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Governance ambientale: dopo un anno di progressi, un 2023 tra timori e ottimismo
Dalla nascita del fondo loss and damage per la crisi climatica al nuovo accordo per frenare la perdita di biodiversità. Nel rapporto dell’Iisd, un resoconto sui passi avanti del 2022 e sulla strada da percorrere. 1/3/23
Non c’è più tempo, la comunità globale deve intensificare le attività di tutela ambientale per far fronte alle tante crisi che stanno emergendo con forza, come quella climatica e quella della biodiversità. Negli ultimi 12 mesi ci sono stati dei passi avanti, che danno speranza, ma anche dei rallentamenti che rischiano di compromettere la salute del Pianeta e delle persone che lo abitano.
È quanto evidenzia lo “State of global environmental governance 2022”, rapporto dell’International institute for sustainable development (Iisd) rilasciato il 15 febbraio che intende fornire una panoramica sui progressi compiuti nella governance ambientale globale nell’ultimo anno. Sono state oltre 634 le decisioni prese durante le diverse Cop (clima, biodiversità, desertificazione, ecc.), con il record di 365 decisioni detenuto dalla Conferenza Cites (Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione) che ha messo molte nuove specie animali e vegetali sotto protezione.
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Alcune note positive sul tema ambientale
Nel 2022 di particolare rilievo è stato l’avvio di negoziati finalizzati alla nascita di un nuovo trattato globale che deve contrastare la diffusione dell’inquinamento da plastica, uno dei mali del nostro tempo. “Si tratta di un enorme e atteso passo avanti. Speriamo che i negoziati non si protraggano e che il trattato possa essere attuato quanto prima”, si legge nello studio, che ricorda un altro momento da tenere in considerazione: “Seguendo le orme del gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici e della piattaforma intergovernativa di politica scientifica sulla biodiversità e i servizi ecosistemici, la comunità internazionale ha inoltre avviato i negoziati su un organismo politico-scientifico per i prodotti chimici, i rifiuti e l'inquinamento. Questo è di fondamentale importanza. Per troppo tempo, le preoccupazioni per le sostanze chimiche tossiche, i rifiuti e l'inquinamento sono passate in secondo piano rispetto alle questioni più importanti del cambiamento climatico e della biodiversità”.
Non è passata poi inosservata la risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite sul diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile. Una decisione per certi versi storica, anche se non legalmente vincolante, in cui si afferma che “i cambiamenti climatici e il degrado ambientale sono alcune delle minacce più urgenti per il futuro dell’umanità” e che invita gli Stati a “intensificare gli sforzi per garantire che la loro popolazione abbia accesso a un ambiente pulito, sano e sostenibile”.
Anche la Cop 15 sulla desertificazione ha fatto registrare dei passi avanti per garantire una maggiore resilienza dei nostri ecosistemi, ridurre il degrado del suolo e ripristinare i territori. In questo senso va segnalata la volontà espressa nel documento finale di mobilitare 2,5 miliardi di dollari entro cinque anni per combattere la deforestazione e il cambiamento climatico. Nello specifico questa iniziativa, che pone particolare attenzione alla realizzazione del Target 15.3 dell’Agenda 2030, mira a: ripristinare le foreste degradate e promuovere l'agroforestazione; garantire la sicurezza alimentare attraverso una produzione sempre più sostenibile; identificare nuove catene del valore che siano resilienti al clima e alla desertificazione.
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Cop 27 sul cambiamento climatico e Cop 15 sulla diversità biologica
Il collegamento tra diritti umani e cambiamento climatico fatto dall’Onu si somma a quello che è di sicuro il maggior successo ottenuto durante i negoziati della Cop 27 sul clima di Sharm el-Sheikh: l’istituzione di un fondo “loss and damage”. Lo strumento ci pone di fronte alla questione del finanziamento delle perdite e dei danni subiti dai Paesi vulnerabili a causa della crisi climatica. Alla Cop 27 si è finalmente fatto un passo avanti su un fondo che opererà all’interno dell’Accordo di Parigi e dovrà essere avviato entro la prossima Cop 28 (Dubai). Un primo successo per i Paesi vulnerabili che lo chiedevano da tempo, ora bisogna capire come sarà sviluppato e chi effettivamente si renderà disponibile a contribuire.
Il 2022 resta un anno importante anche per quanto riguarda la biodiversità che, finalmente, ha il suo accordo. Dopo il fallimento dei precedenti obiettivi, i 20 target di Aichi che andavano realizzati entro il 2020, i Paesi durante i negoziati della Cop 15 di Montreal si sono accordati su un nuovo piano globale che proverà a rispristinare gli ecosistemi. Sono quattro gli obiettivi posti al 2050 e 23 quelli indicati come “target” da centrare entro il 2030 contenuti nel documento finale. I quattro obiettivi di lungo termine puntano: ad aumentare la resilienza degli ecosistemi, riducendo al contempo di 10 volte il tasso di estinzione delle specie e incrementando l’abbondanza di quelle selvatiche; a promuovere una gestione sostenibile della biodiversità e dei servizi ecosistemici, a beneficio delle generazioni presenti e future; alla condivisione dei benefici monetari e non derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche; a sviluppare mezzi di attuazione adeguati sia sotto al profilo tecnologico sia sotto quello dei finanziamenti che devono progressivamente andare a colmare il gap finanziario di 700 miliardi di dollari all’anno da impiegare per la tutela della biodiversità. Entro il 2030, poi, almeno il 30% delle aree degradate deve essere in fase di ripristino e almeno il 30% delle aree di particolare importanza per la biodiversità e i servizi ecosistemici (terre, zone costiere e marine) deve essere conservato.
Sulla perdita di biodiversità, infine, è importante ricordare anche la posizione dell'Organizzazione mondiale del commercio che, dopo oltre due decenni di colloqui, in linea con il Target 14.6 dell’Agenda 2030 (porre fine ai sussidi che contribuiscono alla pesca eccessiva) lo scorso anno ha posto dei limiti a quei sussidi che finivano per alimentare la pesca illegale e il sovrasfruttamento degli stock ittici.
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Cosa aspettarsi nel 2023
Secondo il Rapporto, la strada per costruire una governance ambientale efficace è ancora lunga, ma non c’è dubbio che nel 2022 ci siano stati alcuni segnali positivi, da cui ripartire. Tanti e diversi sono gli appuntamenti che ci accompagneranno nel corso di quest’anno.
Molti occhi sono puntati sul vertice di settembre sullo stato d’attuazione dell’Agenda 2030. Giunta a poco più della metà del suo percorso, è stata istituita nel 2015 e pone ai suoi Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) la scadenza del 2030, possiamo già dire che i risultati che presenteranno gli Stati in quel summit saranno deludenti: manca ancora tanto per mettere il mondo su un sentiero di sviluppo sostenibile.
Per catalizzare l'azione sul Goal 6 “Acqua pulita e servizi igienico-sanitari” dell’Agenda 2030, rivestirà un ruolo importante la Conferenza sull'acqua delle Nazioni Unite del 2023, un’ulteriore opportunità per aumentare consapevolezza e costruire alleanze per contrastare lo stress idrico, un fenomeno esacerbato sempre di più dalla crisi climatica. Proprio sul clima, come di consueto nel 2023 si terrà una Conferenza, la Cop 28 negli Emirati Arabi Uniti. Qui terrà bando la chiusura del primo global stocktake: il processo mediante il quale le nazioni monitorano l'azione per il clima per valutare se sono, collettivamente, sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo dell'Accordo di Parigi.
Ci sono poi tutta una serie di altri negoziati da seguire con attenzione. Per esempio: la Convenzione sulle specie migratorie è chiamata a rinnovare il suo piano strategico post 2023; la Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti (Pop) intraprenderà una valutazione sull'efficacia della propria azione volta a proteggere la salute umana e dell'ambiente dai Pop; la Convenzione di Minamata sul mercurio si interrogherà su come ridurre i livelli di mercurio nell'ambiente.
Nel 2023 potrebbe vedere la luce anche la nascita di un nuovo comitato scientifico-politico per i prodotti chimici. Ente che, in linea con il lavoro che svolgono Ipbes sulla biodiversità e Ipcc sul clima, punterà anche a far crescere la consapevolezza pubblica e politica sui danni derivanti dai prodotti chimici. Infine, continueranno i negoziati sulla plastica e, per quanto riguarda la Convenzione sulla diversità biologica, ci aspettano tornate negoziali che devono servire per rendere sempre più concreto e attuabile il quadro d’azione “post 2020”, in modo da consentire all’umanità di raggiungere l’obiettivo “vivere in armonia con il Pianeta”.
Il Rapporto chiude con il titolo “2023: ottimismo o timore?”. L’anno che abbiamo davanti, infatti, potrà essere scoraggiante, con gli sforzi dei Paesi che potrebbero non risultare all’altezza delle sfide, ma potrà anche offrire chiarezza e quindi speranza, se i Paesi saranno in grado di definire strategie e azioni immediate. La situazione non permette infatti più rinvii al futuro e la comunità scientifica è chiara su questo: la finestra per l’azione, quella in sostanza per cambiare le cose, si sta irrimediabilmente chiudendo.
di Ivan Manzo