Sviluppo sostenibile
Lo sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri.

L'Agenda 2030 dell'Onu per lo sviluppo sostenibile
Il 25 settembre 2015, le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, un piano di azione globale per le persone, il Pianeta e la prosperità.

Goal e Target: obiettivi e traguardi per il 2030
Ecco l'elenco dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals - SDGs) e dei 169 Target che li sostanziano, approvati dalle Nazioni Unite per i prossimi 15 anni.

Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile
Nata il 3 febbraio del 2016 per far crescere la consapevolezza dell’importanza dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e per mobilitare la società italiana, i soggetti economici e sociali e le istituzioni allo scopo di realizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile.

Altre iniziative per orientare verso uno sviluppo sostenibile

Contatti: Responsabile Rapporti con i media - Luisa Leonzi
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The Italian Alliance for Sustainable Development (ASviS), that brings together almost 300 member organizations among the civil society, aims to raise the awareness of the Italian society, economic stakeholders and institutions about the importance of the 2030 Agenda for Sustainable Development, and to mobilize them in order to pursue the Sustainable Development Goals (SDGs).
 

Editoriali

Per seguire un’alimentazione sana dobbiamo prenderci cura del nostro cervello

Disturbi alimentari e obesità crescono tra i giovani, mentre spreco e insicurezza alimentare minacciano ambiente e società. Tutela della salute mentale e fisica devono andare di pari passo. La “dieta planetaria” può anche proteggere il Pianeta.

Il cibo non è solo un bisogno da soddisfare. Per ognuno di noi può essere sinonimo di piacere, salute, socialità, tutela dell’ambiente. Per questo, oltre che dal punto di vista del benessere fisico, dobbiamo esaminarlo nel suo aspetto psicologico, sociale, economico e ambientale. La Giornata mondiale dell’alimentazione, così come il World food day organizzato dalla Fao in questi giorni fino a venerdì, sono un’occasione per interrogarci sul nostro rapporto con il cibo, per chiederci come impattiamo sull’ambiente e per domandarci come sono la salute alimentare dei nostri giovani e l’insicurezza alimentare nel nostro Paese. Un tema al centro del secondo Obiettivo di sviluppo sostenibile “Sconfiggere la fame” dell’Agenda 2030 dell’Onu.

Partiamo da semplici domande. Perché apriamo il frigorifero anche quando non abbiamo fame? Perché il cioccolato consola e l’insalata no? Perché mangiare non è solo un bisogno fisico, ma anche psicologico, e spesso il vero protagonista è il cervello, non lo stomaco.

Alcuni alimenti stimolano i circuiti del piacere e della ricompensa, facendo aumentare dopamina e serotonina, e regalando per pochi minuti un senso di conforto. Ecco perché il cioccolato “consola” mentre l’insalata raramente lo fa: alimenti ricchi di zuccheri e grassi stimolano il cervello più di quelli leggeri e salutari. Al contrario, emozioni come ansia o tristezza possono spegnere l’appetito: il corpo entra in modalità “allerta”, mentre il cervello è troppo occupato a gestire lo stress per pensare al cibo.

Mangiare diventa così un atto psicologico e simbolico: riflette il nostro rapporto con noi stessi, con gli altri, e con il mondo che ci circonda. Nelle aree di benessere, la disponibilità di cibo illimitata convive con disturbi alimentari e sensi di colpa. In quelle più fragili, l’insicurezza alimentare diventa fonte di paura quotidiana, e non solo. In questo senso, il cibo è uno specchio delle nostre emozioni, e comprendere il “perché” di ciò che mettiamo nel piatto significa capire molto di più di una semplice dieta. Ecco che allora, per seguire un’alimentazione sana, è importante prenderci cura di noi: pianificare i pasti, tenere in casa snack salutari, fare pasti regolari, per gestire la fame emotiva, ma anche fare sport o passeggiate per scaricare la tensione o parlare con amici per non isolarsi con il cibo. L’alimentazione riguarda anche la sfera dell’affettività. Le indicazioni su quale dieta seguire sono utili, ma anche il rapporto con gli altri diventa un nodo cruciale. Quanto peso dovremmo dare alla questione “il cibo è relazione”? Sarebbe interessante approfondire, attraverso una riflessione tra psicologi, educatori e tessuto sociale coinvolto, come possiamo fare dei passi avanti in questa direzione. E se è vero che per relazionarsi con gli altri bisogna stare bene con se stessi, è anche verso il contrario: occasioni sociali di condivisione del cibo possono aumentare il proprio benessere.

Secondo la Commissione Eat-Lancet, gruppo multidisciplinare composto da 24 esperti ed esperte di 17 Paesi, oggi circa il 30% delle patologie croniche – dal diabete alle malattie cardiovascolari – è riconducibile a regimi alimentari sbilanciati, e secondo gli esperti e le esperte un cambiamento globale delle diete potrebbe prevenire fino a 15 milioni di morti premature ogni anno, pari a oltre un quarto dei decessi totali nel mondo. Il “triplice fardello della malnutrizione” è costituito da carenze nutrizionali, eccesso calorico e mancanza di micronutrienti. In molti Paesi a basso reddito, milioni di persone non raggiungono livelli minimi di ferro, zinco, vitamina A e acidi grassi essenziali, con conseguenze dirette sulla crescita infantile, sullo sviluppo cognitivo e sulla produttività. All’opposto, nelle economie più ricche, la diffusione di diete ipercaloriche e povere di nutrienti sta alimentando un’epidemia silenziosa di obesità, diabete e malattie cardiovascolari.

Il nostro Paese è particolarmente coinvolto sul tema obesità. Tra le bambine e i bambini di età 7-9 anni, infatti, circa il 39% è in sovrappeso o obeso, contro il 29% europeo. Questa condizione entro il 2030 riguarderà il 70% della popolazione mondiale. Per contrastare questi fenomeni è centrale il ruolo della famiglia ma anche della scuola, fondamentale per l'educazione alimentare e per favorire convivialità e socializzazione. Intanto, l’Italia ha compiuto un grande passo avanti: dal primo ottobre siamo il primo Paese al mondo a riconoscere per legge l'obesità come malattia cronica. La legge è il primo passo per poter lavorare alla rimborsabilità dei nuovi farmaci anti-obesità attualmente in commercio” ha affermato Esmeralda Capristo, professoressa all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttrice della Uos di Medicina della grande obesità di Fondazione Policlinico Universitario. E ora, si legge sul sito del Policlinico Gemelli, saranno necessari vari step ulteriori, previsti nel testo di legge, come l’inserimento dell’obesità nei Livelli essenziali di assistenza. Ugualmente importante sarà lavorare alla formazione del personale (medici, infermieri, dietisti) per il trattamento dei soggetti affetti da obesità.

Entrando più a fondo sulla salute dei nostri giovani e delle giovani, si rileva una situazione allarmante per quanto riguarda i disturbi alimentari: nei primi anni duemila le persone che soffrivano di disturbi dell’alimentazione in Italia erano circa 300 mila, oggi sono oltre 3 milioni. Tra il 2019 e il 2023 sono cresciuti i casi ed è scesa sempre più l’età, un fattore che dovrebbe farci riflettere sulla salute mentale delle giovani generazioni.

Come raccontato dal sociologo e direttore di ricerca dell'Istituto per la ricerca sociale (Irs) Sergio Pasquinelli, su Welforum, non siamo di fronte solo ad anoressia e bulimia. Esistono altri comportamenti meno noti, come l’ortoressia (la ricerca ossessiva di una dieta sana), la vigoressia (l’eccessiva attenzione per la forma fisica), la diabulimia (pazienti con diabete di tipo 1, che omettono l’insulina per dimagrire) o il disturbo da alimentazione incontrollata (Binge eating disorder), caratterizzato da grandi abbuffate, a cui segue un aumento di peso e, spesso, l’insorgere di una obesità. La malnutrizione è legata soprattutto alle fasce sociali più deboli, e il contesto educativo e culturale giocano un ruolo assolutamente cruciale. L’esposizione ai social poi, con l’ampia pressione legata all’alimentazione e al corpo, esacerba le fragilità.

In Italia i supporti sono arretrati. L’Istituto superiore di sanità indica 214 strutture specializzate, ma si tratta di realtà estremamente diverse tra loro (per tipo di servizio, risorse o livello di specializzazione) e con una distribuzione disomogenea: ben 21 in Lombardia, mentre in tutta la Sicilia se ne contano appena sei. Il Fondo nazionale per il contrasto dei Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, istituito tre anni fa, è stato rifinanziato con soli 10 milioni di euro per il 2025, sottolinea Pasquinelli.

C’è poi il tema della povertà alimentare, esaminato molto bene da Secondo Welfare. Uno sviluppo equilibrato può essere facilmente compromesso dalla mancanza di accesso regolare al cibo, che per gli adolescenti e le adolescenti non ha solo conseguenze fisiche, ma anche psicologiche: può far sentire “diversi” per ciò che ci si può permettere, può arrivare a minare l’autostima e influenzare negativamente le scelte alimentari quotidiane, può far provare sentimenti di vergogna, isolamento sociale e stress, che si riflettono negativamente sia sullo stato nutrizionale sia sull’umore e sul benessere generale. Limita, dunque, anche il loro potenziale.  

Secondo il Rapporto Povertà e insicurezza alimentare in Italia, nel 2023 l’8,4% degli italiani (quasi 5 milioni di individui) ha dichiarato di non potersi permettere di mangiare carne, pesce o un equivalente vegetariano almeno una volta ogni due giorni. Questa quota è sensibilmente più alta nel Mezzogiorno (12,2%), di poco superiore nel Centro (8,8%) e più bassa nel Nord (5,6%). Al tempo stesso, secondo il Rapporto Internazionale Waste Watcher 2024, ogni italiano spreca in media 683,3 grammi di cibo a settimana, pari a circa 35,5 kg all'anno. Tuttavia, negli ultimi anni le politiche di recupero e distribuzione solidale delle eccedenze alimentari hanno registrato una crescita significativa. In Italia, nel 2023, i Banchi Alimentari hanno assistito quasi 1,8 milioni di persone, distribuendo 119mila tonnellate di cibo. Esistono poi iniziative di contrasto allo spreco come l’app “Too good to go”, che permettere ai consumatori e alle consumatrici di acquistare a prezzo ridotto cibo invenduto da ristoranti, panetterie, supermercati e altri esercizi locali. E anche moltissime catene di distribuzione hanno capito che devono fare scelte responsabili. Il punto, però, è che “serve un approccio integrato e multilivello di contrasto all’insicurezza alimentare, capace di immaginare – e costruire – una trasformazione radicale”, ponendo l’accesso al cibo al centro delle food policy, si legge nel Rapporto sull’insicurezza alimentare: questo “non significa semplicemente garantire una quantità minima di cibo per sopravvivere, ma piuttosto riconoscere a ogni individuo l’accesso quotidiano a un’alimentazione che nutra il corpo, ma anche la libertà, le scelte e la partecipazione sociale delle persone”.

Infine, il cibo è legato alla salute del Pianeta. La produzione di cibo è responsabile di circa un terzo delle emissioni globali di gas serra, contribuisce alla perdita di biodiversità e all’uso eccessivo di risorse naturali come acqua e suolo. Il Rapporto ASviS 2024 (quello 2025 lo presenteremo il 22 ottobre), nella sezione dedicata al Goal 2, poneva già l’accento sull’impatto sempre maggiore che la sfida del cambiamento climatico ha sull’accesso al cibo e sulla produttività agricola. La cosiddetta climateflation (inflazione climatica) sta pesando sul potere d’acquisto delle famiglie: l’olio extra vergine di oliva è aumentato, tra febbraio 2019 e febbraio 2024, dell’81,1%, la pasta secca del 35,6%, senza portare a un aumento dei profitti dei produttori diretti, che sono anzi diminuiti del 10%. Questo fenomeno non si esaurirà in futuro, anzi: secondo la Banca centrale europea l’inflazione climatica aumenterà in una misura compresa tra 0,92 e 3,23 punti percentuali l’anno.

La Commissione Eat-Lancet ha ridefinito il significato di “mangiare bene” proponendo una “dieta planetaria” basata principalmente su cereali integrali, frutta, verdura, legumi, semi e frutta secca, con un consumo moderato di latticini, pesce e pollame, e quantità molto ridotte di carne rossa, zuccheri e grassi saturi. Non si tratta di una dieta vegetariana in senso stretto, ma di una transizione verso un modello prevalentemente vegetale, in cui le proteine animali vengono ridimensionate a favore di fonti più sostenibili.

Le produzioni animali, infatti, occupano l’80% dei terreni agricoli ma forniscono meno del 20% delle calorie globali. La sola agricoltura intensiva provoca ogni anno oltre 650mila morti per inquinamento atmosferico. Anche per questo si stanno sviluppando nuovi modelli di agricoltura, come la permacultura, “l’agricoltura del non-fare”, a cui come FUTURAnetwork abbiamo dedicato un volume . L’approccio intende lasciare che la natura faccia il suo corso con l’ausilio dell’essere umano. Ad esempio, anziché allontanare l’acqua rapidamente dal terreno, come fa l’agricoltura convenzionale, la permacultura mira a rallentarla, trattenerla e farla penetrare nel suolo. Un altro esempio è il rifiuto dei fertilizzanti chimici e dell’aratura profonda, proponendo un approccio basato sulla diversità funzionale: integrare nel sistema piante con funzioni specifiche che, quando vengono potate o muoiono naturalmente, rilasciano i nutrienti accumulati rendendoli disponibili per le colture vicine.

Una completa transizione energetica non basterebbe a contenere il riscaldamento globale se non cambieranno produzione e consumo di alimenti. Oggi, sette dei nove confini planetari individuati dalla scienza sono già stati superati. Come evidenzia la Commissione Eat-Lancet, la trasformazione alimentare non riguarda solo le scelte individuali, ma anche le politiche pubbliche: servono investimenti in educazione alimentare, incentivi alla produzione sostenibile, riforme fiscali eque e norme che riducano il potere di pochi grandi attori dell’industria agroalimentare.

Come ricorda Johan Rockström, co-presidente della Commissione e direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research: “La salute delle persone e quella del pianeta sono due dimensioni inseparabili. Il modo in cui produciamo e consumiamo cibo deciderà non solo quanto vivremo, ma in che tipo di mondo vivranno le prossime generazioni”.

 

Copertina: 123rf

giovedì 16 ottobre 2025
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