Editoriali
Mentre la situazione globale degenera sotto la spinta dei conflitti, l’80esima Assemblea generale riaccende i riflettori sul funzionamento delle Nazioni Unite. Va accelerata la riforma prevista con il Patto sul Futuro di settembre 2024, ma i veti incrociati dei diversi Paesi rendono arduo il processo.
Che le Nazioni Unite siano in profonda crisi è un fatto noto. E che sia assolutamente necessaria la modifica degli attuali meccanismi decisionali del Consiglio di sicurezza e del funzionamento dell’Assemblea Generale è altrettanto chiaro. Molti osservatori, negli ultimi giorni, specialmente a fronte dello spettacolo offerto da alcuni leader mondiali intervenuti a New York, hanno sparato a zero sull’Onu, dimenticando (probabilmente non sapendo proprio) che nel settembre del 2024, con il Patto sul futuro, le stesse Nazioni Unite hanno deciso di autoriformarsi e di riformare la governance delle altre grandi istituzioni nate a Bretton Woods dopo la seconda guerra mondiale, in primo luogo il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, ma più in generale l’architettura finanziaria globale.
Quello a cui stiamo assistendo in questi giorni e mesi mostra l’assoluta necessità di questa riforma. Le negoziazioni sono in corso, ma ci sono punti di vista molto diversi su come debba essere operata, come dimostrato dalle prese di posizioni degli Stati Uniti (unico assente alla Conferenza di Siviglia di luglio scorso che dibatteva anche della riforma delle istituzioni finanziarie) e anche dall’intervento della Presidente del consiglio italiana, Giorgia Meloni, all’80esima Assemblea generale dell’Onu, che si è dichiarata favorevole a una riforma del Consiglio di Sicurezza, ma senza nuove gerarchie e senza nuovi seggi permanenti, ipotesi sostenuta da altri Paesi.
Al di là delle diverse posizioni espresse sulla riforma dell’Onu, in questi mesi vari Paesi si sono comportati in maniera clamorosamente contraria ai principi delle Nazioni Unite, disconoscendo anche gli impegni internazionali. E sono proprio quelli che più criticano l’Onu, come gli Stati Uniti. L’ultimo duro attacco è arrivato qualche giorno fa dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, intervenuto per quasi un'ora all’Assemblea generale, superando di almeno tre volte il limite di tempo imposto ai leader per i loro discorsi senza che nessuno osasse fermarlo. “Ho messo io fine a sette guerre, non le Nazioni Unite”, ha affermato. Un nervo scoperto per l’organizzazione nata proprio per prevenire le guerre.
Il presidente francese Emmanuel Macron ha difeso l’Onu, sostenendo che "i suoi critici più severi sono coloro che vogliono cambiare il nome del gioco, che vogliono dominare", ma noi "non vogliamo che prevalga il principio del più forte. Questo è il rischio". Anche il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva è intervenuto per sottolineare che “in tutto il mondo, forze antidemocratiche cercano di soffocare le libertà" e che "la democrazia e la sovranità del Brasile non sono negoziabili".
Diversi quotidiani italiani vedono in questa crisi delle Nazioni Unite una sua morte. “Molte analisi dell’Onu in questo anniversario assomigliano all’autopsia di un cadavere”, scrive il giornalista Federico Rampini sul Corriere della Sera. “I limiti dell’Onu sono scritti nel suo Dna. Ogni volta che un membro permanente è coinvolto in una crisi – Russia in Ucraina, Stati Uniti in Iraq, Cina in Tibet o Xinjiang o a Hong Kong – l’Onu diventa spettatrice. L’altro grande limite è la dipendenza dagli Stati membri: i caschi blu non sono un esercito ma contingenti nazionali prestati temporaneamente”, afferma. In un altro intervento sul Corriere della Sera Massimo Nava ha parlato di uno stato di “morte celebrale” dell’organizzazione e, con sé, del diritto internazionale. “Non solo per il genocidio a Gaza, l’annessione della Cisgiordania, l’aggressione russa dell’Ucraina, i precedenti in Iraq, Ruanda, ex Yugoslavia, ma anche per il rischio che Donald Trump legittimi l’agonia delle Nazioni Unite, con l’appoggio esplicito a Gerusalemme e con l’intesa sotto traccia con Putin”.
Eppure, la realtà è diversa. Infatti, l’Onu e le sue Agenzie svolgono un lavoro indispensabile, seppure spesso ignorato, per migliorare le condizioni di vita dei più poveri e costruire un consenso per disegnare politiche migliori, a tutela di tutta l’umanità. La loro assenza renderebbe il mondo un posto peggiore, non migliore, come sostengono alcuni leader politici. Per questo sarebbe interessante sapere cosa pensano tanti osservatori che trattano il tema in modo superficiale delle proposte di riforma avanzate nell’ultimo anno, più volte descritte nelle pubblicazioni e negli articoli dell’ASviS, a partire dall’iniziativa UN80, lanciata a marzo 2025 dal segretario generale dell’Onu António Guterres per promuovere una rivoluzione strutturale dell’organizzazione. Guy Ryder, sottosegretario generale dell’Onu per le Politiche e responsabile di UN80, ha recentemente detto che “se si dà un’occhiata all’organigramma del sistema delle Nazioni Unite, si scopre un’architettura piuttosto barocca”. Per questo, UN80 punta a: migliorare l’efficienza interna, e quindi snellire le procedure, ridurre la burocrazia e ottimizzare la presenza globale dell'Onu; revisionare i mandati, esaminando i circa 4mila esistenti per identificare quelli obsoleti, sovrapposti o poco efficaci, e identificare quelli più rilevanti; ristrutturare e riallineare i programmi, per semplificare le operazioni e migliorare l'impatto.
Peraltro, il tema è diventato centrale sul piano geopolitico. Infatti, alle insoddisfazioni delle opinioni pubbliche dei Paesi più sviluppati non fa riscontro un analogo atteggiamento nei Paesi emergenti e in via di sviluppo, dove si rileva una percezione di miglioramento delle condizioni di benessere collettivo e una forte richiesta di politiche più decise su temi importanti come il clima e un modello di sviluppo più giusto. Per di più, mentre gli Stati Uniti si allontanano dalle istituzioni internazionali e l’Unione europea mostra divisioni interne, la Cina e diversi Paesi del Sud del mondo stanno riaffermando l’importanza del multilateralismo, ad esempio chiedendo (strumentalmente) che l’Organizzazione mondiale del commercio sanzioni le politiche statunitensi sui dazi. Certo, molti dei rappresentanti dei Brics e del cosiddetto “Sud Globale” non sono proprio un modello di democrazia e rispetto dei diritti umani, ma l’apparente disponibilità a lavorare insieme deve essere colta.
Le Nazioni Unite non sono dunque morte, i segnali di vita ci sono. Il problema senz’altro c’è, ed è come i Paesi usano o non usano queste istituzioni. E la riforma è necessaria per riportare questa organizzazione a funzionare bene per essere all’altezza delle sfide del nostro tempo. Ripensare l’Onu e rinnovare il multilateralismo è l’unico modo per garantire la pace e i progressi verso gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. Un’Agenda che compie oggi 10 anni e che l’ASviS celebra con un evento online per riflettere sull’attualità delle sfide poste da essa e sulle sue prospettive future. Un’Agenda che, rispetto al 2015, si trova a misurarsi con un contesto geopolitico completamente diverso, segnato da conflitti aperti e tensioni crescenti, ma che con i suoi 17 Obiettivi deve continuare a rappresentare la nostra bussola, anche oltre il 2030. Un’Agenda che, nel suo preambolo, ci ricorda molto chiaramente: “non ci può essere sviluppo sostenibile senza pace, né la pace senza sviluppo sostenibile”.
