Il punto di Giovannini
Il deludente primo anno della seconda Commissione von der Leyen
18 dicembre 2025
La Commissione europea, guidata per la seconda volta da Ursula von der Leyen, ha compiuto un anno. Un anno difficile, di lavoro molto intenso, caratterizzato dallo scontro con gli Stati Uniti, non solo sui dazi, ma soprattutto dalla gestione estremamente difficile dei temi della sicurezza e del processo per porre fine alla guerra in Ucraina.
Un anno passato a cercare di rafforzare il ruolo dell'Unione europea sulla scena internazionale, ma anche un anno di insuccessi, non tanto dal punto di vista economico, quanto rispetto agli obiettivi che von der Leyen aveva indicato al Parlamento europeo e sui quali il Parlamento stesso le aveva votato la fiducia. Un anno di lavoro della squadra di Commissari che è stata certamente sottoposta a forti pressioni di varia natura, ma che secondo molti osservatori vede anche la presenza di persone veramente all'altezza della situazione. Un anno in cui la Presidente ha centralizzato gran parte delle attività sui dossier principali con un approccio decisionista che ha reso molte Direzioni generali della Commissione europea un po' insoddisfatte, soprattutto rispetto all’approccio più inclusivo che la prima Commissione von der Leyen aveva sperimentato.
Se andiamo a confrontare le promesse e gli obiettivi che si dovevano raggiungere con quello che è stato fatto dopo un anno, l'insoddisfazione appare abbastanza evidente, anche tenendo conto dello stile dell’amministrazione americana. Per esempio, sulle tematiche ambientali, la Commissione europea ha fatto marcia indietro su vari dossier, non soltanto sulla rendicontazione di sostenibilità delle imprese, ma anche sul Regolamento contro la deforestazione e in generale ha fatto passare il messaggio che il Green Deal, benché confermato, contenesse molti errori. Esattamente la narrativa che le forze populiste presenti nel Parlamento europeo, ma anche ampi settori delle lobby economiche, avevano cercato di passare durante la campagna elettorale e successivamente.
Ci sono degli scogli importanti sui temi della politica industriale da affrontare seriamente, per esempio la questione del settore dell'automobile. Si vedrà nei prossimi giorni come la Commissione proverà a coniugare la transizione verso una mobilità più sostenibile con la necessità di sostenere anche sul piano finanziario il settore industriale. Ma non c'è dubbio che uno dei problemi che era stato identificato un anno e mezzo fa dopo l'elezione del Parlamento europeo, e che sostanzialmente non è stato ancora affrontato, è il tema delle riforme istituzionali. Proprio due anni fa il Parlamento europeo aveva votato a maggioranza un pacchetto di riforme per superare il diritto di veto dei singoli Paesi, dare più potere al Parlamento e rafforzare il coinvolgimento dei cittadini, dei territori e della società civile.
Alcune di queste riforme si possono fare “a Trattati vigenti”, quindi senza necessariamente imbarcarsi in un complesso e difficile processo di revisione. Ma di tutto questo non si parla più, se non da parte dei convinti europeisti, anche se proprio in queste settimane c’è una spinta nuova ad andare in quella direzione, rispetto alla quale però la Commissione sembra estremamente prudente, anche perché nel Consiglio europeo la maggioranza dei Paesi membri è governata da coalizioni di centro-destra che non hanno nessuna intenzione di dare più potere all'Europa.
Ecco, questo è il tema cruciale che questo anno di Commissione non ha minimamente provato a scalfire. Vedremo se nel corso del 2026 la situazione cambierà, ma non c'è dubbio che la Commissione europea avrebbe bisogno di riacquistare (o acquistare) quella leadership necessaria per far fare all'Europa il salto di qualità di cui abbiamo urgente bisogno.
