All’Ara Pacis l’evento dell’Alleanza per guardare oltre il presente: l’indagine Piepoli tra ottimismo personale e pessimismo collettivo, il paper sull’alfabetizzazione nelle scuole, la rete dei musei e il percorso verso l’Assemblea nazionale sul futuro. 3/12/25
Tutte le grandi sfide del nostro tempo sono di lungo periodo, ma in Italia il dibattito pubblico e le politiche restano troppo concentrati sul presente. Invertire la rotta è possibile, a condizione di stimolare la partecipazione, soprattutto dei giovani, sul tema del futuro. È il messaggio che l’ASviS ha lanciato al Future Day “Un patto sul futuro, anche nell’interesse delle future generazioni”, tenutosi il 2 dicembre all’Auditorium dell’Ara Pacis di Roma in collaborazione con Icom Italia, Officine Italia, Save The Children e Fondazione Italiana per gli Studi sul Futuro, nell'ambito dell’iniziativa Ecosistema Futuro. Moderato da Gianna Fregonara, giornalista del Corriere della Sera, l’evento ha coinciso con la Giornata mondiale dei futuri promossa dall’Unesco e ha riunito rappresentanti delle istituzioni, del mondo della scuola, della cultura, dell’informazione e della società civile.
Nei saluti iniziali Sabrina Alfonsi, assessora all’Agricoltura, ambiente e ciclo dei rifiuti di Roma Capitale, ha ricordato il ruolo delle città nella transizione ecologica: “ASviS per noi è un punto di riferimento nella Missione europea delle città per la neutralità climatica al 2030. Roma ci sta provando sul serio, con il Piano clima e con la Strategia di adattamento climatico. Uno dei tratti salienti della nostra strategia è la forestazione urbana: abbiamo utilizzato tutti i fondi del Pnrr insieme alla Città metropolitana per mettere a terra 18 nuovi boschi urbani. È esattamente il tipo di politica chiesta dal nuovo articolo 9 della Costituzione: la tutela dell’ambiente in funzione delle future generazioni. Abbiamo smesso di pensare al futuro quando la politica ha iniziato a guardare solo al consenso immediato. È una politica miope, che fa danno al Paese. Il compito delle istituzioni è combattere questo metodo”.
“Quando ci siamo dimenticati del futuro? È una domanda che interroga tutte e tutti, in primo luogo la politica”, ha esordito dal palco Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS, aggiungendo che “la politica siamo noi. Se qualcun altro decide il nostro futuro, il futuro si occuperà di noi, e in questo periodo non è una buona notizia. È per questo che nasce Ecosistema Futuro, ed è per questo che l’ASviS ha deciso di raddoppiare l’impegno. Dieci anni fa, quando abbiamo iniziato a lavorare sull’Agenda 2030, quasi nessuno la conosceva, ma non ci siamo scoraggiati. Oggi accade lo stesso con il Patto sul futuro approvato dall’Onu: pochi lo conoscono, ma noi ci crediamo. Immaginare futuri possibili ci aiuta a capire qual è quello desiderabile”. Ma Giovannini non ha nascosto le insidie: “Il dibattito pubblico in Italia è totalmente orientato al presente: se non affrontiamo questo problema, continueremo solo a lamentarci dei governi. Noi italiani siamo famosi per la capacità di reagire agli shock, la nostra Protezione civile è un modello internazionale, ma non chiedeteci di programmare, prevenire, anticipare i rischi: facciamo ancora fatica. La nostra è un’avventura difficile, controvento, ma se vorrete condividerla con noi ne saremo felici. Come diceva Karl Popper, ‘il futuro è molto aperto, dipende da quello che faremo oggi e domani’”.

Livio Gigliuto, presidente dell’Istituto Piepoli, ha presentato i risultati salienti dell’indagine demoscopica svolta per l’ASviS sul rapporto tra italiani e futuro: “Un dato iniziale sembra molto positivo: circa l’80% delle persone dichiara di pensare al futuro. Ma se andiamo a leggere tra le pieghe, scopriamo che questo 80% è diviso in due: una metà dice ‘ci penso sempre, l’altra metà ammette che ci pensa in modo non determinante. E infatti quando chiediamo se si è più concentrati sul presente, sul futuro o addirittura sul passato, il quadro si ribalta: la maggioranza degli italiani dice che il centro della propria vita è il presente. Il focus resta sull’oggi”. Uno degli elementi più interessanti riguarda le differenze generazionali: “I 16-19enni pensano quasi solo al presente, sono concentrati su ciò che stanno facendo ora. Già dalla generazione successiva, dai ventenni in poi, scatta qualcosa e l’orientamento al futuro cresce. Proseguendo nell’analisi, Gigliuto ha continuato: “Quando chiediamo agli italiani come vedono il futuro del Paese, solo uno su cinque lo immagina brillante, e la stessa quota vale anche guardando a 50 anni. Ma se chiediamo del proprio futuro personale, la maggioranza esprime sentimenti positivi. La maggior parte degli italiani dice anche che non si parla abbastanza di futuro, e tre persone su quattro ritengono necessaria una scuola che ci educhi al futuro”. E da Catania erano collegati proprio gli studenti e le studentesse della Scuola di Alta Formazione “Futuri e Sostenibilità”, iniziativa promossa dalla Scuola Superiore dell’Università di Catania e organizzata dall’ASviS, la cui prima edizione si è conclusa in occasione del Future Day.
Il panel dedicato all’alfabetizzazione ai futuri è stato inaugurato da Roberto Poli, presidente della Fondazione italiana studi di futuro nonché autore, insieme al professore dello Iuss Pavia Riccardo Pietrabissa, del nuovo Future paper dell’ASviS: “Siamo tutti ottimi profeti di sventura. Sappiamo elencare alla perfezione crisi climatica, squilibri demografici, stagnazione economica, tecnologie che minacciano milioni di posti di lavoro. Ma se chiedessi a ciascuno di voi di descrivere un’Italia positiva tra vent’anni, molti inizierebbero a balbettare. Siamo bravissimi a vedere i problemi in arrivo, molto meno capaci di descrivere possibilità positive. Questo squilibrio ci dice che c’è molto lavoro da fare”. Sul lavoro concreto portato avanti nelle scuole, Poli ha spiegato: “Non esiste una risposta unica: il lavoro che si può fare alle elementari, alle medie e alle superiori è diverso. Noi realizziamo laboratori di futuro in classe, percorsi strutturati, perché se ci si limita a improvvisare si rischia solo di aumentare l’ansia. Per questo formiamo gli insegnanti: la grande maggioranza di loro usa il futuro in modo implicito, dando per scontato che l’educazione riguardi il futuro. Il primo passo è renderlo esplicito e consapevole”.

Di didattica si è continuato a parlare con Viviana Pinto, fondatrice e Ceo di Discentis, startup che eroga formazione ai docenti e alle docenti: “Non è l’età anagrafica a determinare quanto un docente sia disposto a innovare. C’è anche un grande tema territoriale: è molto diverso insegnare in un grande istituto al centro di Roma o nella scuola di montagna con pochi studenti. Sono realtà diversissime, ma oggi non esistono sistemi che si prendano davvero cura di questa diversità. C’è una questione enorme di competenze e conoscenze specifiche. L’intelligenza artificiale è un tema grande, ma non è l’unico: oggi parliamo di educazione ai futuri insieme alla sostenibilità, mentre nelle scuole facciamo ancora fatica a integrare pienamente gli Obiettivi dell’Agenda 2030. Bisogna mettere in relazione questi piani”.
A seguire Eugenio Russo, Ceo di Conthackto, ha illustrato il ruolo degli hackathon come strumenti di partecipazione: “I nostri nascono come maratone di coding, ore e ore di programmazione, e sono hackathon di progettualità: partiamo da problemi concreti della scuola italiana e chiediamo ai ragazzi come li vorrebbero risolvere. Li invitiamo ad alzare la voce non solo con la protesta, ma con delle idee. È una competizione genuina tra studenti, docenti ed ecosistema scolastico, che parte dal problema e costruisce soluzioni”.
Stimolati da Fregonara sulla scuola del 2035, Poli ha auspicato che i laboratori di futuro diventino uno strumento normale in tutte le scuole; Pinto ha espresso il timore di una scuola che allarghi i divari tra studenti, e la speranza di edifici sicuri e accoglienti; Russo ha chiesto una scuola che sappia ascoltare e far parlare tutte e tutti, rafforzando il dialogo tra studenti, studentesse e istituti.
Nel panel sulla valutazione d’impatto generazionale, Raffaela Milano, direttrice Ricerche di Save the Children, ha parlato di una nuova forma di disuguaglianza: “È quella tra le generazioni, che non riguarda solo lo spazio geografico, ma l’arco del tempo, e colpisce soprattutto i bambini. In Italia più si è piccoli e più si è poveri, come ci dicono i dati sulla povertà minorile. Questa linea del tempo si proietta sulle generazioni future e rischia di peggiorare a causa delle non scelte che facciamo oggi. La valutazione d’impatto generazionale sono gli ‘occhiali’ che dovremmo indossare per vedere gli effetti nel tempo delle leggi che approviamo. Nel passaggio in Parlamento è stata aggiunta anche la dimensione di genere, e credo sia molto importante. Ma questa innovazione non può restare incompiuta, serve un sistema che la faccia camminare”.
Con un videomessaggio, la ministra per le Riforme istituzionali Maria Elisabetta Alberti Casellati ha ribadito il valore politico di questa scelta: “La valutazione d’impatto generazionale non è soltanto una norma, è un cambio di paradigma culturale per il nostro Paese. Non è un semplice adempimento tecnico, ma la decisione di assumersi una responsabilità politica precisa. Con questa norma, una novità assoluta per l’Italia, lo Stato misurerà e si prenderà cura degli effetti delle proprie decisioni sulla vita delle ragazze e dei ragazzi di domani. Si chiede al legislatore di guardare oltre l’immediato, di avere lo sguardo lungo”.
È arrivato poi il videomessaggio di Glenn Micallef, Commissario europeo per l’Equità intergenerazionale, la gioventù, la cultura e lo sport, che ha illustrato la nuova strategia Ue: “Una parte di questo lavoro riguarda la creazione di un indice di equità: un modo semplice per verificare quanto le nostre politiche siano calibrate sui bisogni delle generazioni attuali e future, e come contribuiscano a rafforzare il capitale umano, sociale e ambientale. Il lavoro che state facendo in Italia è per noi fonte di ispirazione. È esattamente lo spirito di cui l’Europa ha bisogno mentre affrontiamo le transizioni verde e digitale e costruiamo un futuro più giusto e resiliente”.

Bianca Arrighini, Ceo di Factanza, ha riflettuto su giovani, partecipazione e media: “Parliamo ogni giorno a un pubblico vasto che ci chiede informazione, ma che si sente poco ascoltato dai media tradizionali e si fida poco di loro. Nelle redazioni ci sono pochissimi giovani, spesso anche poco valorizzati. Oggi abbiamo una pluralità di voci senza precedenti: una democratizzazione dell’informazione che ha molti vantaggi, lo vediamo anche nel racconto delle guerre, ma porta con sé rischi enormi per le nostre democrazie. Io però non credo che la qualità sia destinata a scomparire: la sfida è mantenerla e renderla accessibile anche alle nuove generazioni”.
Alberta Pelino, presidente di Young ambassadors society (Yas), ha raccontato un’altra forma di partecipazione: “I giovani spesso non si fidano della politica, e noi cerchiamo di ribaltare questo processo dall’interno. Siamo nati più di dieci anni fa, abbiamo tutti tra i 20 e i 35 anni. Quando si riuniscono i vertici G7 e G20, interveniamo con momenti dedicati in cui portiamo la voce delle nuove generazioni. È un modo per far entrare le istanze dei giovani nelle sedi dove si decide il futuro”.
Dal territorio è arrivata la testimonianza di Beatrice Aimi, assessora alla Comunità giovanile del Comune di Parma, che ha ricordato come la città – Capitale europea dei Giovani 2027 – abbia introdotto per prima in Europa la valutazione d’impatto generazionale nelle politiche locali: “Le politiche giovanili devono compiere una grande svolta culturale, passando per la trasversalità dei temi e per il coinvolgimento reale dei giovani nei processi decisionali”.
Nel panel “Verso il network dei Musei del futuro”, moderato da Riccardo Cavaliere di Rai News 24, Michela Rota, architetta per Icom Italia, ha raccontato la genesi del progetto: “L’intuizione del network nasce dalla convinzione che i musei siano luoghi privilegiati per costruire insieme un’idea di futuro. Già oggi si occupano dei macrotrend, e possono coinvolgere i loro pubblici in questa missione, diventando laboratori naturali di esercizi di futuri nelle dimensioni dell’arte, del patrimonio, della scienza, della tecnica, della partecipazione, della creatività. È una visione, un sogno, ma anche un progetto culturale molto concreto. Non vogliamo rispondere alla domanda ‘qual è il futuro dei musei’, ma fornire strumenti di alfabetizzazione ai futuri. Abbiamo già sviluppato una prima fase con workshop e seminari formativi e a febbraio realizzeremo un laboratorio di speculative design con i musei per progettare nuove iniziative”.
Mariassunta Peci, direttrice generale Affari europei e internazionali del ministero della Cultura, ha sottolineato la centralità dei giovani: “Pensare ai futuri significa anticipare la strada da percorrere. Mi è piaciuta molto l’idea di parlare di ‘futuri’ al plurale, e di mettere al centro i ragazzi, dando loro la possibilità di essere protagonisti del proprio domani. La cultura non può essere solo qualcosa da fruire in modo passivo: è dinamica, ci chiede di rimetterci continuamente in discussione, coinvolgendo soprattutto le nuove generazioni. La sfida è capire dove sono i ragazzi, quale linguaggio parlano. Lavorare sui futuri, sviluppare pensiero critico, è un compito che la scuola può portare avanti insieme alle istituzioni”.

Ilaria Miarelli Mariani, direttrice dei Musei Civici di Roma, ha sottolineato l’importanza degli istituti pubblici di cultura: “I musei civici di Roma Capitale sono una realtà storica importantissima: i Musei Capitolini sono stati tra i primi musei pubblici al mondo, e oggi abbiamo una rete di circa 20 musei. Per noi è fondamentale interfacciarci con realtà come questa, perché vediamo una grande partecipazione di pubblico giovane, ma sappiamo anche che i dati non sono confortanti: gli italiani vanno poco nei musei, i giovani ancora meno. Entrare in un museo, anche solo per studiare, e poi magari incuriosirsi e scoprire le collezioni, può essere un’esperienza emozionante. Dobbiamo facilitare questo incontro”.
Lucia Villanova del Museo delle Scienze di Trento (Muse) ha richiamato il valore insostituibile dei luoghi fisici: “I musei devono far leva sul loro punto di forza, ossia essere spazi fisici. Viviamo in un tempo in cui è facile chiedere all’intelligenza artificiale di generare testi o video realistici, ma così rischiamo di comunicare con qualcosa di poco umano. Relazionarsi con altre persone in un luogo fisico, riconoscibile, accessibile e accogliente, soprattutto per le nuove generazioni, è fondamentale. I musei possono essere spazi in cui si sperimentano concretamente i futuri, non solo in cui si racconta il passato”.
Giulia Di Donato, cofondatrice di Officine Italia, ha presentato il percorso verso l’Assemblea nazionale sul futuro: “Con Ecosistema Futuro lanciamo questo esperimento, scrivendo insieme un percorso che ci porterà, auspicabilmente nel 2027, alla prima seduta dell’Assemblea. Proponiamo la creazione di una Costituente, composta da circa 50 persone, prevalentemente giovani, e da un gruppo di ‘saggi’, con il mandato di produrre entro dicembre 2026 un documento con le regole di governance dell’Assemblea e le tematiche più rilevanti per il futuro dell’Italia. Ci saranno poi le ‘Piazze sul futuro’ e, alla fine, l’Assemblea nazionale sul futuro vera e propria, che coinvolgerà un numero significativo di cittadine e cittadini selezionati con criteri di rappresentatività”.
Suor Alessandra Smerilli, segretaria del Pontificio dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, ha legato il Future Day al Giubileo della speranza: “Il Giubileo è un tempo di rinnovamento spirituale e morale. Speranza e futuro camminano insieme: la speranza non è fuga dalla realtà ma responsabilità. In questa direzione si colloca anche la Giornata mondiale dei futuri promossa dall’Unesco: il futuro non è inevitabile, quale futuro vivremo dipende dalle scelte che facciamo oggi. Quando parliamo di sviluppo umano integrale intendiamo la persona in tutte le sue dimensioni: economica, sociale, ambientale, spirituale. È questa visione che deve guidare le nostre decisioni”.
Francesca De Rosa, responsabile Governance Esg della Rai, ha riflettuto sul ruolo del servizio pubblico: “Sostenibilità e digitale sono due concetti spesso accomunati, ma arrivare alla sostenibilità tramite il digitale e rendere il digitale sostenibile sono sfide diverse, che comportano grandi responsabilità. La nostra immagine come servizio pubblico a volte sembra un po’ ‘polverosa’, ma in realtà ci stiamo evolvendo rapidamente. Ascoltare i panel di oggi è stato un massaggio al cuore: tutti i progetti di cui avete parlato sono anche quello che un grande editore pubblico può valorizzare, con una potenza di fuoco enorme. Abbiamo parlato di qualità dell’informazione, responsabilità verso il futuro, memoria: la sfida è non chiudere la memoria nel passato, ma farne una base solida su cui costruire”.
In chiusura Enrico Giovannini ha delineato i prossimi passi di Ecosistema Futuro: “Il primo filone di lavoro riguarda l’alfabetizzazione ai futuri nelle scuole: siamo in contatto con il ministero dell’Istruzione per portare questi percorsi nei programmi, e vogliamo estenderli alle università insieme alla Rete delle università per lo sviluppo sostenibile. Il secondo filone è quello dei Musei dei futuri, destinati a diventare un gruppo apripista, riunendo poi tanti altri soggetti. Il terzo filone è quello della partecipazione, con il percorso verso l’Assemblea nazionale sul futuro. E poi c’è il lavoro sulla ricerca. Ma tutto questo al servizio di cosa? La nostra bussola resta l’Agenda 2030 e i suoi 17 Obiettivi. È una spinta verso un futuro che qualcuno definirebbe genericamente ‘migliore’, ma che invece è molto concreto. Un futuro di speranza, in cui ci siamo noi dentro”.
L'evento è stato trasmesso in diretta streaming sui canali web e social dell'ASviS, oltre che sul sito Ansa.it e sulle pagine Facebook Ansa e Rai per la sostenibilità Esg.
I materiali dell'evento
Future paper "Promuovere l'alfabetizzazione dei futuri"
