Editoriali
“Rispetto”, “brain rot” e “kakystocracy” sono state scelte per l’anno passato. Quali espressioni potrebbero ispirarci in quello nuovo, se riempite di senso e azioni? Si va da “intelligenza”, intesa come vivacità mentale, a “futurability”. 19/12/24
Parole, parole, parole, parole parole soltanto parole, parole tra noi.
Così cantava Mina, rifiutando le parole vuote di un uomo nella loro storia d’amore, in contrapposizione al bisogno di gesti concreti. Anche nella società di oggi troppo spesso alle parole non seguono i fatti, nelle nostre relazioni, negli interventi di politici, nelle scelte delle imprese. Alcune volte sono usate con troppa leggerezza o svuotate di significato, altre non vengono davvero comprese. Ma le parole hanno anche quell’incredibile capacità di saperci illuminare, ispirare, guidare, se usate nel modo giusto e riempite di senso. Così, partendo da quelle scelte da Treccani, Economist e Oxford Dictionary per il 2024, mi sono chiesta quali avrebbero potuto accompagnare il nuovo anno. Provo a proporne sette, ma se vorrete suggerirne altre descrivendole in poche righe potrete scrivere all’indirizzo redazioneweb@asvis.it, con oggetto mail “Proposte parole 2025”, anche per dare un eventuale seguito a queste riflessioni.
RISPETTO. Ho apprezzato molto la scelta della Treccani del termine “rispetto” per l’anno passato. Un sentimento di “riguardo verso una persona, un'istituzione, una cultura, che si può esprimere con azioni o parole”, che invita a costruire anziché demolire. Un termine che l’Istituto dell’enciclopedia italiana ha suggerito di rivalutare e usare in tutte le sue sfumature, perché “la mancanza di rispetto è alla base della violenza esercitata quotidianamente nei confronti delle donne, delle minoranze, delle istituzioni, della natura e del mondo animale”. Una parola, dunque, estremamente rilevante a livello sociale, da “porre al centro di ogni progetto pedagogico”, da diffondere “nelle relazioni tra le persone, in famiglia e nel lavoro, nel rapporto con le istituzioni civili e religiose, con la politica e con le opinioni altrui”.
Il termine è stato messo di recente anche al centro della “Carta dei diritti nell’era digitale e dell’intelligenza artificiale” di Indire e DiCultHer, un documento di 30 raccomandazioni e diverse attività per educare a un uso responsabile della tecnologia, che invita a rispettare le diversità, l’autenticità propria e altrui, ricordando che “dietro ogni schermo c’è una persona”. Come ASviS, invece, quest’anno l’abbiamo utilizzata più volte per sollecitare il governo al rispetto degli impegni presi a livello internazionale, alla coerenza tra parole e azioni. Il mio auspicio, dunque, è che il 2025 possa essere caratterizzato da più rispetto verso sé e verso gli altri, le diversità e gli impegni presi.
ACCELERAZIONE. Un’altra parola su cui l’ASviS ha richiamato l’attenzione più volte nel 2024, e a cui ci auguriamo possa essere dato un seguito nell’anno a venire, è “accelerazione”. Non c’è più tempo, abbiamo sottolineato più volte, dobbiamo agire subito se non vogliamo che le attuali condizioni segnate da molteplici crisi (energetica, climatica, economica, di disordine globale, ecc.) si aggravino ulteriormente. Senza soffermarmi troppo sui ritardi del nostro Paese sullo sviluppo sostenibile, anche rispetto al resto dell’Ue (qui dati e proposte tratti dal Rapporto ASviS), vorrei ricordare che il governo italiano si è dotato nel 2023 di una Strategia nazionale di sviluppo sostenibile e si è impegnato in sede Onu ad approvare un Piano di accelerazione per lo sviluppo sostenibile. Entrambi, ad oggi, non hanno ancora avuto un seguito concreto. Per accelerare la transizione ecologica è essenziale inoltre approvare una Legge sul clima, che favorisca le energie rinnovabili e la progressiva eliminazione dei combustibili fossili, ridurre i sussidi ambientalmente dannosi procedendo anche con la conversione in sussidi ambientalmente favorevoli, e definire un Piano nazionale di ripristino della natura. Ma parallelamente alle misure del governo, altrettanto importante sarà far comprendere in modo chiaro a politici, imprese e società civile tutta che l’accelerazione e gli investimenti immediati sulla transizione ecologica non sono un ostacolo allo sviluppo ma, al contrario, convengono, come emerge dal Rapporto dell’ASviS “Scenari per l’Italia al 2030 e al 2050”. Ad esempio, nello scenario “net zero transformation” caratterizzato da scelte politiche e investimenti innovativi che portano anche alla neutralità carbonica al 2050, la trasformazione del sistema socio-economico italiano porterebbe a un Pil più alto del 2,2% rispetto allo scenario base e il tasso di disoccupazione si ridurrebbe di 0,4 punti percentuali.
DIALOGO. La parola dell’anno 2024 scelta dall’Economist è “kakystocracy”, un termine decisamente cacofonico, cioè sgradevole da sentire. “Cachistrocazia” e “cacofonia” hanno dopotutto la stessa etimologia: dal greco antico kakistos (κάκιστος), che significa "cattivo, il peggiore", dunque “un cattivo governo” e un “cattivo suono”. La cachistrocazia sottolineata dall’Economist fa riferimento al governo di Donald Trump e alle sue ripercussioni globali, ma anche al peggioramento della qualità del governo in tanti altri Paesi, dalla Turchia alla Corea del sud, per non parlare del Venezuela e della Tunisia. Governi che si contrappongono alle istituzioni democratiche, “unico argine agli usurpatori di sovranità”, come ha ben sottolineato il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, il 17 dicembre, affermando anche che “appare sempre più difficile preservare lo spazio del dialogo e della mediazione all'interno di società che sembrano oggetto di forze centrifughe divaricanti, con una pericolosa riduzione delle occasioni di dialogo, di collaborazione, di condivisione. Si tratta di una dinamica che non riguarda soltanto la politica ma la precede e va molto oltre. Tocca ambiti sociali, economici, culturali, persino etici. Il pluralismo delle idee, l'articolazione di diverse opinioni rappresentano l'anima di una democrazia”. Preservare il dialogo vuol dire sostenere la democrazia, rafforzare il multilateralismo e, soprattutto, promuovere la pace.
INTELLIGENZA. Umana, artificiale o mista? È uno dei temi più discussi dell’anno: non a caso a giugno l’Ue ha approvato l’Artificial intelligence act, primo regolamento al mondo volto a disciplinare l’uso dell’AI nel rispetto dei diritti e delle libertà individuali, e a luglio il governo italiano si è messo al passo degli altri Paesi Ue dotandosi di una Strategia italiana per l’intelligenza artificiale. Il tema continuerà a essere centrale nel 2025 e negli anni a venire: sarà quindi fondamentale continuare a dibattere sull’integrazione delle due intelligenze, sui loro limiti e sullo sviluppo di una governance “etica” per l’AI.
Ma nel riflettere su questa parola per il 2025, vorrei soffermarmi soprattutto sull’intelligenza umana. L’Oxford Dictionary, infatti, ha scelto come parola dell’anno 2024 “brain rot” (letteralmente “cervello che marcisce”), espressione inglese che indica “il presunto deterioramento dello stato mentale o intellettuale di una persona, soprattutto come conseguenza di un consumo eccessivo di materiale (in particolare di contenuti online) considerato banale o poco impegnativo". Un rimando, in particolare, alla sensazione che si prova dopo aver passato troppo tempo sui social media a fare scrolling senza uno scopo preciso. Al brain rot del 2024 vorrei contrapporre dunque l’intelligenza (umana), che deriva dal latino “intelligere” ovvero “intendere, capire”, con il significato oggi anche di “vivacità mentale”. Risvegliare la nostra mente attraverso letture di qualità, confronti costruttivi, ma anche ad esempio allenando la memoria tramite l’apprendimento di poesie, facendo calcoli a mano come metodo, e combattendo l’astrattezza del linguaggio con delle parole molto precise, come suggerito dalla scrittrice Viola Ardone e come abbiamo già raccontato in un articolo sul futuro visto dall’alba del 2025 a firma di Donato Speroni. Risvegliare l’intelligenza umana trovo sia decisivo per contrastare le fake news e la tendenza a svalutare le idee complesse (soprattutto quelle altrui) a favore di quelle semplici.
All’intelligenza umana individuale, poi, vorrei affiancare altre due “intelligenze”. L’intelligenza collettiva, intesa come capacità di risolvere i problemi complessi attraverso la collaborazione e condivisione di saperi e di idee. L’ASviS, riunendo una rete di oltre 300 realtà impegnate sui temi dello sviluppo sostenibile, è nata proprio così: mettendo insieme esperte ed esperti della società civile per trovare soluzioni comuni. Infine, l’intelligenza emotiva, intesa come la capacità di comprendere e gestire le emozioni proprie e altrui per comunicare in modo efficace, costruire relazioni entrando in empatia con gli altri, superare le sfide e disinnescare i conflitti. Un’intelligenza, dunque, alla base del rispetto e del dialogo.
TERRITORI. La quinta parola che vorrei proporre va ricercata nelle nostre radici, esplorando nel dettaglio le “radici della sostenibilità”, ovvero i nostri territori, segnati da divari e rischi idrogeologici. “Se non ci prendiamo cura dei territori, continueremo a rincorrere le emergenze”, ha sottolineato il presidente dell’ASviS Pierluigi Stefanini all’evento di presentazione del Rapporto Territori 2024. Anche il ministro della Protezione civile e delle politiche del mare, Nello Musumeci, ha evidenziato l’importanza di “pianificare prima ancora di intervenire” durante l’evento che abbiamo organizzato a marzo sul dissesto idrogeologico. Nel 2025 ci auguriamo in particolare che: venga rafforzata la prevenzione del rischio idrogeologico, triplicando la capacità di spesa attuale (anche perché, come hanno testimoniato le alluvioni di questi anni, altrimenti i costi dell’inazione saranno ben superiori agli investimenti in prevenzione); venga attivato il Comitato interministeriale per le politiche urbane (Cipu) per garantire il coordinamento delle politiche delle città a livello nazionale; venga promossa una riforma organica del governo del territorio e una legge coerente sulla rigenerazione urbana; venga rilanciata la Strategia nazionale per le aree interne.
COMPETENZE. In un’epoca di grandi trasformazioni, risulta cruciale farsi trovare preparati ad affrontare l’evoluzione dei fenomeni. L’Unione europea aveva definito in quest’ottica, già nel 2022, un quadro comune delle competenze per la sostenibilità, il GreenComp, e per le competenze digitali, il DigComp. L’Italia si è mossa negli anni per accompagnare i giovani nella “rivoluzione delle competenze”, come ho raccontando in un mio precedente editoriale, mentre sugli adulti c’è ancora poca cura, come testimoniano i disastrosi risultati dell’ultima indagine Piaac dell’Ocse sulle competenze degli adulti e la disattenzione di media e politica sul tema. Siamo agli ultimi posti della classifica, con una quota intorno al 35% della popolazione che non ha le competenze di base in lettura e comprensione di testi, in matematica, e soprattutto presenta un’incapacità di affrontare in modo strutturato i problemi e risolverli.
Questo è un problema enorme in termini di sviluppo economico, come ha sottolineato il direttore scientifico dell’ASviS, Enrico Giovannini, nella sua rubrica settimanale su Radio Radicale “Scegliere il futuro”, perché “avere una forza lavoro non qualificata, incapace anche di adattarsi alle rapide modificazioni che la rivoluzione tecnologica ad esempio sta determinando, è un problema, e lo è anche per la comprensione dei problemi che il nostro Paese ha e per l’incapacità di comprendere e affrontare con serietà le varie soluzioni. Ed è per questo che abbiamo un problema nel funzionamento della democrazia: se un terzo del nostro Paese non è in grado di comprendere testi e discorsi è estremamente facile essere preda della propaganda politica”. Nel 2025, dunque, bisognerà prendere seriamente questi risultati, realizzando interventi strutturali e rendendo l’educazione degli adulti e la formazione continua lungo tutto il ciclo di vita una pratica diffusa per il nostro Paese.
FUTURABILITY. L’ultima parola che vorrei proporre non si ferma al 2025 ma guarda lontano. Si tratta di “futurability”, o “propensione al futuro”, una capacità necessaria per affrontare adeguatamente le grandi sfide che ci attendono. Il termine, coniato dallo Step FuturAbility District (una specie di museo del futuro) di Milano mi ha affascinato per l’enfasi posta sulla tensione positiva ad andare verso il futuro, con l’idea di scoprirlo e capirlo. Un approccio sposato da tempo dall’ASviS, dalla nascita del sito FUTURAnetwork alle campagne del Festival dello Sviluppo Sostenibile orientate al futuro, fino al progetto “Ecosistema futuro” (prossimo al lancio nel 2025) che vuole unire i centri di ricerca, gli esperti di Strategic foresight e chi si occupa di elaborare soluzioni per il domani, in modo da mettere il dibattito sui “futuri possibili” e su quelli “desiderabili” al centro della riflessione culturale, politica, economica e sociale del Paese. Su questi aspetti l’Italia è decisamente indietro sul piano culturale e politico, bloccata in un dibattito di breve termine che non solo impedisce di pensare politiche e strategie di lungo periodo, ma anche di governare l’incertezza e immaginare una società diversa.
Le Nazioni Unite hanno raccolto la sfida di mettere il futuro al centro dell’attenzione organizzando a settembre un Summit in cui è stato approvato il Patto sul futuro (qui è ora disponibile la traduzione italiana), con 56 azioni che i Paesi (inclusa l’Italia) dovranno attuare nei prossimi anni per garantire pace, sicurezza e rispetto dei diritti umani, contrastando cambiamento climatico e disuguaglianze. Insieme a tale testo sono stati approvati anche un Patto digitale globale e una Dichiarazione sulle generazioni future. Se il governo italiano vuole essere coerente con gli impegni assunti, è necessario che sviluppi la sua futurability, mettendo il futuro al centro delle sue scelte, affinché siano lungimiranti e sostenute da investimenti adeguati. Un aspetto su cui attualmente i cittadini hanno ben poca fiducia: secondo i risultati dell’Eurobarometro 2024, solo il 21% degli italiani crede che il governo operi con una visione di lungo periodo, prendendo decisioni valide per i prossimi 20-30 anni, rispetto a una media G20 del 37%. In concreto, il Parlamento potrebbe approvare rapidamente il disegno di legge sulla valutazione d’impatto intergenerazionale delle nuove normative, il governo potrebbe creare un Istituto di studi sul futuro, o nominare un/una “Inviato/a speciale” per le future generazioni come farà l’Onu. Solo mettendo il futuro al centro dell’attenzione, infatti, potremo delineare la strada per raggiungere lo scenario desiderabile: uno sviluppo sostenibile che garantisca, il prima possibile, pace, benessere e qualità della vita per tutte e tutti, rispettando il Pianeta.
Da parte mia e dell’ASviS auguri a tutte e a tutti noi per l’anno che viene, da vivere all’insegna dell’aumento dell’intelligenza, della cura dei territori, dello sviluppo delle competenze e dell’attenzione alla futurability.