compromette la salute umana, aggrava la povertà e l’insicurezza alimentare e contribuisce alle migrazioni forzate. Ogni anno almeno 100 milioni di ettari di terra - un’estensione pari a quella dell’Egitto - vengono degradati. Tra il 2015 e il 2019, la quota di terreni compromessi è cresciuta dall’11,3% al 15,5%, con conseguenze dirette sul benessere di 3,2 miliardi di persone.
Secondo le stime, combattere desertificazione, degrado del suolo e siccità richiederà circa 1 miliardo di dollari al giorno tra il 2025 e il 2030, ma i finanziamenti attuali ammontano a soli 66 miliardi l’anno, appena il 18% del fabbisogno stimato. Eppure, investire nel ripristino dei territori garantirebbe rendimenti significativi: tra 7 e 30 dollari di benefici per ogni dollaro speso.
Sul fronte della biodiversità, l’estinzione delle specie appare ormai in gran parte irreversibile, con oltre 47mila specie a rischio. Un segnale di rilancio è arrivato con la COP16 sulla biodiversità, svoltasi a Roma nel febbraio 2025, dove è stato raggiunto un accordo per mobilitare almeno 200 miliardi di dollari l’anno entro il 2030 a sostegno della protezione della biodiversità e dell’attuazione del quadro globale per la biodiversità di Kunming-Montréal (Kmgbf). L’intesa prevede la creazione di un meccanismo finanziario internazionale che coinvolga risorse pubbliche, private e filantropiche, e che consenta di monitorare i progressi anche alla prossima Cop 17, in programma per ottobre 2026.
LA SITUAZIONE IN ITALIA
Per quanto riguarda l’Italia, la situazione relativa al Goal 15 dell’Agenda 2030 “Vita sulla terra” mostra segnali di peggioramento. L’indicatore composito registra un calo sia nel periodo analizzato sia nell’ultimo anno, a causa dell’aumento dell’indice di copertura del suolo, passato da 103,1 a 106,4 punti tra il 2012 e il 2023. Le disuguaglianze territoriali, già elevate, continuano ad ampliarsi, con un lieve incremento che coinvolge tutte le aree del Paese.
Il Target 15.3, che prevede l’azzeramento del consumo di suolo annuo entro il 2030, resta lontano dal traguardo. L’andamento appare stabile ma su livelli troppo alti per centrare l’obiettivo: nel 2023 sono stati utilizzati 10,9 nuovi ettari di suolo ogni 100mila abitanti.
Anche per il Target 15.5, che punta a raggiungere entro il 2030 il 30% di aree terrestri protette, l’Italia non mostra progressi. La quota è ferma al 21,7% (dato 2022) e l’assenza di miglioramenti nel tempo lascia prevedere che il Paese non riuscirà a raggiungere l’obiettivo prefissato.
Sul piano normativo non si registrano novità di rilievo, ma il Rapporto ASviS richiama l’attenzione su un passaggio cruciale: l’entrata in vigore del Regolamento europeo sul ripristino della natura, che si inserisce negli impegni assunti dall’Italia nell’ambito del Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (Kmgbf). L’attuazione della Nature restoration law richiederà un’analisi approfondita delle strategie, dei piani e dei programmi che, dal livello nazionale a quello locale, potranno concorrere al raggiungimento dei suoi obiettivi.
A destare particolare preoccupazione è anche la sorte del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc). Dopo un lungo iter, il Piano è stato approvato alla fine del 2023, ma è rimasto inattuato. Il Pnacc, privo di finanziamenti e di una chiara definizione delle priorità, avrebbe comunque potuto rappresentare un punto di partenza per costruire nel tempo un percorso di adattamento solido e coerente. La sua inattività, sottolinea il Rapporto, rappresenta oggi una delle maggiori criticità nella risposta italiana alla crisi climatica.
LE PROPOSTE
Assicurare la tutela e la gestione sostenibile degli ecosistemi
nel rispetto del nuovo art. 9 della Costituzione.
Definire un Piano integrato per la protezione e il ripristino della natura,
capace di affrontare fenomeni di degrado ambientale come alluvioni, siccità, erosione del suolo e incendi.
Tenere conto della “Lista rossa degli ecosistemi d’Italia” e delle raccomandazioni del Comitato per il capitale naturale
nelle strategie per la tutela ambientale.
Adeguare il Piano nazionale per la biodiversità al Kmgbf,
promuovendo soluzioni basate sulla natura per l’adattamento climatico previsto dal Pnacc.
Promuovere in sede europea gli impegni legislativi già adottati,
quali il Regolamento per la messa al bando sul mercato unico dei beni provenienti da deforestazione e la Direttiva sul dovere di diligenza.
E IN EUROPA?
A livello europeo, l’indice relativo al Goal 15 dell’Agenda 2030 registra un peggioramento, seppur contenuto, nel periodo analizzato. La riduzione è attribuibile soprattutto all’aumento del consumo di suolo, mentre tra il 2011 e il 2022 si rileva un lieve progresso, pari a +1,8 punti percentuali, nella quota di aree terrestri protette.
A partire dal 2016 le disuguaglianze tra i Paesi membri dell’Ue si sono ampliate, per poi stabilizzarsi nel 2018 su livelli più elevati. Un dato rilevante distingue questo Goal dagli altri: tutti i 27 Stati membri mostrano un peggioramento complessivo. Le riduzioni più marcate si registrano in Lussemburgo, Malta, Polonia e Cipro, con quest’ultimo che segna un calo superiore ai 15 punti.
Anche l’Italia mostra un risultato negativo, con un valore inferiore di poco più di un punto rispetto al 2010, e si conferma molto al di sotto della media europea. Sia l’Italia sia l’Unione europea mostrano andamenti sostanzialmente stabili sulle aree protette: in dieci anni la quota è cresciuta appena di 1,8 punti percentuali, attestandosi nel 2022 al 26,1% nell’Ue e al 21,7% in Italia. Valori troppo bassi e una crescita troppo lenta per garantire il raggiungimento dell’obiettivo del 30% entro il 2030.
