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Non traditori, ma traditi da un Paese povero di opportunità. Cercano lavoro migliore, qualità della vita e spazi che li valorizzino. Attraverso la voce di una giovane, sondaggi e dati, il punto sulla “fuga dei cervelli”.
“Solo all’estero sono riuscita a trovare ciò che cercavo. Una situazione che mi facesse crescere, stabilità economica, delle persone più affini a me. A livello lavorativo ho trovato aperte porte che non avrei mai immaginato e sul piano relazionale e personale credo non avrei trovato lo stesso rimanendo a Roma”.
Olimpia Rinaldi, 33enne che ha lasciato l’Italia per andare alle Canarie dopo esperienze in Francia e Australia, si racconta. È mia cugina. Come lei, mio fratello è in Canada, mio cugino in Germania e un’altra cugina in Francia. Una famiglia come tante ormai, in cui ci si rivede a Natale. Ma che cosa spinge così tanti giovani a partire? Cosa trovano altrove che qui manca? E cosa possiamo fare per convincerli a restare?
Nell’ultima settimana i media hanno parlato molto del 24esimo Rapporto annuale dell’Inps, che racconta di un’Italia in affanno: record di occupati, ma solo il 45% ha un contratto per tutto l’anno e a tempo pieno. L'Italia resta tra i Paesi Ue con la disoccupazione giovanile più alta, che arriva al 20% per la fascia 15-24 anni. Così, chi non trova lavoro qui, va a cercarlo altrove. “Nel 2024 oltre 156mila italiani si sono trasferiti all’estero, di cui 113mila under 40”, ha spiegato il presidente dell’Inps Gabriele Fava, “una perdita di capitale umano che richiede risposte strutturali”. Al tema delle tipologie contrattuali si aggiunge quello della retribuzione. Secondo il Rapporto AlmaLaurea, a un anno dalla laurea, chi lavora all’estero guadagna in media il 54% in più rispetto a chi resta in Italia.
Ma non si emigra solo per lo stipendio: il Rapporto Giovani 2025 rileva che uno su tre mette al primo posto il benessere psicofisico nella scelta di una professione. Il lavoro non è visto solo come necessità e responsabilità: un’occupazione va abbinata a passione, bilanciamento con la vita privata e realizzazione personale.
“La vera differenza è la vita quotidiana”, dice Olimpia parlando dell’Australia, “insieme alle tante opportunità lavorative e un salario minimo che ti permette una vita agiata, c’è il ‘dopo lavoro’: si ha tempo di fare attività, anche all’aria aperta. Una routine in cui sport, salute fisica e mentale sono messi al centro, diversamente da quella italiana. Ma soprattutto l’Australia mi ha permesso di uscire dalla bolla per capire chi fossi davvero”.
Per il Rapporto Giovani, qualità della vita significa “ambienti inclusivi, relazioni autentiche e opportunità concrete di crescita”, di spazi in cui sentirsi valorizzati, dove esprimere il proprio talento senza essere giudicati, per costruire un futuro che abbia senso. “I giovani, qualsiasi sia il contesto, non si sentono al loro posto se non percepiscono che quel posto può cambiare con loro”, ha affermato Alessandro Rosina, demografo e coordinatore scientifico dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo che ha promosso il Rapporto.
Secondo un’indagine Ipsos riportata sul Sole 24 Ore, condotta su un campione di 800 italiani tra i 18 e i 30 anni, sei giovani su dieci sono pronti a trasferirsi all’estero. Quale l’identikit? Soprattutto giovani tra i 21 e i 24 anni, uomini o donne, nella maggior parte dei casi laureati/laureate, provenienti dal Nord-Ovest o dal Mezzogiorno, appartenenti per lo più a una classe sociale medio-bassa; i driver di scelta per l’estero sono le opportunità lavorative (20%), la qualità della vita (16%) e la cultura e lo stile di vita (15%). Le mete principali sono l’Europa (77%), con in cima alla classifica Germania, Regno Unito, Spagna e Svizzera, ma uno su cinque guarda all’America, soprattutto Usa. Chi resta, lo fa per attaccamento al proprio territorio (24%) o per la barriera linguistica (23%).
Sul tema “cultura e stile di vita” Rinaldi ha osservato: “In Italia abbiamo dei beni culturali incredibili, però è una cultura che si basa molto sul passato, adesso la sensazione è che non si crei più tanto, che venga lasciato poco spazio all’innovazione culturale. Insomma, c’è molta cultura in Italia ma è una cultura stagnante. Come si dice, ‘l’Italia non è un Paese per giovani’”. Quindi ha aggiunto: “Sembra assurdo, ma credo che altri Paese possano offrire di più. Mi piace stare all’aria aperta, fare sport, socializzare con attività sportive e culturali, insomma qualcosa di diverso dal fare sempre cene tra amici. Persino a Parigi, pur avendo uno stile di vita peggiore del nostro, puoi fare qualcosa di diverso ogni weekend, grazie alle numerose attività artistiche”.
Le conseguenze di questa grande fuga all’estero sono profonde. Innanzitutto, incide sull’equilibrio demografico: in un Paese in cui già si fanno pochi figli, l’emigrazione aggrava ulteriormente la situazione. Senza entrare nel merito - trattandosi di una questione molto ampia e complessa -, si può guardare questa grafica animata per farsi una idea di cosa accadrà al nostro Paese fino al 2100.
A svuotarsi ulteriormente sono anche le comunità (e con loro il rinnovamento culturale e politico), in particolare quelle rurali e meno sviluppate. Una questione che richiederebbe una riflessione seria, nuove proposte e un impegno concreto, proprio mentre – paradossalmente - il governo nel Piano strategico nazionale delle aree interne 2021-2027, pubblicato all’inizio dell’estate, parla di accompagnare queste zone verso “un percorso di spopolamento irreversibile”.
La perdita di capitale umano, stimata in 134 miliardi di euro, contribuisce anche ad alimentare il problema del mismatch (disallineamento) tra domanda e offerta di lavoro. Secondo il Rapporto di Fondazione Nord Est, il 73,3% di chi ha lasciato l’Italia per scelta svolge attività intellettuali o impiegatizie, mentre il 58,2% di chi è partito per necessità è impiegato in ruoli per i quali in Italia le imprese denunciano una particolare carenza: tecnici, professioni qualificate nei servizi, operai specializzati e semi-specializzati. Si tratta, in totale, di oltre 180mila giovani lavoratori all’estero occupati in tali attività. E il saldo è negativo: per ogni giovane che arriva in Italia da un Paese avanzato, otto italiani se ne vanno. Siamo all’ultimo posto in Europa per attrazione di giovani, accogliendo solo il 6% di europei, contro il 34% della Svizzera, che guida la classifica.
Ma le giovani e i giovani hanno anche altri ruoli cruciali. Secondo il Policy brief ASviS sulla partecipazione democratica giovanile, sono il gruppo sociale più attivo nelle mobilitazioni e nelle azioni volte a costruire un futuro migliore per il Paese e la società. Nel campo del volontariato, l’attivismo giovanile è particolarmente vivace: la fascia di età tra i 18 e i 19 anni è quella che più spesso svolge attività gratuite nelle associazioni. I giovani sembrano anche essere più inclini ad attivarsi per cause che toccano l’ambiente, i diritti civili e la promozione della Pace.
Tutto questo quadro non può che spingerci a intervenire per rendere l’Italia un Paese più attrattivo per le giovani e i giovani. Esistono già strumenti, come gli incentivi fiscali per il rientro, che hanno avuto un certo effetto positivo: secondo il Rapporto Inps, i beneficiari dei due incentivi “Impatriati” e “D.L. Crescita” sono passati da poco più di 1.700 nel 2016 a oltre 40mila nel 2023. Tuttavia, gli incentivi fiscali non bastano. “Sono fuori dall’Italia da dieci anni. Un po’ di difficoltà per la lontananza c’è”, ha spiegato Rinaldi, “i primi anni no, ma crescendo le cose cambiano: ci si rende conto che si vuole essere presenti nella vita della famiglia, con anche i genitori che invecchiano. C’è attaccamento alla famiglia, c’è il senso del dovere, ci sono gli incentivi per il rientro, ma al dunque qui sto bene e non tornerei in Italia”. Gli incentivi, insomma, arrivano troppo tardi. Anziché “curare”, bisogna prevenire.
Serve allora una Strategia nazionale. Una Strategia che preveda misure come incentivi per le imprese per favorire la progressione di carriera, politiche di flessibilità lavorativa per garantire il bilanciamento tra vita privata e professionale, e una cultura del merito che premi il talento. È necessario valorizzare la trasparenza nelle selezioni, pubbliche e private, garantire retribuzioni competitive e percorsi di carriera chiari. Secondo il Rapporto di Fondazione Nord Est, infatti, la meritocrazia in Italia è percepita come fortemente carente, e quindi una ragione di fuga per i giovani italiani (-53,7 tra chi vive al Nord Italia e -84,9 per chi se ne è andato).
Occorre anche una grande trasformazione culturale e comunicativa. Bisogna partire dalla conoscenza: conoscere le giovani e i giovani per capirli e supportarli. Con questo obiettivo l’ASviS ha realizzato, ad esempio, il documento Le giovani generazioni tra presente e futuro – Strumenti per una scuola che cambia, nell'ambito del più ampio progetto Gift (Giovani impegno futuro territorio), cofinanziato dall’Aics e promosso da Save the Children, per offrire una guida per docenti ricca di analisi sulla condizione giovanile e di strumenti utili ad accompagnare le giovani generazioni in un mondo che cambia. È importante poi coinvolgerli. Per questo la nuova iniziativa ASviS “Ecosistema futuro”, nata per mettere “i futuri” al centro della riflessione culturale del Paese, si basa su alcuni pilastri fondamentali che comprendono il coinvolgimento dei giovani nel disegno del futuro del Paese. Un esempio di realizzazione concreta sono il Future Day, tenuto a maggio con otto incredibili storie di giovani speaker, e la nuova Scuola “Futuri e sostenibilità”, per formare 50 giovani ad affrontare le grandi transizioni e le incertezze globali attraverso la costruzione di scenari di lungo periodo.
Proseguendo, bisogna anche far conoscere ciò di cui l’Italia già dispone, in termini di qualità della vita (cultura, ambiente, sport, ecc.) e di iniziative esistenti. Vanno infine creati nuovi spazi dove i giovani possano esprimere e sviluppare il proprio potenziale, artistico e non solo. Non possiamo limitarci a offrire “un Paese da cartolina”, bello per le vacanze ma non per viverci. L’arricchimento culturale all’estero è un valore, ma va incentivata la circolazione di competenze (come nel programma Erasmus+) e non la fuga definitiva.
“Ciò che mi ha fatto rimanere fuori è stata la possibilità che si dà ai giovani di lavorare, di crescere, di esprimersi e scoprirsi, di partecipare ad attività artistiche, di essere valorizzati”, ha concluso Rinaldi.
Come ha ricordato la sociologa Chiara Saraceno, “senza seri investimenti nel creare situazioni più favorevoli ai giovani da parte non solo del governo, ma degli amministratori locali e delle imprese, il fenomeno del drenaggio dei giovani, specie dei più istruiti, non potrà che accentuarsi”. E non si può dimenticare un capitolo fondamentale: l’autonomia giovanile. Servono politiche abitative under35 (mutui agevolati, co-housing, studentati accessibili, ecc.) e un serio rafforzamento del trasporto pubblico, per rendere le città più vivibili.
Le aspirazioni delle giovani e dei giovani devono poter trovare risposta. Abbiamo visto che cercano un lavoro che abbia senso e li valorizzi, relazioni fondate sul rispetto, città vivibili e spazi in cui potersi esprimere. Allora è su questo che dobbiamo interrogarci con urgenza: come offrire loro tutto ciò. Perché resteranno in Italia solo se sentiranno che ne vale davvero la pena.
Copertina: 123rf
